il burritos di Dublino

Burritos a Dublino

Un posto dove mangiare un ottimo Burritos a Dublino è il “Saburritos” tipica cucina messicana nella Tabol Street, proprio difronte alla statua dello scrittore James Joice. L’ambiente è confortevole per un pasto veloce che però non disdegna la possibilità di trattenere anche il passante che va in cerca di una sosta più prolungata, facendolo accomodare in un contesto moderno con tavoli quadrati bianchi e sedie bianche a righe trasversali nere. Nel poco tempo che mi sono trattenuta qui, tra un morso piccante e un sorso per alleviare il bruciore, hanno sostato per di più donne e giovani coppie. E mentre il fuoco divampava nella mia bocca ho pensato che dopotutto quel Burritos per quanto piccante fosse, valeva proprio la pena mangiarlo!

Le vie Dublinesi la domenica brulicano di turisti di ogni nazionalità che non si arrendono al fatto che la maggior parte delle vetrine dei negozi siano chiuse. Dalla mattina alla sera la fiumana di gente imperterrita non cessa di percorrere la capitale in lungo e in largo e quando cala la notte quelli che la fanno da padrone sono i tantissimi giovani. Dublino è il colore cosmopolita per eccellenza, è la patria dei giovani, è la culla dell’incontro multietnico. Chiunque abbia dimestichezza con la lingua inglese qui è di casa ma se anche uno non parla nemmeno una parola della lingua ufficiale non troverà alcun problema nel comunicare con gli Irlandesi o con chi vive nella città e ne ha acquisito gli usi, perché qui il turista è sacro e in un modo o in un’altro la comunicazione infrange le barriere parlando la lingua universale del cuore a cuore, con gentilezza e disponibilità assoluta, al punto che ci si sente coccolati e si percepisce quasi la strana sensazione di essere come a casa. Questo è ciò che sa regalare una città come Dublino.

(by Silvia Montis) https://www.facebook.com/Saburritos

From Dublin, Ireland

© Photography by Silvia Montis

Irlanda42

Una lettera da Makassar

Una lettera da Makassar, nell’isola di Sulawesi.

L’oggetto più antico esistente nella nostra casa, un vero cimelio storico, era un bauletto appartenuto al mio trisavolo materno. Per tutti noi era semplicemente il forziere, un nome che testimoniava l’alta considerazione in cui era tenuto per via della vita lunga e avventurosa dell’avo, della quale ciascuno di noi era a conoscenza, almeno a grandi linee, perché nel racconto di quella umana vicenda si era esaltata la fantasia di ogni giovane generazione della nostra famiglia. Non escludo che il racconto orale, nel lungo tempo trascorso, possa essersi arricchito di molti particolari o di episodi che abbiano aumentato l’attrattiva e lo smalto favoloso di quel vissuto. Dico questo soprattutto in considerazione di quanto fatto proprio da me con l’accrescere,ogni volta che ne raccontavo, l’aspetto avventuroso di quella vita, e con la colmatura delle lacune e degli strappi nella successione cronologica,ma suppongo che molti altri abbiano dato un contributo a trasformare i vari episodi in un vero romanzo di avventure. Durante l’adolescenza sono stato un affamato lettore di libri di quel genere ma non saprei dire se a ciò fossi indotto dal ricordo dell’avo o se viceversa fosse stata la mia passione per i libri di avventura a farmi mitizzare la sua figura. Conoscevo a fondo, per averli letti e riletti, romanzi come L’isola del tesoro, come Le avventure di Arthur Gordon Pym o Robinson Crusoe, come I pirati della Malesia o Billy Budd, gabbiere di parrocchetto.

Mi piaceva soprattutto la marineria ed ero giunto al punto da studiarne propriamente ogni aspetto, come la nomenclatura completa di ogni tipo e classe di bastimento e delle varie parti che compongono una nave e i vari pezzi di costruzione, l’alberatura, l’attrezzatura – cavi, paranchi, bozzelli, ancore, vele… – e le manovre, e i nodi, le legature…, come pure i nomi degli uomini che nelle varie funzioni attendono al governo di un natante. La mia passione si alimentava specialmente con le storie ambientate nei mari del Sud, il cielo australe mi affascinava per l’aura di mistero che io vi annettevo. E certamente pensavo che le avventure possibili in quell’emisfero fossero di tutt’altra natura, non dico superiore ma affatto diversa,che quelle nei mari del Nord. Insomma in quelle della Croce del Sud, in quei caldi arcipelaghi, nel Mar della Cina, nei mari della Malesia e del Borneo era tutto un andirivieni di giunche di pirati e di traffici di dubbia legalità;nelle altre,quelle dei mari del Nord, c’era il lento procedere delle navi rompighiaccio, l’attiva vita dei pescatori di aringhe e di merluzzi ai Grandi Banchi di Terranova, l’epica caccia alla balena nei freddi mari della Corrente del Labrador: due mondi così distanti…

