La Città dei Morti

La città dei morti

Questo Viaggio risale al 2007, quando andai con l’amica Egittologa Stefania Sofra a documentare le meraviglie del Cairo, una città a sole 3 ore di volo dall’Italia eppure ai più sconosciuta…. Pochi pensano di poterci fare un week end, quasi nessuno va a farlo…. E invece il Cairo saprà stupirti…

Durante il giorno la gente è al lavoro e le strade sono deserte
Durante il giorno la gente è al lavoro e le strade sono deserte
Interno di una vecchia cappella funeraria, oggi è cucina e zona letto
Interno di una vecchia cappella funeraria, oggi è cucina e zona letto

In questo articolo voglio raccontarti della mia esperienza fatta alla Città dei Morti, un intero quartiere con decine di migliaia di abitanti che vivono abitualmente in un antico cimitero mamelucco.

La Storia

Negli anni ’30 del secolo scorso, circa 80 anni fa, le famiglie più povere della città in cerca di alloggio trovarono comodo andare a vivere nelle cappelle del vecchio cimitero abbandonato a pochi passi dal Centro. Un territorio enorme, una vera città attraversata da ampi Viali che si allungano lungo i muri delle enormi cappelle cimiteriali… Ogni antica famiglia mamelucca aveva una cappella con annesso un piccolo appezzamento di terreno per le sepolture in terra, anche se molti sceglievano di farsi seppellire nei cenotafi, una sorta di tomba in muratura che fuoriesce dal terreno…

Si dorme anche sotto una tettoia: il clima è sempre mite
Si dorme anche sotto una tettoia: il clima è sempre mite

Le famiglie quindi occuparono il vecchio cimitero senza che nessuna Amministrazione facesse a questo opposizione, era un luogo abbandonato e quelli disposti ad abitarci erano fondamentalmente dei disperati che conveniva relegare lì piuttosto che tenerli a bivaccare come barboni in mezzo alla città. Passarono gli anni e le case prese gratis iniziarono a diventare delle dimore che a costo zero iniziavano ad essere meglio che niente e con il passare del tempo queste prolungate occupazioni diventarono per vari motivi (usufrutto, riscatto, usocapione ecc.) a tutti gli effetti di proprietà di coloro i quali le avevano occupate.

Oggi il quartiere di certo non è diventato di lusso come i Doks di Londra abitato dalla gente bene, anzi, continua ad essere un luogo molto umile ma dignitoso e contrariamente a quanto si possa immaginare è un posto molto tranquillo da visitare. E’ piuttosto desolato: la gente qui si alza presto al mattino per andare a lavorare e durante il giorno non vedrai in giro quasi nessuno, i pochi che restano sono persone molto accoglienti che ti faranno entrare in casa loro a vedere come nelle vecchie tombe oggi ci siano stati piantati i pomodori dell’orto…. Ti mostreranno come i cenotafi oggi siano i loro piani di cottura o dei giardini pensili da innaffiare tutti i giorni…

Le cappelle del cimitero mamelucco usate per dormire
Le cappelle del cimitero mamelucco usate per dormire

Il Governo di oggi, come quello di 80 anni fa, continua a tollerare la situazione ma non ad accettarla, di certo nessuna guida mai ti parlerà di questo quartiere, di certo se l’Amministrazione potesse farlo sparire lo farebbe, ma ci abitano troppe persone e non è possibile raderlo al suolo nè togliere le case a chi con tanta fatica se le è riscattate. Troverete difficile anche farvi accompagnare qui da un taxi, è strano , ma agli Egiziani questo posto proprio non piace.

Le sepolture in terra oggi diventano orti e giardini
Le sepolture in terra oggi diventano orti e giardini
I cenotafi diventano comodi rialzi per vasi e piante da giardino
I cenotafi diventano comodi rialzi per vasi e piante da giardino

Di certo se capiti al Cairo una visita di un paio di ore alla città dei morti conviene farla per scoprire una vera città in cui non ci sono quasi per niente automobili, in cui durante il giorno il silenzio è assordante e il pomeriggio nelle strade si riversano a giocare i bambini dopo la scuola, nel pomeriggio vale la pena venire qui, quando gli abitanti sono in casa e ti mostreranno dove e come vivono, dove ti offriranno un thè comodamente seduto su una cassetta per frutta all’ombra di un pergolato fatto di lamiera… Qui gli unici rumori durante il giorno sono quelli del martello del fabbro che echeggia a centinaia di metri di distanza o di piccole macchine tessili quando passi davanti ad una bottega la cui porta resta sempre rigorosamente aperta…

Vita semplice con un thè
Vita semplice con un thè

 

PROSSIMI VIAGGI AL CAIRO:

Tieniti pronto: qui farai un salto in un luogo senza tempo, sospeso tra modernità e tradizione, torneremo con Viaggio Fotografico alla Città dei Morti, se vuoi essere informato di quando partiremo contattami:

Roberto Gabriele: 347 3790441 oppure via email o WEB:

robertogabrielefotografo@gmail.com

Al pomeriggio si torna a casa e le strade non sono più deserte...
Al pomeriggio si torna a casa e le strade non sono più deserte…

 

Mediterraneo su RAI3

Per concludere, vorrei condividere con Te che hai letto fin qui questo Articolo, una mia bella soddisfazione: le foto che stai vedendo sono state utilizzate come sigla finale del programma Mediterraneo su RAI3 nella puntata del 9 giugno 2013.

