La metropolitana di New York

The Subway

The Subway: solo qui si chiama così, mai chiamarla Metro…

Amo viaggiare e neppure dopo tanti viaggi ho perso la capacità di stupirmi davanti alle cose che vedo; nulla è mai ovvio né scontato, neanche le cose che già conosco o i luoghi che ho già visitato. Ogni volta è una scoperta perché nel frattempo sono io stesso ad essere cambiato.

La metropolitana di New York non fa eccezione a tutto questo, è un vero viaggio nel viaggio, una sorpresa ogni giorno perché quasi sempre è nuova la gente che vi si incontra.

Già… Ho scritto quasi perchè in realtà ci sono alcune figure che sembrano loro stesse far parte di quelle gallerie e appartenere ai lunghi condotti che conducono nelle viscere rocciose del sottosuolo di Manhattan, quasi fossero elementi di arredo progettati insieme alla stazione.

Umanità in viaggio nella Subway di New York. Foto: © Roberto Gabriele

È il caso dell’uomo che distribuisce le copie gratuite di “Metro”, il free magazine che conosciamo anche in Italia: la sua vita professionale inizia al mattino alle 6 quando comincia ad urlare una specie di litania che dura fino alle 9, allorché le copie del giornale sono esaurite e lui sparisce insieme a loro dileguandosi senza riapparire fino al mattino successivo, e così per anni, per sempre… Puoi ritornare e ritrovarlo lì: stazione 34 linea BDFM.

Se invece ti trovi a frequentare la Grand Central Station, nei suoi infiniti corridoi sotterranei, ed esattamente dove c’è il passaggio comunicante con lo “Shuttle” per Times Square, lì trovi puntualmente la musica Country suonata dalla classica famiglia allargata che esegue questo genere: tre fratelli, due di questi con relative mogli che suonano la chitarra, il basso e la batteria e cantano, vestiti con camicie a quadroni, gonne a fiori e ciabatte. Cantano storie di vita rurale della gente del Sud.

Il Viaggio nel Viaggio. La metropolitana di New York è un mondo a parte. Foto: © Roberto Gabriele

La gente

Ma non ci sono solo gli habitué, nella Subway puoi trovare ogni genere di artisti di strada, alcuni di loro sono dei veri professionisti e hanno uno speciale patentino che li abilita ad esibirsi: li trovi sui treni ma possono essere dovunque, puoi vederli in un in una stazione di periferia e il giorno dopo sentirli cantare a Broadway.

Non è un modo di dire, se cerchi su YouTube “U2 underground Times Square” vedrai che anche loro, gli U2 di Bono Vox, quelli veri, si sono esibiti in un concerto gratuito e non programmato tra i corridoi della piazza più famosa del mondo…

La sigla della Febbre del Sabato sera è stata girata qui. Foto: © Roberto Gabriele

Ti imbatterai in burattinai e suonatori di fisarmonica, in ballerini-acrobati che fanno ogni genere di movimenti spericolati afferrandosi a pali ed a sostegni per le mani, li vedrai esibirsi in spettacoli di alto livello. Naturalmente non manca il disperato, quello che prova a fare qualcosa, che non sa cantare, né suonare né ballare, quello che cerca di attirare l’attenzione parlando di sua madre tossicodipendente e del padre ucciso. Lui in genere non cerca di impaurirti, ma solo di farsi dare un dollaro che non riesce a guadagnare in altro modo.

Scorci dalle stazioni. Foto: © Roberto Gabriele

E poi c’è la gente… migliaia di persone in ogni treno, 5 milioni e mezzo di persone al giorno e quasi due miliardi l’anno! C’è il mondo intorno a te. Ricordo le scene del film “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, in cui un angelo era in grado di ascoltare i pensieri delle persone sulla metropolitana e capirne le infinite storie di vita.