Tornando al mio avo, vi è da sapere che il racconto della sua vita non è stato intessuto soltanto oralmente dai suoi discendenti ma ha avuto inizio da un prezioso brogliaccio contenuto nel suo forziere giunto fino a noi. In quel bauletto, un pezzo veramente ben costruito, in legno di pero rinforzato e borchiato e ancora pressoché intatto, erano contenuti oggetti preziosi e in primo luogo un brogliaccio rilegato solidamente,con il taglio delle pagine tinto di rosso come una bibbia o un breviario da ecclesiastico:e questo sì, è il pezzo che maggiormente ci interessa ma non posso tacere del fascino che su di me esercitavano le altre reliquie (un piccolo cannocchiale di lucente ottone, due paia di guanti, un orologio da tasca, un paio di occhialoni con la mascherina, un kris malese, un cannello di penna di giada, una medaglia della British East India Company, vari libriccini di appunti delle dimensioni di un enchiridio, un calendario perpetuo e altri piccoli oggetti) la principale delle quali era un copialettere portatile ancora perfettamente funzionante. Proprio con quello strumento il mio avo aveva diligentemente ricopiato nel grande brogliaccio ogni atto scritto e ogni lettera – atti e lettere redatti in italiano, in francese e in inglese – da lui prodotti nel corso della sua lunga vita, essendo morto nonagenario, proco prima della grande guerra, nel suo buen retiro sorrentino.

Nel brogliaccio del mio trisavolo erano annotati, quali brevemente e quali più estesamente, molti fatti e circostanze della sua vita, non esclusi certi rilievi psicologici personali e certe meditazioni, tutte scritture che fanno di quel libro un vero e proprio diario. Ho detto già degli spunti di riflessione ma non sottovaluto le altre minuzie e gli appunti frammentari rilevati dagli enchiridi: tutte notizie che compongono il vivido mosaico della sua esistenza. Si va dai fugaci amori, per la verità non infrequenti anche dopo il suo matrimonio, alla nascita dei figli, dagli acquisti di oggetti importanti all’annotazione dei bagni completi fatti per l’igiene personale e finanche talvolta alle osservazioni meteorologiche  e climatiche.

Durante la mia adolescenza, nelle lunghe giornate delle vacanze estive, ho trascorso molto tempo a compulsare quel diario ed a farne un duplicato in un librone molto somigliante all’originale, riportando però tutti gli scritti in lingua italiana, avendo io stesso tradotto tutti i testi. Tra le lettere più importanti ve n’è una che contiene alcune informazioni generali sull’autore, di cui non ho ancora detto il nome perché lo dirà lui stesso nella lettera. Questo scritto è una sorta di curriculum da lui inviato all’antropologo dell’Inghilterra vittoriana Edward Burnett Tylor, l’autore del famoso libro Primitive Culture. Ho definito avventurosa la vita del mio trisavolo senza dire perché lo fosse: dalla lettera si capisce e per questo la trascriverò qui di seguito, ma intanto basti considerare il luogo di partenza di quella lettera, Makassar – una città che ai giorni nostri è la capitale della provincia indonesiana del Sulawesi Meridionale, che è una grande isola – e che già allora, alla metà del secolo diciannovesimo era un importante porto libero dell’isola di Celebes, nome con cui a quel tempo era conosciuta in tutto l’Occidente.

Dopo queste poche premesse è ormai il momento di riportare l’intero testo della lettera nella versione da me tradotta.



Mittente: P. A. Giaccarino
Care of  Missione Commerciale Genovese
MAKASSAR

Al Signor Professor
Edward Burnett Tylor
care of Reale Società di Biologia
LONDON
“Makassar, a dì 13 aprile 1848

“Illustre Signore,

mi presento a Lei a nome del Primo Nostromo della goletta Plymouth II, il Signor Bud Fitzpatrick: sono Pietro Agnello Giaccarino, un suddito di S.M. il Re delle Due Sicilie. Sono nato a Sorrento nell’anno 1823 e mi sono stabilito nell’isola di Celebes da circa quattro anni, dopo aver fatto la spola per tre anni, negli arcipelaghi delle Molucche e della Sonda, su un navilio di lungo corso, un brigantino mercantile a tre alberi. Conosco il mare dall’infanzia e navigo fin dalla giovine età dei sedici anni.

“Il mio officio consiste nell’approvvigionare di legnami pregiati, tek, ebano, sandalo e canfora, nonché di scorza di china una ditta genovese, di cui sono commissionario, la quale ne fa commercio in Italia e in Europa; legnami che in queste terre sono largamente diffusi.

Il Nostromo Fitzpatrick avrebbe in me ravvisato le qualità adatte a  corrispondere con Lei, illustre Professore, con riferimento alla materia delle usanze e tradizioni tribali nonché dei riti di queste popolazioni, per il fine di fornire a Lei mezzi di studio e di comparazione, se ho ben compreso, per un Suo lavoro intorno alla cultura delle genti primitive.

“Quantunque il mio umano sostentamento mi provenga dall’attività del tutto diversa di cui Le ho riferito e nonostante il forse troppo breve periodo di stanziamento in Makassar, mi professo adatto alla bisogna,g iacché il tipo di osservazioni che essa mi richiederebbe è consono al mio personale interesse. Le dico, a tal proposito, che io fui educato in Amalfi da un sant’uomo,un ecclesiastico barnabita, di nome Padre Bracciolino Calise, già stato missionario per lunghissimi anni in terre d’Affrica eppertanto  profondamente versato nella scienza etnografica, di cui m’insegnò i rudimenti, quegli stessi che mi hanno accompagnato in Celebes e che m’hanno dato contezza di tanto argomento che altrimenti mi sarebbe restato estraneo.