Ringrazio Adelaide Costa che ne curò la selezione e il montaggio.

Ritornerò a Innisfree

Tanti sono i motivi per amare un luogo ma a volte ne basta uno soltanto e così, del resto, accade anche per le persone. Per innamorarsi di una donna potrebbe bastare invaghirsi di un particolare, che so: la voce, il modo di ravviarsi i capelli, di camminare, il modo di ridere o di cantare… Tutti elementi o addirittura frammenti della donna-archetipo che ognuno si porta nella testa. Non era forse accaduto così per Andreas, il protagonista de “Il treno era in orario” di Heirich Boll? Egli, disteso ferito al margine di una strada in Francia, durante la seconda guerra mondiale, si era innamorato dello sguardo di una donna, sì aveva conosciuto il più vero e profondo amore in una frazione di secondo, specchiandosi negli occhi di una donna che non aveva più rivista.

unuomotranquilloSe dovessi ridir le ragioni del mio amore per l’Irlanda, farei presto a elencarle. Dico subito che non ho mai approfondito gli avvenimenti storici del Novecento in quell’amato Paese, trovandoli in verità ingarbugliati e soprattutto capaci di distogliermi appunto dall’amore per quell’archetipo-Irlanda che mi ero formato nel cervello. Del resto, mi dico, accade anche così per coloro che amano l’Italia, non stanno a guardar tanto per il sottile alla nostra storia, specialmente a quella recente!
Quanto alla mia passione per la terra irlandese, essa è incominciata con “Quiet man” di John Ford, “Un uomo tranquillo”, il film con John Wayne e Maureen O’Hara. L’avevo visto all’età di dieci anni e fin dalla prima volta mi aveva affascinato, a pensarci bene, per la forza dei sentimenti che tutti i personaggi esprimevano. Sarà stata forse la mia troppo precoce orfanezza di padre a farmi ravvisare nella gagliarda personalità di John Wayne un modello di un uomo protettivo, un tipo buono per me, una sorta di padre ideale, chissà! Fatto sta che quella pellicola mi si era stampata indelebilmente nella mente offrendomi il primissimo spunto di amor d’Irlanda. Dopo di allora mi è capitato di rivedere quel film in televisione e soprattutto, con l’avvento delle videocassette, di riguardarlo un’infinità di volte, sempre aumentando i motivi di interesse. Una fissazione? Può darsi! Potrei raccontare scena per scena, ad iniziar dall’arrivo del treno e dall’annuncio del capotreno:-Castletown! Potrei dire della curiosità, che anima tutti coloro che sono nella stazione, di sapere chi sia quello straniero che è sceso dal vagone, potrei descrivere tante scene, per finire con il racconto della grande scazzottata finale che non rappresenta il culmine di una inimicizia ma, direi, l’inizio di una generale pacificazione.

Adesso l’intero film mi detta una serie di motivi di apprezzamento, ad iniziare dalla bella musica che accompagna la vicenda, seguitando con l’aspra bellezza dei luoghi e soprattutto con l’incanto del verde, con l’assorta bellezza di quella verdità che non è soltanto un colore ma direi piuttosto un concetto, tanti sono i toni affluenti, tante le sfumature che vanno a comporre quell’entità che siamo soliti designare come “il verde”. Proprio questo, il verde, è il cuore dell’Irlanda, così come da tutti è riconosciuto. E possibile allora che un unico film abbia determinato in me una tanto amorevole inclinazione? Indubbiamente siamo davanti a un’opera d’arte, e non è questa la capacità sublime di ogni lavoro che possa definirsi in quel modo.

jamesjoyce“Un uomo tranquillo” è un’opera di poesia, di poesia degli affetti ma contiene non effimeri brani di epos. Sean Torton-John Wayne ritorna a Innisfree, la sua patria elettiva, dopo un tratto della sua vita vissuta in America. Ritorna al luogo del sogno, sulle rive del lago di Innisfree, di cui nel film abbiamo magnifiche scene di tramonto. La pellicola narra la vicenda di un uomo ma anche di una donna e di tutto un villaggio, che alla fine ci si presenta come un luogo di favola, una sorta di Brigadoon, in cui sia possibile la felicità e questa sia ottenibile con la semplicità del vivere e l’autenticità degli schietti sentimenti.