Ecco… quando sono sulla metropolitana di New York le guardo e a volte le fotografo, ma sempre le ascolto, anche nei loro infiniti silenzi.

I loro corpi parlano al posto delle parole: il linguaggio dei gesti, la postura, l’abbigliamento e… Mi piace osservare la gente e immaginarne le storie, proprio come nel film… È bello guardare le ragazze bellissime, altissime. Le vedi dirigersi a Chelsea, dove ci sono le Agenzie di modelle… le immagini andare a fare un casting, potresti magari ritrovarle in un manifesto pubblicitario al rientro in Italia…

La funivia si prende con l’abbonamento della metropolitana. Foto: © Roberto Gabriele

Un viaggio nel viaggio

Puoi vedere ovunque il classico top manager nel suo nuovo look, che ha sostituito la vecchia 24 ore con una borsa nera per il computer, oppure che indossa il cappotto con lo zaino sulle spalle… Mi domandavo perchè ne vedessi tanti in questo look… Allora ho iniziato a osservare i dettagli di ciò che indossavano, cercavo di indovinare che cosa potessero avere nello zaino… Alla fine l’ho capito: vanno al lavoro la mattina portandosi l’abbigliamento per allenarsi dopo l’ufficio.

Finito l’orario di lavoro indossano le scarpe e la tenuta da running, cose che avevano nello zaino la mattina, mettono il cappotto e il resto nello zaino e tornano a casa facendo anche 15-20 chilometri di corsa, allenamento del tutto normale per la preparazione della più classica delle Maratone, proprio quella di New York!

Il manovratore di metà treno. Controlla la sicurezza dei passeggeri. Foto: © Roberto Gabriele

Anche la vecchia icona della donna vestita elegantemente in metropolitana e che calza le scarpe da ginnastica portando quelle con i tacchi a spillo nella borsa è ormai passata: le donne hanno sì tacchi vertiginosi, ma piuttosto larghi e certo stanno più comode rispetto a qualche anno fa!

E naturalmente mi diverto ad osservare il colore della pelle, che mi parla della società cosmopolita Newyorkese e che non ha paragoni in nessun’altra città del mondo in termine di numero di etnie.

Scoprire la città con la metropolitana:

Un’altra cosa che mi piace fare è allontanarmi da Manhattan, dal centro, dall’ombelico del mondo… Prendo la linea 4 o la 5 e me ne vado nel Bronx dove conosco qualche posticino poco turistico nel quale andare a scoprire la faccia più vera della città. La via del ritorno sulla metropolitana è bellissima perché la scena che vi si ripete sempre è quella di trovarmi come unico bianco circondato da un treno di blacks e qualche portoricano, orientali pochi… sì… quasi tutti neri.

Si muovono a famiglie intere, mamme con due o tre figli oppure gruppi di amici adolescenti… Ma sempre insieme, a gruppi. Ci trovi i rappers, quelli più distinti e le facce tipiche delle donne che vanno a fare le pulizie in qualche ufficio a Wall St. La cosa più bella è osservare lo…. “sbiancamento” del colore medio della pelle dei passeggeri man mano che il treno si avvicina a Manhattan e poi a downtown.

I neri scendono e i bianchi salgono: quel treno unisce il quartiere più povero e quello più ricco della città, è un treno democratico uguale per tutti e che accompagna ciascuno nella propria vita.

Deposito della metropolitana in pieno centro a Manhattan. Foto: © Roberto Gabriele

In Italia sarebbe chiusa…

Ma la cosa che mi piace di più della metropolitana di NYC è il suo fascino decadente che non le vieta di essere efficientissima in tutto. Credo che sia la rete più fatiscente che io abbia mai visto in un Paese occidentale, è sporca, decisamente schifosa, gli interni non sono minimamente curati e la manutenzione che viene fatta è solo tecnologica senza nulla di estetico.