“Vorrei dunque darle un breve saggio delle informazioni che potrei trasferirle se Lei acconsentisse alla mia collaborazione, che sin d’ora Le assicuro gratuita. Per il momento mi applicherò a riferire le osservazioni già da me fatte, specialmente quelle intorno ai Toradja o Taraja, il popolo dell’altopiano. In seguito Le fornirò notizie più diffuse e più dettagliate,conforme al desiderio mio di servir al meglio Lei e la scienza.

“Inizio dai riti connessi con la lunga siccità o con l’eccesso di pioggia e dunque dalle azioni volte a provocarla,nel primo caso, ed a farla cessare, nel secondo. Nelle zone a nord di Celebes nominate Minahassa, gli sciamani prendono lunghi bagni cerimoniali con l’intenzione di provocare il cielo alla pioggia. Nella zona centrale dell’isola, allorché per l’assenza prolungata dell’acqua le piantine di riso principiano a rinseccolirsi e prima che il raccolto vada perso del tutto, gli abitatori dei villaggi si portano ai fiumiciattoli,alle pozze d’acqua e se ne aspergono con grandi strilli, specialmente quelli dei giovani, e se ne spruzzano e schizzano. E imitano il rumore della pioggia battendo le mani sulla superficie liquida o tamburellano,con la stessa intenzione, su una zucca svuotata. Sotto questi cieli è altresì necessario, talvolta, scongiurare la pioggia, farla cessare quando è troppa e questa, si sa, è una necessità anche dei contadini delle nostre parti. Ed anzi posso aggiungere che tante pratiche consimili avvengano anche nelle terre dove nacqui. Per restare a Celebes, l’eccesso d’acqua può diventare disastroso, e questo accade quando i venti Alisei si sono sovraccaricati all’eccesso di umidità durante il loro percorso sugli oceani. Può allora piovere sull’isola per mesi e mesi e mandar tutto marcio. Prima che questo avvenga, il sacerdote o mago della pioggia inizia quello che è un combattimento serrato con l’acqua, cioè si astiene totalmente dal toccarla, non si lava mai,beve soltanto il vino di palma; se deve attraversare un ruscello cerca un punto in cui gli sia possibile farlo senza toccare l’acqua, appoggia i piedi sui massi petrosi che emergono. Durante questo tempo propiziatorio egli vive in una capannuccia appartata dal villaggio ed eretta nel campo di riso. Qui accende un focherello che deve essere continuamente alimentato e vi brucia legnetti che dovrebbero avere il potere di tenere lontana la pioggia. Se all’orizzonte si profilano banchi di nubi carichi di pioggia, il mago soffia in quella stessa direzione reggendo tra le mani foglie e scorze d’albero che, per gli stessi nomi che portano suggeriscono la leggerezza e dunque si presume abbiano il potere di allontanare le nubi rendendole leggere sotto il soffio dello sciamano. In questo caso come in tante altre occasioni, questi uomini fanno un teatrino basato sulla somiglianza, sull’imitazione, credendo così di indurre gli spiriti che sono nelle cose ad imitarli. Questo mi ha insegnato il mio maestro Padre Bracciolino Calise e questo ho sempre potuto osservare:ma queste sono cose che lei sa meglio di me,modi di cui Lei conosce il nome ed io no. Ad ogni modo posso dirle che questa imitazione, questa specie di recita teatrale tanto ingenua è largamente praticata da tutti,anche da chi sciamano non è e per una serie infinita di intenzioni. Per esempio, chi volesse catturare un cinghiale, un maiale selvatico o altro animale, dovrà esporre all’esterno della casa o capanna una parte dell’animale che vuole attirare:una zampa,un corno,un lembo di pelle scuoiata… Lo stesso fanno, s’intende in altri modi ma con la stessa idea di teatro e di somiglianza, per mantenere in vita una persona,per scacciare gli spiriti del male. Queste però sono cerimonie cruente e qualche volta crudeli,almeno per noi. I riti che vogliono espellere il male sono eseguiti con il sacrificio di animali,con scannamenti che a noi potrebbero sembrare raccapriccianti se non sapessimo che un tempo,e forse ancora oggi presso i gruppi tribali più selvaggi,i sacrifizi erano fatti con l’uccisione di persone.

“Modi estremamente cruenti accompagnano anche il più complesso rito della sepoltura,un evento che può occupare giorni e giorni, durante i quali il villaggio attraversa momenti di baraonda alternati allo svolgersi della comune vita, al commercio ed alle altre umane cure. Quello che conta è l’importanza che si dà al corpo del defunto che,con un lungo cerimoniale accompagnato da canti e suoni di cimbali e tamburi, viene posto,dopo essere stato portato in processione, su un grande catafalco tutto ornato. D’intorno c’è gente che mangia (e questo, se mi è permesso dire, mi rammenta quel che avviene presso di noi, nelle nostre terre, dove si usa preparare il cuonsolo, cioè la consolazione, che è un lauto pasto da offrirsi a cura dei vicini alla famiglia del defunto), gente che attende ai propri affari approfittando dell’occasione di quel grande concentramento di gente. In queste cerimonie, quello che maggiormente mi ha impressionato è il sacrificio del bufalo, anzi di uno o più bufali, che viene fatto davanti a tutti, sulla radura dove si svolge il rito funebre. Quegli animali mastodontici vengono legati per le zampe ad un palo conficcato saldamente nel terreno, tanto profondamente per poter reggere, senza svellersi, alla forza immane dell’animale. Quando è il momento, il sacerdote si avvicina cautamente al bestione, che forse per via delle legature subite è già infuriato e come presago del suo destino di morte, e servendosi di un lungo e affilatissimo pugnale lo trafigge alla gola. L’impressionante fiotto di sangue che ne spiccia fuori inonda il terreno circostante, cioè tutto il cerchio intorno al palo a cui è vincolato e nel quale l’animale impazzito riesce ancora a muoversi scalciando in maniera furibonda. Durante questa penosa agonia la bestia riceve altre trafitture con le stesse modalità finché, totalmente dissanguato, crolla al suolo privo di vita se non per qualche fremito o spasmo residuo del suo corpo. Considerato che questo sacrifizio può ripetersi con altri animali durante la stessa cerimonia, alla fine il terreno è intriso totalmente di sangue.