Avanzando nell’età ho letto, come tutti, qualche scrittore irlandese ma senza dare gran peso al luogo di origine come, ad esempio,nel caso di Samuel Beckett, che per quanto mi riguarda potrebbe essere francese o inglese.
Non così con Seamus Heaney, che per mia buona ventura conoscevo dall’epoca precedente all’assegnazione del Nobel, per averlo incontrato nelle pagine di quella gloriosa rivista che fu “Uomini e Libri”, che tanto ha fatto per far conoscere in Italia la poesia del resto del mondo. Heaney mi appariva come un autentico poeta irlandese, con quel suo ricondursi alla tradizione della sua terra, alle eroiche leggende dell’Irlanda, ai personaggi mitici della sua storia.

Non così soprattutto con James Joyce di cui, per mia maggior ventura, ho letto “Ulisse” nella prima traduzione mai fatta in italiano, quella di Giulio De Angelis, con la consulenza di Glauco Cambon, Carlo Izzo e Giorgio Melchiori, quel bellissimo volume in cofanetto stampato su carta giallo-pallido nella collezione I classici contemporanei stranieri diretta da Giansiro Ferrata per Arnoldo Mondadori Editore. Lessi “Ulisse” nel 1961, quando avevo diciotto anni. Fu un’esperienza incredibile, rappresentò per me una profonda revisione di schemi, soprattutto di quelli discendenti dall’insegnamento scolastico, nella sostanza si tradusse in una operazione analoga a quella che avevo compiuto appena un anno addietro, quando avevo conosciuto la poesia di Federico Garcia Lorca, che d’incanto mi aveva sottratto all’ostaggio carducciano, a tutta la monumentalità della poesia. Scoprivamo il flusso di coscienza, vi ci introduceva J.Joyce. In quel periodo si trattò di un evento fenomenale, basti dire che tutte le stelline del cinema, interrogate su quale fosse il libro preferito, attestavano con sicurezza sospetta e senza interporre alcun tempo di dubbiosa riflessione: – Ulisse, di James Joyce! Non saprei riferire ora quanto allora ci avessi capito, posso dire però che l’Irlandese mi aveva conquistato. Non avrei mai più dimenticato la figura del paffuto Buck Mulligan né il sole che saliva sul grigio mare della baia di Dublino (una dolce madre grigia) mentre lui officiava una scherzosa, blasfema?, pantomima della messa con il bacile di schiuma per radersi. E come dimenticare l’errabonda giornata di Leopold Bloom, il borghesuccio ebreo, e di Stephen Dedalus, l’intellettuale tormentato e problematico? Come scordarsi la figura di Molly, come l’attraversamento di Dublino in quella giornata del 16 giugno del 1904?

Qualunque cosa avessi allora capito del libro, riuscii forse ad afferrare qualche nuovo significato ogni volta, quante?, che lo ebbi riletto. Soltanto dopo lessi le poesie joyciane, soltanto dopo Dedalus e Gente di Dublino. L’Irlanda aveva in Joyce uno scrittore geniale! Il più grande del secolo, dicono. Lui sì che mi appariva un grande irlandese! Fu lui a rinsaldare il mio vincolo con quella verde isola. Lui e William Butler Yeats. Di quest’ultimo, per chiudere il cerchio con Innisfree, di cui ho parlato all’inizio riferendomi al ritorno di Sean Torton-John Waine, voglio citare soltanto i meravigliosi versi de L’isola del lago d’Innisfree, nella traduzione di Roberto Sanesi (Mondadori):

YeatsIo voglio alzarmi ora, e voglio andare,andare ad Innisfree,
E costruire là una capannuccia fatta d’argilla e vimini:
Nove filari a fave voglio averci,e un alveare,
E vivere da solo nella radura dove ronza l’ape.

E un po’ di pace avrò, ché pace viene lenta
Fluendo stilla a stilla dai veli del mattino, dove i grilli
Cantano: e mezzanotte è tutta un luccicare, ed il meriggio brilla
Come di porpora, e l’ali dei fanelli ricolmano la sera.

Io voglio alzarmi ora, e voglio andare, perché la notte e il giorno
Odo l’acqua del lago sciabordare presso la riva con un suono lieve;
E mentre mi soffermo per la strada, sui marciapiedi grigi,
Nell’intimo del cuore ecco la sento.

PER SAPERNE DI PIU’

Parti con noi, vieni a scoprire i luoghi descritti in questo bellissimo Articolo di Renato Gabriele Partiremo per l’Irlanda dal 2 al 12 agosto 2013 con un Viaggio Fotografico adatto a tutti: Fotografi incalliti e Appassionati alle prime armi.

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