Non è raro imbattersi in topi giganti anche in pieno centro, si trovano travi arrugginite e perdite di acqua provenienti non si sa da dove, cartacce e bicchieri di cartone, scatole di pizza e coperte puzzolenti abbandonate dagli stessi clochard per quanto erano inservibili.

Qui si dimenticano i fasti e le decorazioni della metropolitana di Mosca, la modernità e l’arte di quella di Napoli, o la pulizia di quella di Berlino o Dubai. Qui sei vicino all’inferno, anche per il caldo umido che provi tutto l’anno, per il rumore assordante dei treni e dei loro condizionatori. Eppure questa città, senza la sua fetida Subway non sarebbe così bella.

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Le stazioni sopraelevate hanno un fascino fotografico incredibile. Foto: © Roberto Gabriele

La metropolitana e il Paesaggio Urbano

Adoro perdermi nelle stazioni di periferia, quelle più isolate e remote, dove ti trovi da solo ad aspettare un treno o dove scendi e hai l’impressione di essere inseguito di passi silenziosi di un serial killer. Sono quelle stazioni sopraelevate che trovi a Brooklyn, nel Queens, o a Coney Island, dove ti rendi conto di essere nella Little Mosca e dove i negozi hanno le scritte in cirillico! Ne conosco di bellissime: stazioni che passano all’altezza delle basse case a due piani della infinita periferia di New York.

Siamo ad un’ora di metropolitana da Manhattan e siamo ancora nella municipalità di New York. I due capolinea distano tra loro quasi tre ore di viaggio! Da queste stazioni puoi osservare non solo i tetti delle case viaggiando a circa 10 metri di altezza da terra, ma sei abbastanza alto da poter vedere in lontananza tutto lo skyline di Manhattan e i suoi grattacieli che riempiono l’orizzonte. Una vista mozzafiato, uno degli scorci più belli che abbia mai visto della città…

La metropolitana a Brooklyn è sopraelevata, passa sopra al livello delle case basse e da sopra si vedono i grattacieli di Manhattan. Foto: © Roberto Gabriele

C’è una stazione della linea 7 nella quale potrei stare affacciato per ore alla piccola balaustra al termine del binario che va verso il Queens. Da quel punto mi accorgo di essere sopra la città, sotto di me c’è la strada che brulica di auto, camion e persone, e se alzo lo sguardo dritto davanti a me vedo arrivare i treni che arrancano sui binari in salita.

Sullo sfondo di tutto questo, da lontano, posso osservare l’Empire State Building, il nuovissimo One World Trade Center e il traffico di treni e passeggeri che inconsapevolmente sfilano intorno a me.

Le stazioni:

E se prendi la linea A, quella blu, in direzione Far Rockaway e superi l’aeroporto JFK dove decine di aerei riempiono il cielo con i loro boati, non fermarti e prosegui ancora, sei nel nulla, ti stai avvicinando al mare. Eccolo: ora ce l’hai davanti, sei sull’Oceano Atlantico!

Intorno a te vedrai i surfisti affrontare le onde come se fossi in California, qui non ci sono grattacieli ma solo ville sul mare e un silenzio assordante rotto solo dal garrito dei gabbiani.

Approfitta per fare una passeggiata e per dimenticare il centro per qualche ora: qui c’è la quiete che non trovi a Manhattan, quando dopo questa gita ritornerai in mezzo alla gente sarà ancora più bello apprezzare il caos!

Dimentica il traffico di Manhattan e vai a perderti nelle stazioni di periferia. Foto: © Roberto Gabriele

E poi c’è il ponte di Williamsburg, percorrilo al tramonto sulla linea marrone JMZ, quando il sole tramonta. Affacciandoti sulla destra riuscirai a vedere il Manhattan Bridge e poi in fondo il Ponte di Brooklyn con il sole che tramonta dietro ai grattacieli.