Egregio Signor Professore, queste poche considerazioni valgano soltanto a illustrare la possibilità di giovarsi dei miei rapporti, che saranno tanto più accurati se Ella vorrà indicarmi uno schema da seguire, una traccia a cui attenermi. In attesa di un Suo scritto di risposta, Le mando i miei migliori saluti da Makassar. Sono il Suo servitore e mi firmo Pietro Agnello Giaccarino.”

Renato Gabriele

The Trip in Mostra a Roma

Questa mostra sembra essere stata fatta apposta per noi di Viaggio Fotografico! Nel nome, nei contenuti e per lo stile… Invece NON ci assumiamo la paternità di questa bellissima esposizione e ne parliamo con la voce di chi l’ha visitata e apprezzata.

Prendiamo uno dei più begli spazi espositivi del mondo, immaginiamo che questo spazio “espone” qualcosa da più di 2000 anni, prima era un mercato ed esponeva merci, ora è una prestigiosissima galleria d’arte che espone opere. Immagina, se non ci sei mai stato, che questo spazio enorme  si affaccia con ampie vedute e terrazzi sui Fori Imperiali, pensa che tra un’opera e l’altra puoi camminare tra le rovine di epoca romana e avere una vista mozzafiato sulla storia, cerca di immaginare infine cosa significa vedere una mostra di arte moderna in uno spazio così antico… Ecco… hai fatto già due viaggi: uno nel tempo e uno con la fantasia. In questo contesto unico al mondo, il terzo viaggio te lo fa fare The Trip Magazine con la sua mostra Travel Routes in Photography.

Vedere una mostra in un contesto del genere è già di per sè un’esperienza straordinaria, aggiungici poi quattro bellissimi progetti fotografici e hai un mix incredibile di emozioni che ti verranno dal visitarla. Simon Norfolk, Elaine Ling, Giancarlo Ceraudo e Cristina De Middel sono i quattro Autori che ci raccontano il loro modo di viaggiare e di vedere il mondo. Lo fanno con il tipico stile della rivista The Trip, un free magazine bellissimo, curatissimo, dalla grafica raffinata di impaginazione diffuso a livello internazionale che viene diffuso anche grazie ad happening strategici come questa mostra, o le serate fatte al Chiostro del Bramante e al MACRO di Roma…

Il primo dei quattro Progetti, di Elaine Ling, ci propone all’ingresso della mostra delle gigantografie sospese con dei bellissimi baobab (giganti anche loro) scattati in grande formato su Polaroid Bianco e Nero a sviluppo istantaneo.

Il secondo lavoro a cura di Giancarlo Ceraudo ci parla di Cuba e di un modo onirico di raccontarla, anche questa in bianco e nero, l’isola caraibica perde i suoi famosi colori per essere vista con un dinamismo particolare dato da inquadrature suggestive, dal mosso e dal probabile uso del lensbabyes per ottenere effetti molto particolari di sfocatura zonale.

Passiamo poi a Cristina De Middel che al primo piano ci propone un ironico, geniale e improbabile viaggio spaziale rievocando una divertente conquista dello spazio da parte dello Zambia, una sorta di Armata Brancaleone alle prese con un’impresa più grande di lei.

Per finire espone Simon Norfolk che riprende delel vecchie fotografie dell’800 fatte dal primo fotoreporter che sia andato a documentare la guerra in Afghanistan e le ripropone oggi documentando come sia cambiato tutto, tranne, purtroppo la guerra che continua a martoriare questo paese.

Abbiamo visitato la mostra con gli Allievi della mia Photo Academy e camminare tra le opere esposte in mezzo ad antichi resti è un viaggio nel viaggio, vorrei suggerire a Te che sei arrivato a leggere fin qui di non perderti questa straordinaria esperienza visiva.

Helmut Newton in mostra a Roma

Il Palazzo delle Esposizioni di Roma ha fatto l’ennesimo grande omaggio alla Fotografia contemporanea, ormai la prestigiosa galleria in via Nazionale ci propone solo emozioni fotografiche di altissimo livello.

Sono andato ieri con i miei Allievi della Photo Academy in visita alla mostra di Helmut Newton, senza dubbio un nome che ha fatto la storia della fotografia anche quando era ancora vivo. Famosissimo e amatissimo da tutti Helmut Newton è sempre stato un personaggio di grande spicco, un divo a tutti gli effetti, parte integrante dello star system che ha sempre raccontato e descritto nelle sue immagini. Newton insomma non è mai stato un osservatore di un certo mondo, non un narratore reporter affascinato dai suoi soggetti, lui raccontava il suo mondo vivendoci dall’interno come suo stile di vita e mostrandoli all’esterno con le sue fotografie come icone di un mondo altrimenti inaccessibile ai più.

Le sue immagini ci raccontano di ville con piscina a Montecarlo, di attici a Manhattan o ai piedi delle Torre Eiffel, lui scattava per lo più in casa di amici o in quelle delle persone che ritraeva o nelle sue case che aveva sparse per il mondo. Le sue location preferite erano le grandi città come Parigi o Berlino, o le ville monumentali del lago di Como… Visioni di vita quotidiana, la sua. Concessioni fatte all’umanità di poter dare uno sguardo ad un mondo abitato da donne bellissime, discinte e disponibili, che vivono in case da film. Quelle di Newton sono delle visioni voyeuristiche di una società occidentale ricca e opulenta, arrogante e trasgressiva. Le donne di Newton sono annoiate, prepotenti, capricciose  e  fisicamente perfette, sono le donne che tutti gli uomini vorrebbero avere ma nessuno vorrebbe sposare, ma sono donne spesso tristi, insoddisfatte, la loro disponibilità è solo  fisica, non morale.

Queste donne si baciano tra loro per noia, perchè vivono da sole in case senza uomini troppo affaccendati a fare altro. Le rare volte che gli uomini appaiono al cospetto di queste donne languide hanno sempre un ruolo subalterno, sottomesso, servile. Ecco quindi uomini baciare manichini o stare con lo sguardo basso, preso da altri pensieri mentre ci sono due donne davanti a lui riflesse nello specchio che amoreggiano tra loro completamente nude. Le donne di Newton arrivano ad interpretare il ruolo dell’altro sesso fino al punto di indossare abiti maschili e a tagliarsi i capelli in un continuo gioco fatto di ruoli e di identità. Gli uomini nel migliore dei casi stanno a guardare o sono schiavi della bellezza femminile.

Le modelle che il grande maestro tedesco sceglie per le sue visioni fotografiche giocano alla cavallina con tanto di frustino tra i denti all’interno di lussuosissime residenze, vestono con vertiginosi tacchi a spillo e ostentano la loro superba bellezza facendone un uso di fortissimo erotismo, mai volgare, mai pornografico. Per primo Newton ha portato il nudo nella fotografia di moda, pubblicizzando gli abiti e gli atelier internazionali con modelle in nudo integrale.

Vedendo la mostra di Roma, con oltre 200 foto tratte da 3 libri che sono stati diffusi in tutto il mondo, si ripercorre la storia della poetica visiva di questo grande artista. L’osservatore poco attento viene immancabilmente rapito dalla bellezza plastica delle modelle che qui vengono usate nel vero e proprio senso letterale del termine per interpretare il loro quotidiano, per quanto questo sia distante dal vissuto comune. Ad uno sguardo più approfondito ci si rende conto di come queste foto abbiano dettato 40 anni fa gli stili della fotografia moderna e contemporanea, di come le sue inquadrature, i suoi tagli e lo stile cromatico che otteneva in camera oscura siano oggi del tutto attuali e gli stessi che cerchiamo di ottenere con gli effetti di Photoshop.

Altra cosa che sconcerta chiunque visiti la mostra di Newton al Palazzo delle Esposizioni di Roma è la vastità e la quantità delle opere esposte oltre che il loro allestimento. La sezione dei Big Nudes è quella che mi ha di più affascinato, qui le donne appaiono nelle gigantografie stampate a dimensione naturale in una sorta di ricostruzione “in copia dell’originale”. Le ragazze diventano cloni di sè stesse in scala 1:1 e la loro giovane bellezza viene consegnata all’immortalità della fotografia mediante la conservazione eterna del negativo fotografico.

 

Per saperne di più:

Consultare il sito del Palazzo delle Esposizioni di Roma: http://www.palazzoesposizioni.it/categorie/mostra-helmut-newton Apertura al pubblico fino al 21 luglio 2013.

 

Costruzione del Portfolio fotografico

Quante volte capita di trovarci tra le mani (o nell’hd del computer) miliardi di foto e non sappiamo come fare per dar loro un ordine? Oppure torniamo da un viaggio e la prima cosa che facciamo è quella di scaricarle ed inserirle tutte direttamente su Facebook… NIENTE DI PIU’ SBAGLIATO!! Il PORTFOLIO è un nostro progetto, è un insieme di foto che hanno un senso, selezionate per RACCONTARE e trasmettere qualcosa… quel qualcosa siamo noi, è il nostro viaggio, è un progetto fotografico che dobbiamo presentare ad un giornale o con il quale vogliamo fare una mostra…

Come fare per scegliere le foto ADATTE alla finalità del portfolio stesso?

1. SCELTA DEL PROGETTO

Prima cosa da fare è aver ben chiaro in mente COSA SI VUOLE RACCONTARE.

Qualunque sia la finalità del Portfolio, esso deve avere un TITOLO ed un OBIETTIVO di cui dobbiamo necessariamente tenere conto nella successiva selezione.

Possiamo decidere di voler raccontare una giornata particolare di nostro figlio, oppure un viaggio che abbiamo fatto, o più semplicemente raccontare una città attraverso i colori oppure le geometrie dei campi coltivati di fronte a casa.

L’importante è avere ben chiaro il tema e tenerne conto anche quando dovremo decidere se escludere la “foto più bella”!