Questi sono i venti secondi più belli del viaggio, non puoi allungarli, non puoi ripeterli e non hai tempo neanche di fare una foto: dura un attimo, ti mozza il fiato, senti un groppo alla gola e in quel preciso momento ti rendi conto che sei davvero a New York!!!

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La stazione di Williamsburg, sullo sfondo l’omonimo ponte. Foto: © Roberto Gabriele

Articolo pubblicato sulla Rivista Acqua & Sapone di marzo 2017

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380 chilometri, 25 linee, 472 stazioni, sugli stessi binari puoi prendere i treni Local che fermano in tutte le stazioni oppure gli Express che ne saltano tantissime e sono più veloci, ma se sbagli dovrai tornare indietro!

Per orientarti devi sapere che le linee dentro Manhattan sono parallele tra loro e le stazioni hanno il numero della street che tagliano; troverai 4 stazioni con lo stesso numero, su strade diverse e lontane tra loro.

Una jungla di binari, di gallerie, di collegamenti: puoi camminare a piedi per un chilometro solo per cambiare tra due linee che solo apparentemente si incrociano!

Le direzioni da seguire sono sempre e solo due: Uptown and Bronx oppure Queens and Downtown and Brooklyn.

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le Isole Derawan nel Borneo

Sono passati tanti anni, da luglio 2007 quando ho fatto questo viaggio che ormai posso definire “vintage” nelle Isole Derawan.

Andiamo per ordine… ho sempre amato i viaggi antropologici con etnie e festival particolari per fotografare le tradizioni, gli usi, i costumi e le culture lontane, diverse dalla mia. Scovai un itinerario molto particolare che si svolgeva nel Borneo e comprendeva giungla e isole completamente disabitate.

Questi sono gli abiti tipici dei giorni di festa e usati un tempo per la caccia, la gente li indossa volentieri anche su richiesta.

DOVE SIAMO:

Il Borneo è la terza isola più grande del mondo ed è divisa tra una piccola parte costiera in territorio malese e la maggior parte della superficie, tutta di giungla impenetrabile si chiama Kalimantan ed appartiene all’Indonesia, ed è proprio qui che siamo andati: in un piccolo arcipelago di isole tropicali sconosciute al turismo.

Le Isole Derawan sono 6 e solo 2 di queste sono abitate, le altre sono completamente deserte e per vederle occorre organizzarsi bene. Quando andammo, lo facemmo per puro desiderio di esplorazione, per il piacere della scoperta, di poter vedere qualcosa di esclusivo, un paradiso inesplorato. All’epoca non esistevano neanche reality come quelli che ci sono ora sulle varie isole deserte, una volta trovata la location il resto era da organizzarsi sul campo. E così facemmo.

Non era un viaggio semplice da organizzare: innanzitutto avevamo bisogno di una guida specializzata che sapesse condurci in posti così sperduti in cui ogni imprevisto può trasformarsi in un problema o una tragedia. 11 persone che arrivano dall’Italia hanno necessità di muoversi in sicurezza, dovevo prendermi cura di tutto per fare una fantastica esperienza.

Nelle due isole abitate delle Derawan, naturalmente c’è la scuola, ne abbiamo approfittato per andare a fare qualche scatto. Foto: © Roberto Gabriele 2007

LA GRANDE AVVENTURA:

La prima cosa imprescindibile della quale occuparsi è l’acqua potabile… Eh già… Nella giungla l’acqua non manca: la prendi dal fiume ed è pulitissima, ma nelle isole deserte circondate dal mare, l’acqua da bere è un grosso problema, nessuno aveva voglia di raccogliere quella piovana che nessuno poteva assicurarmi che ci sarebbe stata, nonostante il monsone.