2. FINALITA’ DEL PROGETTO

Fondamentale è anche il fine ultimo del portfolio: la nostra selezione cambierà notevolmente se dobbiamo semplicemente mettere le foto del nostro viaggio su un social network, o se dobbiamo far vedere il nostro progetto ad un Photoeditor per la pubblicazione su un giornale, oppure se ci serve per una mostra o per il nostro sito.

A seconda della finalità cambieranno il numero delle foto, il tipo di immagine che sceglieremo (un giornale di attualità/cronaca per esempio non accetta foto troppo grandangolate o che in qualche modo alterino la percezione della realtà, mentre uno di moda/glamour vorrà immagini perfette dal punto di vista tecnico e di luce) e quindi verrà condizionato il tipo di selezione che andremo a fare.

3. SELEZIONE ED EDITING

Questa è la fase più importante, delicata ed anche dolorosa di tutto il processo!

Imparare a selezionare vuol dire anche imparare a scegliere ed avere anche il CORAGGIO DI ESCLUDERE “la foto più bella” se non è coerente con l’insieme.

Riassumo i PUNTI PRINCIPALI della fase selezione:

  • Fare una prima ampia selezione di circa 30/40 foto che ci sembrano adatte al progetto.
  • Scegliere le foto di APERTURA e di CHIUSURA: considerando che il verso di lettura (anche fotografica) di noi occidentali è da sinistra verso destra e dall’altro verso il basso, la FOTO DI APERTURA dovrà portare il nostro occhio all’interno del progetto, e dovrà anche essere esteticamente una delle più forti.
  • La FOTO DI CHIUSURA sarà invece quella che metterà un punto al lavoro, che ne definirà la sua conclusione.
  • COERENZA (stilistica, tematica…): A seconda del lavoro, della sua finalità e quindi dell’effetto finale che vogliamo ottenere, sceglieremo se presentarlo per esempio a colori o in bianco & nero, o se creare una postproduzione particolare, oppure se presentare un lavoro con foto mosse o tutte sovra/sottoesposte. Qualunque sia la nostra scelta stilistica, questa dovrà essere coerente per tutto il lavoro, a meno che non si voglia dare una valenza particolare ad una singola foto che potrà essere rappresentata in modo diverso. Stesso discorso possiamo farlo sulla scelta della focale utilizzata… saltare da una foto grandandolata ad una molto zoommata rischia di rendere il progetto difficile da leggere… ma questa non è una regola così stretta, dipende sempre da ogni singolo caso.
  • NON ripetere IMMAGINI SIMILI: Il coraggio di escludere foto belle o che riteniamo importanti vale anche per questo punto… se abbiamo due foto simili o con lo stesso soggetto e non sappiamo quale scegliere… dobbiamo farci forza, ragionare su quale delle due (o più) meglio si adatta al progetto, e necessariamente dobbiamo scartare l’altra (o le altre).
  • L’OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE: Dovremo creare un “percorso visivo” tra le singole foto tenendo presente i colori, le linee di forza e le geometrie e prospettive delle foto che andremo ad accostare. Tutto questo ci aiuterà a creare un LAVORO PIACEVOLE NEL SUO COMPLESSO, e non bello solo perché le singole foto sono belle.
  • Meglio un Portfolio con POCHE FOTO, MA BUONE: una sola foto “incoerente” col complesso, rischia di stonare ed abbassare il livello di tutto il lavoro.

4. SUPPORTO E STAMPA

Superato il difficile ostacolo della selezione, non ci rimane che scegliere il supporto e le dimensioni di stampa. Ovviamente se il lavoro dovrà essere pubblicato sul web non avrà bisogno di essere stampato.

Generalmente un lavoro da far visionare ad un professionista (per la lettura portfoli) o ad un photoeditor deve essere il più chiaro possibile, con stampe no più grandi di 20×30 cm, con al massimo una cornicetta bianca, senza incollaggi su cartoncini o simili. Le foto andranno sistemate secondo l’ordine scelto in precedenza.

Per quanto riguarda una mostra, invece, dipende molto dal luogo in cui si espone, e dalle condizioni di luce, meglio comunque stampe grandi senza cornice in vetro (che rischia di creare spiacevoli riflessi) in modo da valorizzare al meglio le stampe.

Portfolio Street

 

 

Come fare ritratti in viaggio (Parte 1)

Il ritratto fotografico in viaggio

Il ritratto fotografico non manca mai all’interno degli scatti che riportiamo a casa. I motivi per fare fotografie durante i nostri viaggi sono tantissimi e ciascun Viaggiatore e Fotografo ha i propri soggetti preferiti, ma al ritorno da qualunque destinazione tutti noi portiamo la foto delle persone che hanno viaggiato con noi o che abbiamo incontrato lungo il nostro percorso.

Immancabili sono le foto che scattiamo alle varie etnie, ai vestiti tipici, ai tratti somatici, ai mestieri e agli accessori che ciascuno nella propria cultura, nel proprio Paese usa quotidianamente ma attrae la nostra attenzione di Viaggiatori e di Fotografi. Questo genere fotografico, il ritratto, porta a doversi misurare con varie problematiche, in questo articolo vediamo quali.

Occorre distinguere tra viaggio e viaggio, molto dipende da che tipo di persone incontriamo e quale tipo di cultura abbiano. Nei Paesi “Sviluppati” c’è (contrariamente a quanto in genere si pensa) maggiore diffidenza nei confronti di una fotografia scattata per strada le ripercussioni possono essere anche violente o legali. Chi di noi si farebbe fare una foto da un straniero di passaggio al semaforo? Nei Paesi che ancora vivono una civiltà rurale le cose diventano più facili e divertenti e abbiamo sempre tanta spontaneità che in noi Occidentali è scomparsa de decenni.

_RGA5863Problemi etici e morali

Il mondo è grande e le culture sono tante. Diciamocelo chiaramente: le cose più sono diverse da noi più ci piacciono e attirano la nostra attenzione e di conseguenza i nostri scatti fotografici.

Spesso partiamo apposta per andare a vedere certi Paesi e le loro etnie, per cercare quella diversità culturale da raccontare con le nostre immagini e il nostro interesse spesso si concentra sulla povertà altrui. Ora mettiamoci dalla parte di chi sta a casa sua, vive la sua vita in una casetta umile se non in una capanna o addirittura in una baracca…. Cosa penseremmo al loro posto vedendo un bel gruppone di Fotografi in vacanza che si presentano armati di fotocamera a caccia di immagini??? Beh…. Accettare il proprio stato e viverci è un conto, ben altra cosa è invece vedersi fotografati nella povertà come dei fenomeni da baraccone. Esistono sentimenti come la vergogna della propria miseria che andrebbero da parte nostra riconosciuti e rispettati. Che ci si creda o no per qualcuno la fotografia degli occhi ruba l’anima del soggetto ritratto, questo succede in ambiti religiosi animisti. In Yemen invece è tassativamente vietato per chiunque fotografare le donne anche se completamente velate sotto i loro burqa ma al contrario gli uomini accorrono spontaneamente a farsi fotografare ogni volta che vedono un turista intento a scattare tutt’altro. Bisogna anche evitare di fare foto di nascosto e tanto meno contro la volontà già espressa da qualcuno in tal senso: in Africa si rischia di passare alle mani, negli USA si rischia una bella denuncia per violazione della privacy e del diritto all’immagine…

Approccio con il soggetto ritratto.

ritratto
Bambino con Corano. Mali. Foto: © Roberto Gabriele

Vedere una persona, apprezzarne la fotogenia e scattare di nascosto il ritratto del secolo è il modo migliore per un fotografo farsi odiare dai propri soggetti. Occorre un approccio più morbido, forse basterebbe spesso quella che si chiama buona educazione o il semplice rispetto dell’altro. Quante volte ci è capitato di ricevere rifiuti ad essere ripresi da parte delle persone??? Quante volte abbiamo provato a chiedere il consenso allo scatto? Un pò di psicologia pratica nella vita non fa mai male vediamo come usarla per fare in modo che le persone siano più portate a posare per noi… Chiunque sia intento nelle proprie attività di vita lavorativa o privata, di norma preferisce restarci indisturbato e continuare la propria vita liberamente nonostante la presenza di numerosi turisti intorno… Un buon modo per relazionarsi con le persone è…. SALUTARLE!!!! Certo che un “Buongiorno” in Italiano è meglio che niente, un saluto si capisce anche dal gesto, ma è comunque meglio salutare nella loro lingua, prima di partire un minimo di frasario di circostanza dovremmo impararlo…. Buongiorno e arrivederci, grazie e prego nella lingua locale sono il vocabolario di sussistenza necessario per rompere il ghiaccio con chiunque, imparare 4 parole in una nuova lingua non richiede un gran sacrificio… Salutate sempre. SORRIDETE!

Il sorriso accompagnato al saluto sono il modo migliore per entrare in empatia con chi abbiamo di fronte…. Quando scattiamo un ritratto suggerisco anche di muoversi lentamente, di non essere troppo invadenti, di non voler apparire al di sopra del nostro interlocutore nè con i toni, nè con le parole, sorridere è un conto, ridergli in faccia e prenderlo in giro con la certezza che non capisca la nostra lingua è un’altro discorso….. Anche se non capisce le parole e il loro significato, capirà senz’altro i nostri pensieri, le emozioni che gli trasmettiamo…. Non toccare mai le persone, sembra banale, scontato ma non sempre è così…. Impariamo a chiedere le cose con i gesti, e ad interagire il meno possibile con la spontaneità delle persone che ritraiamo. Se sorridono o sono serie riprendiamole così come sono e sentono di essere, senza volerne cambiare noi gli stati d’animo: ridurremmo l’efficacia della foto e porteremo con noi una foto mal costruita.

Altri elementi che senz’altro possono essere di aiuto in uno scambio di cortesie mentre scattiamo un ritratto a qualcuno possono essere il parlare del tempo (lo facciamo anche da noi) basta indicare verso il cielo e fare dei gesti che spieghino il concetto di caldo o di pioggia o freddo ecc. Se il soggetto ha dei figli con sè potete presentarvi con il vostro nome, (sempre a gesti) e chiedere il nome dell’altra persona e/o dei suoi figli: a chiunque fa piacere parlare della propria famiglia. In tutto il mondo.

NON ABBIATE FRETTA! E NON MOSTRATE all’altro che l’unica cosa che volete è scattargli una foto, mostrategli invece che siete SINCERAMENTE interessati a lui/lei. Ricordate il “Piccolo Principe”? Ecco come esprime il creare un rapporto tra due persone: Bisogna essere molto pazienti. In principio, tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba.  Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino.  Poi il giorno dopo ancora più vicino .. finché mi potrai toccare .. Saremo diventati amici, non avremo più paura uno dell’altro. Questo è ciò che possiamo fare per avvicinarci agli altri. Magari non mettiamoci giorni, ma qualche minuto è preferibile…

ritrattoLiberatorie per il ritratto.