Ho fatto quindi due conti sul fabbisogno giornaliero e ho preso acqua in bottiglie di plastica che bastassero per tutti e fossero più che sufficienti senza sprechi. 3 litri a persona per 11 persone per 8 giorni…. fanno…. 44 casse di acqua da 6 bottiglie! Un numero decisamente impressionante, ovviamente per trovarle prima di partire è stato difficile nel porticciolo di Tarakan, l’unica abitata tra le Isole Derawan, ma questa è la parte divertente del viaggio: abbiamo preso un pulmino e ci siamo fatti portare a fare la spesa in un supermercato più grande. In questi posti, pagando pochi spicci puoi ottenere qualsiasi servizio inizialmente non previsto.

Quando cerchi di immaginare il paradiso, forse potrebbe venirti in mente un posto come questo. Foto: © Roberto Gabriele 2007

Anche i viveri non sono stati una cosa semplice da gestirein un arcipelago deserto come le Isole Derawan: le verdure non si sarebbero conservate per 10 giorni fuori dal frigo, idem per le uova, formaggi non se ne trovano perchè in zona non ne producono, ho risolto il problema anche della conservazione con i famosi formaggini con la mucca disegnata sulla scatola. Poi scatolame di mais e tonno locale e fagioli e le solite patate che non mancano mai nel menu di sopravvivenza. Immancabile la pasta…. di grano tenero, quella che noi italiani amiamo tanto, quella che si incolla e si disfa impastandosi nel piatto solo per condirla… ma non avevamo alternative… Ci rimaneva il pesce che avremo pescato in navigazione.

Fatta la spesa siamo andati al porto a prendere la barca… speravamo in un cabinato spartano ma ci siamo resi conto che l’unica cabina presente a bordo era quella del timoniere, nella quale ovviamente era impossibile dormire!!!! Ok, in effetti partiamo per andare a dormire sulle isole, il cabinato non ci occorre: abbiamo le nostre tende per colonizzare le spiagge vergini di queste isole che si trovano due gradi al di sopra della linea dell’equatore. Siamo saliti su una specie di peschereccio di legno che aveva un tendalino sopra, fortuna che non puzzava di pesce marcio: sarebbe stato la nostra casa galleggiante x 8 giorni…

Tipica barca locale ormeggiata in un paradiso nautico. Foto: © Roberto Gabriele 2007

Inizia la navigazione: circa 100 miglia marine (160 km) da fare sul nostro peschereccio… Impiegheremo una giornata intera per coprire la distanza. Finalmente arriviamo a destinazione: attracchiamo su una delle due isole abitate: Pulau Panjang. Qui troviamo un piccolo villaggio ma molto vivo, c’è il porticciolo e per noi un alberghetto, nulla di lusso ma le stanze sono delle palafitte in mezzo al mare e collegate con un pontile alla terraferma, sotto di noi vediamo delle grandi gabbie in mare…. servono per l’allevamento delle aragoste che mangeremo a cena: una aragosta intera a 7 euro!!!!

Prima di cena decidiamo di fare un aperitivo…. Ci accorgiamo però di quanto sia difficile da spiegare ai locali cosa sia un aperitivo!!!! 10 anni fa anche in Italia non era un modo tanto diffuso come oggi per fare una serata… ma noi avevamo tempo e voglia di spiegarlo al povero ristoratore che aveva avuto la sfortuna di riceverci nel suo locale. Ovviamente la prendemmo tutti a ridere ed era un modo per relazionarci con lui… non aveva nulla che fosse spizzicabile come siamo abituati noi… riuscimmo a farci preparare una frittura di calamari con una birra calda (non c’era il frigo) e quello fu il nostro aperitivo di tendenza. La location in riva al mare, su un’acqua trasparente e cristallina e circondati dal silenzio rotto solo dalle onde erano invece la cornice perfetta per una serata fantastica prima di iniziare il tour.