Servono o no??? Eh… dipende da che punto di vista intendiamo la cosa e sopratutto cosa vogliamo fare con quella foto. Siamo onesti con noi stessi: sappiamo che pubblicheremo quella foto su una Rivista Internazionale o Nazionale di ampia diffusione, un sito WEB o un Social come Facebook? Si? E allora DOBBIAMO avere una liberatoria, anche se su facebook apparentemente nessuno si lamenta, ma non è così per tutti perchè per alcuni potrebbe essere una vera violazione del proprio diritto all’immagine e potrebbero prendersela davvero a male.

Se invece sappiamo che quelle foto di ritratto le terremo solo per noi, non abbiamo bisogno di nulla perchè la liberatoria è necessaria solo per la pubblicazione, e non per lo scatto in sè. Il buon senso ci aiuterà a fare le scelte giuste. Se una persona mi ha dato il suo assenso allo scatto, me lo darà probabilmente anche per la pubblicazione. Sempre in linea teorica dovremmo avere con noi un modulo scritto nella lingua locale da far firmare a chiunque. Questo è possibile con una APP che si chiama Easy Release ed è disponibile su iPHONE, unico problema è che contempla le maggiori lingue del mondo e non tiene in alcuna considerazione le lingue minori che parlano 3 miliardi di persone, spesso analfabeti…

Ancora sul buon senso: se andate negli USA e non vi fate firmare la liberatoria state pur sicuri che qualcuno verrà a chiedervene conto in tribunale e ci rimettereste sicuramente perchè avete torto marcio. Le liberatorie fatte firmare prima, insieme al consenso di simpatia, sono decisamente più formali, ma stabiliscono dei ruoli. In Africa non sapete cosa farvene delle Liberatorie perchè spesso (senza qui voler fare discorsi razzisti, ma solo statisticamente veri) i vostri soggetti sono analfabeti o magari possono essere sospettosi, vanifichereste quella sana atmosfera di amicizia che avevate costruito fino a quel momento.

Pagare per un ritratto?

_RGA5727In linea generale direi di non pagare mai nessuno per fargli un ritratto fotografico. Se è vero quello che abbiamo detto fino a questo punto, allora è anche vero che il ritratto a qualcuno in un Viaggio è un puro scambio di cortesia e di simpatia reciproco, la sua forza è nella gratuità stessa del gesto reciproco. Un viso mi piace per una serie di motivi, chiedo esplicitamente di poterlo fotografare, poi all’assenso ricevuto NON può seguire una richiesta di denaro.

In questo caso il rapporto è regolato secondo altri parametri che non sono quelli visti fino a questo punto. I Gladiatori al Colosseo si fanno pagare, ma quelli non sono neanche Romani ma Romeni (è vero!) e fanno quello per mestiere: discutibile e opinabile ma sono lì apposta: se vuoi fotografarli paghi. Di certo NON HAI NULLA DI VERO in loro, non sono veri gli abiti, non sono veri i personaggi, sono dei figuranti in costume che paghi in cambio della loro bonaria prestazione (a Roma chiedono 5-10 Euro). In Etiopia vale la regola del: “1 photo-2Birr” ossia con il nostro cambio: 1 foto per 0,2 Euro.

Queste sono persone che (a differenza dei falsi Gladiatori) mantengono vive le loro tradizioni e la loro cultura che altrimenti svanirebbe in pochi anni e per farlo si mantengono facendosi pagare dai turisti. Niente soldi=niente foto. Con loro il pagamento di una foto per un ritratto è dovuto e serve proprio a far avere per loro un senso a non occidentalizzarsi, a rimanere fedeli alle loro tradizioni. L’uomo di questa foto infine era un personaggio che ho gratificato per sola simpatia, non mi aveva chiesto nulla, e dopo gli scatti, prima di andare via, gli ho dato io un piccolo aiuto. Anche in questo caso il rapporto è perfettamente etico e ben gradito come si vede dalla sua faccia gioiosa… Giusto per la cronaca: questa era la foto più bella che gli ho fatto, l’ho fatta per puro caso prima di andare via.

Promesse.

Con le nostre moderne fotocamere digitali è frequente mostrare le proprie foto al soggetto immediatamente dopo averle scattate. A quel punto viene dal Soggetto la richiesta di inviargli alcune foto su carta o via email o via facebook e la nostra risposta “CERTO!!! LO FARO’ SICURAMENTE” deve poi diventare un impegno sacramentato. L’errore più grave che possiamo fare è quello di mentire a chi si è fidato di noi. NON è etico, non è morale. Siate onesti, leali e mantenete le promesse fatte. SEMPRE.

Conclusioni.

Và dove ti porta il cuore…. Sii spontaneo e goditi quel momento dell’incontro. Sii aperto ad ascoltare, ancor prima di essere spontaneo nel chiedere. La gestione del rapporto sta nelle tue mani, sei tu che scatti, sei tu che chiedi qualcosa, sei tu a dettare i tempi e le modalità, ma devi farlo rispettando gli altri che hai di fronte.

Divertiti insomma e oltre ad una bellissima foto porterai le sensazioni bellissime che hai vissuto davanti a quella persona.

Seconda parte

Leggi la seconda parte della nostra guida: Ritratti (parte 2)

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