Ultimo avamposto semicivilizzato su una delle due isole abitate delle Derawan. Foto: © Roberto Gabriele 2007

Al mattino successivo prendemmo il nostro peschereccio con il pieno di benzina fatto alla volta di Pulau Maratua, la prima delle isole deserte in cui sbarchiamo. Eh, già… il nostro è un vero e proprio sbarco: essendo deserta l’isola, evidentemente non c’è neanche un approdo: la nostra barca oltrepassa la barriera corallina, si avvicina a riva e ci tuffiamo nelle acque basse per procedere a piedi fino alla spiaggia. Naturalmente in questo modo scarichiamo a mano l’acqua, le tende, i viveri e… le fotocamere!!!!

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Siamo, ovviamente da soli, sulla spiaggia di un’isola deserta nella quale non c’è nulla, non esiste neanche pensare alla copertura del segnale per i cellulari, nulla di nulla che ci avvicini in qualche modo alla civiltà, quando sarà buio tra le tende vedremo grazie alla luna e al fuoco che accenderemo sulla spiaggia usando i rami di palma secchi che raccoglieremo nel pomeriggio. Totalmente isolati, niente acqua se non la nostra, nessun rifugio, niente corrente elettrica e in caso di una qualsiasi emergenza sanitaria che può sempre capitare, siamo ad almeno 10 ore di navigazione dal più vicino ospedale. Mi raccomando con il gruppo di… evitare incidenti!!!!

La nostra barca all’ancora nel primo mattino. Foto: © Roberto Gabriele 2007

Stare su un’isola deserta è eccitante, lo senti, lo sai che quell’angolo di paradiso in terra è reale, e per quel giorno è solo tuo! Un’isola deserta è destabilizzante, perchè sai di essere da solo e vedi realizzato un sogno che pensavi potesse esistere solo nella tua fantasia. Lontanissimo da tutto e da tutti. Sei da solo con te stesso! Il tempo si dilata, le giornate vengono cadenzate solo dal ritmo della natura, dal sorgere e calare del sole, dal caldo, dalle piogge e dalle maree. Ti accorgi che improvvisamente cambia la tua scala di valori e di priorità. Lì non ti servono soldi nè tecnologia, nè auto, nè abbigliamento, ti basta la fotocamera, l’acqua, qualcosa da mangiare e per accendere il fuoco.  Oltre alla benzina nella barca per tornare a casa… Fine. Non hai bisogno di altro.

Questo tratto di sabbia che ci divide dagli alberi che si intravedono all’orizzonte, 6 ore prima era mare aperto, adesso con la bassa marea possiamo attraversarlo a piedi. Foto© Roberto Gabriele 2007

LA SCOPERTA DEL MARE nelle Isole Derawan:

Personalmente non amo il mare, non mi piace stare in spiaggia a prendere il sole, ma qui è tutto diverso e quindi stimola la mia curiosità di fotografo e di viaggiatore. Mi sono cercato delle occasioni per fare le mie foto e ho scoperto la bassa marea, un fenomeno del tutto normale in natura a qualsiasi latitudine, tranne nel momento in cui mi accorsi che su quell’isoletta che vedevo davanti a me quella mattina, nel pomeriggio potevo andarci a piedi!

E così facemmo: raggiungemmo l’isoletta camminando su un prato di stelle marine che erano rimaste sul fondo sabbioso del mare in certe pozze di acqua lasciate dal mare quando si ritirava. Lì ci fu un incontro piuttosto particolare… sul lato opposto dell’isoletta vedemmo da lontano una barca ormeggiata e 4-5 uomini tutti armati di pugnale che camminavano sulla spiaggia. Essendo quella una zona di pirati, il primo pensiero naturalmente fu al peggio: se fossero stati lì per noi non avremmo avuto scampo, come minimo ci avrebbero rubato tutto. Ma intuii che se fossero stati lì per noi sarebbero venuti direttamente sulla nostra isola e che quella non mi sembrava una azione di attacco. Infatti li avvicinammo nonostante tenessero i pugnali in mano ed erano dei semplici cercatori di ostriche che approfittavano della bassa marea per raccogliere i preziosi mitili da vendere ai ristoranti.

Gli uomini armati di pugnale: pensavamo fossero assassini o pirati, ma erano per fortuna solo dei raccoglitori di ostriche sbarcati per lavoro sulla nostra isola deserta. Foto: © Roberto Gabriele 2007

Nella fascia equatoriale fa buio presto: intorno alle 18, tutto l’anno. E così poco dopo quell’ora si cena e si resta a rimirare il cielo stellato e ad ascoltare lo sciabordio delle onde che di notte si colorano dei bagliori verdi generati dal plancton. Rimaniamo estasiati dallo spettacolo e nessuno ha il coraggio di dire banalità…. Non ci sono neanche zanzare, per cui ci possiamo addormentare sulla spiaggia, fuori dalle tende e attendere l’alba arrivare sulle Isole Derawan prima che in ogni altra parte del mondo…

Non saprei il nome di questo simpatico animaletto con gli occhi grandi che corre con le zampette fuori dall’acqua e nuota velocissimo quando vi è immerso. Foto© Roberto Gabriele 2007

Quando fa giorno abbozziamo una specie di colazione: qualche biscotto e una tazza di the, non abbiamo altro e questo sarà il nostro menù per i prossimi 10 giorni. La giornata prosegue con l’esplorazione dell’intricata foresta di mangrovie che ricopre l’isola. Scopriamo dei curiosi animaletti che assomigliano a delle velocissime lucertole anfibie con gli occhi grandi che respirano fuori dall’acqua ma che sono velocissime a tuffarcisi per difendersi se temono il pericolo…

Scopriamo il piacere dell’ozio filosofico, della noia dialettica, impossibile fare programmi, non ci sono alternative che lasciar passare le ore della giornata continuando a pensare se davvero sia bello vivere in paradiso. Tra un silenzio e l’altro, tra una palma e un varano, ogni tanto qualcuno si determina a rompere gli indugi e tuffarsi in mare armato di maschera, boccaglio e pinne per fare un pò di snorkeling nella barriera corallina.

Anche qui si aprono per me dei mondi nuovi e inesplorati: non avevo mai nuotato sulla barriera corallina, solo stando con la testa sott’acqua entri in un mondo parallelo: il grande blu. Sotto di me a pochi centimetri ci sono coralli e pesci coloratissimi, uscendo di pochi metri, la barriera corallina sprofonda fino a perdita d’occhio, molti metri più in basso vedo pesci enormi che mi inquietano quanto basta per ritornare nella mia zona di comfort: sopravvivere in un’isola deserta non mi spaventa, le profondità misteriose del mare invece ci riescono benissimo.

TARTARUGHE E ALTRI INCONTRI:

Uno dei ranger ha scavato le uova di tartaruga deposte nel nido per portarle al sicuro da predatori. Foto: © Roberto Gabriele 2007

Sangalaki è poco più di uno scoglio, sarebbe disabitata se non ci fossero 4 rangers che vivono lì per fare una serie di studi sulle tartarughe marine giganti che arrivano a decine ogni notte per fare il nido e deporre migliaia di uova. Qui è impossibile dormire fuori dalla tenda: le tartarughe ti passerebbero sopra e la cosa non sarebbe bella: un animale del genere facilmente supera i 150 chili! Evitano invece le tende perchè le vedono come ostacoli. La notte in quest’isola però l’abbiamo passata in bianco a guardare lo spettacolo della natura.

Le tartarughe arrivano in spiaggia, e vanno dritte come se sapessero già dove andare a fare il loro nido, e anzi, sicuramente lo sanno benissimo, poi si fermano e iniziano a scavare una buca profonda circa 80 centimetri, appena finita la buca si mettono su di essa in posizione per deporre le uova e poi la richiudono con la sabbia.

Il respiro della tartaruga mentre lavora per deporre le uova è impressionante, è un forte sospiro, quasi un rantolo che si sente forte e deciso nel buio della notte. Tutta la nidificazione dura circa 2 ore. Avviciniamo i rangers che censiscono il fenomeno: quante tartarughe per ciascuna notte, dove depongono le uova, quante ne fanno…. Sono dei giovani ragazzi che vivono qui sull’isola e fanno anche un lavoro duplice di ripopolamento: da una parte prendono alcune uova e le mettono nelle incubatrici per farle dischiudere in modo sicuro lontane dai pericoli, e dall’altra creano delle gabbie sulla sabbia  intorno ai nidi che terranno fino a quando si schiudono le uova, poi proteggeranno alcuni piccoli dai predatori fino a quando arriveranno al mare.

Giovanissimo tartarughino, nato pochi minuti fa, si avvia rapidamente verso il mare dove sarà al sicuro da varani e uccelli predatori. Ne muoiono a migliaia ogni giorno, quelli che si riescono a salvare sono pochissimi. Foto: © Roberto Gabriele 2007

I varani e gli uccelli sono pericolosissimi sia per le uova che per i neonati mentre si avvicinano all’acqua del mare, in quel momento sono vulnerabilissimi: pochi di loro riescono ad arrivare a riva, gli altri piccoli muoiono di stenti solo per uscire dalla sabbia o vengono predati. E’ questa la dura legge della natura.

L’isola di Kakaban famosa per le sue meduse non urticanti. Foto: © Roberto Gabriele 2007

Pulau Kakaban è un’isola incredibile: anche questa è completamente disabitata, è palesemente il cratere di un vulcano spento che esce dal mare ed è pieno di acqua marina senza alcun collegamento con il mare aperto. Questo ha fatto sì che all’interno del cratere ci sia un lago di acqua marina nel quale l’unica forma di vita sono milioni di piccole meduse non urticanti tra le quali si può nuotare liberi da ogni pericolo.

Sull’isola l’unico pericolo sono invece alcuni piccoli serpenti non velenosi ma tossici, il loro morso non è letale ma occorre fare molta attenzione per non passare qualche ora con grossi problemi… Piazzammo le tende sull’unico spazio disponibile in tutta l’isola che non fosse in pendenza: un pontile di legno che faceva da attracco per le barche.

Tutto bene fino a quando nel pomeriggio iniziarono ad avvicinarsi le nuvole, non erano semplici nuvole da pioggia, lo capimmo subito. Arrivarono dal mare nere, profonde e minacciose. Il tempo passò dal sole al buio in pochi istanti, e rimase oscurato per un’oretta, aspettavo di fare il mio incontro con il monsone. Hai presente il detto della calma che precede la tempesta? Ecco… Improvvisamente dal nulla si alza un vento fortissimo, è un vento che è dato dall’improvviso cambio di temperatura, quasi che Zeus abbia aperto il portone dell’uragano, riusciamo ad entrare in tenda e un minuto dopo il cielo si apre in una secchiata di acqua che attraversa i teli delle tende come se non ci fossero.

Impossibile anche svuotare gli interni della tenda: l’acqua ci sommerge completamente, inutile anche rimanere dentro, tanto vale uscire fuori a lavarsi finalmente per la prima volta dopo una settimana con l’acqua dolce. Sfruttiamo il monsone per una doccia che ci toglie il sale accumulato sulla pelle ma non i ricordi di un Viaggio straordinario oltre i confini dell’immaginario.

Il nostro campo tendato: lo abbiamo montato nell’unico parte pianeggiante dell’isola, il molo di attracco. Foto © Roberto Gabriele 2007

Leggilo su Acqua & Sapone:

Questo Articolo è stato pubblicato sulla Rivista Acqua & Sapone a luglio 2017, sfoglialo sul sito: https://www.ioacquaesapone.it/leggi/?n=asluglio2017#115

L’articolo impaginato sulla rivista a pagina 115.
Clicca sull’immagine per leggerlo on line.

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