Nepal

NEPAL

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Il Nepal, piccolo stato dell’Asia meridionale situato tra Cina e India, non ha sbocco sul mare ed ha un territorio prevalentemente montuoso.

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Ciò che colpisce il viaggiatore sono gli innumerevoli siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità, tra cui spiccano i templi e la valle di Kathmandu, Bhaktapur, lo Stoupa di Boudhanat, Lumbin e Patan: nonostante i danni ancora ben visibili causati dal terremoto del 2015, sono luoghi incantevoli che vale la pena visitare per l’atmosfera mistica ed altamente spirituale che li pervade.

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La popolazione nepalese vanta una varietà di circa 100 gruppi etnici, con oltre 92 lingue parlate. La suddivisione in caste, anche se ufficialmente abolita, gioca ancora oggi un ruolo preponderante nella società.

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La  mortalità giovanile è molto alta ed il tasso di alfabetizzazione è basso: solo una donna nepalese su dieci è ad esempio capace di leggere e di scrivere.

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Tra i paesi più poveri al mondo, basa la sua economia prevalentemente su allevamento e agricoltura, che possono però garantire una mera sussistenza a causa della limitata estensione di terre coltivabili e delle difficili condizioni morfologico-climatiche.

Ancora oggi, la sopravvivenza della popolazione dipende in larga parte dagli aiuti degli organismi internazionali.

Nonostante la quotidiana, conseguente precarietà della maggior parte dei suoi abitanti, il Nepal sembra essere uno dei paesi più felici al mondo: i volti sorridenti dei nepalesi, così come la loro gentilezza e calorosa ospitalità, ne sono una dimostrazione lampante.

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Questo racconto di  Stefano Bianchi ha partecipato al  Travel Tales Award 2024

Moldavia

Meta/East

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Moldavia – In un paese schiacciato tra Romania ed Ucraina, tra l’Unione Europea e la Russia, gli ultimi hanno dimora.

Ci si interroga su quello che è la Moldavia oggi, ossia un autocrazia dove gli uomini forti dirigono e controllano le masse deluse, frustrate, spazientite e in attesa di riforme.

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Gli ultimi sono i protagonisti delle piazze vuote e spettro del paese, vivono in una situazione precaria che ha portato molti di loro ad emigrare lasciando i villaggi privi delle generazioni intermedie e popolati da bambini, ragazzi ed anziani che interpellano un futuro incerto.

Sono coloro che vivono quei silenzi incidenti, all’inizio e alla fine delle giornate, spezzati dai canti ortodossi provenienti dalle chiese, punti di riferimento simbolici di molti valori nonché sinonimo di tradizione.

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Schiacciati dai retaggi del regime comunista, dai residui di quel che resta della centrale nucleare di Chernobyl, gli ultimi vanno a popolare anche quei villaggi che dovrebbero essere cancellati per le radiazioni pur di sfuggire alla povertà trasformandosi nei primi delle regioni morte.
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La forza femminile

Molte donne, vera forza lavoro locale, scelgono di abbandonare le loro case e diventare badanti dell’Europa lasciando molto spesso le proprie famiglie ma con l’obiettivo di ritornare per restituire quel futuro interrogato. I ragazzi soli crescono in strada, in molti casi con i nonni, in molti altri dislocati in zone lontane dai grandi agglomerati urbani.

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L’assenza delle figure materne genera gli orfani sociali, categoria di deboli e ultimi che spesso vengono accolti da famiglie povere strappandoli dalle fredde camerate degli orfanotrofi fatti di blocchi di cemento non riscaldati.

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La Moldavia è la nazione più povera d’Europa che ha subito negli ultimi 15 anni un’incisiva mutazione demografica: tra i palazzi alti e grigi, ancora fermi con gli intonaci cadenti e privi di persone, si respira la diaspora fatta di dolorose partenze ed incerti ritorni.
Città perdute dove gli ultimi sono i primi sognatori e protagonisti dei miei ritratti.

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Molti di questi scatti sono stati catturati in strada, altri nascono dalla conoscenza fatta durante il viaggio degli abitanti del posto, altri ancora richiesti da coloro che per alcuni secondi volevano garantirsi un’illusione di eternità.

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La storia è divisa in tre parti: l’infanzia, la maturità e la vecchiaia. Tre generazioni a confronto che, con i loro volti e i loro contesti, raccontano quel paese metafisico e surreale quale è la Moldavia, ma anche tangibile dove il tempo è fermo e dove il confine tra passato, presente e futuro sembra scomparire.

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Gli anziani sono dunque gli stessi adulti e gli adulti gli stessi bambini che rimangono se stessi nel cambiamento, nella solitudine, nel loro essere persi nella città, dando anima ad nuovo romanticismo che contempla qualcosa che si distrugge e muore ma che può rinascere o trasformarsi.

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Questo racconto di  Sara Aliscioni ha partecipato al  Travel Tales Award 2024

Carbonai

Gli ultimi carbonai della Calabria

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Carbonai – Nei pressi del paese di Serra an Bruno, sulle montagne calabresi, resistono ancora gli ultimi carbonai che si dedicano alla produzione del carbone vegetale naturale.

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Un’attività che ha caratterizzato l’economia di molte aree montane della Calabria fino a pochi decenni fa. Un antico lavoro, svolto da poche famiglie, che si tramandano questa tradizione di padre in figlio.


I carbonai raccolgono la legna nei boschi, principalmente leccio, la quale viene poi impilata in grandi cataste, dette “scarazzi”, che vengono ricoperte di terra e paglia bagnata per creare un ambiente controllato per la combustione lenta.

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Questo processo, che dura anche un mese permette la trasformazione della legna in carbone vegetale attraverso una combustione parziale. La disposizione della legna, il controllo della ventilazione e la gestione del fuoco sono tutte competenze cruciali per garantire una produzione di carbone di alta qualità.

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Una vera e propria arte, tramandata di padre in figlio nelle poche famiglie locali ancora rimaste nel dedicarsi a questo incessante e duro lavoro.

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Gli scarazzi infatti vanno continuamente alimentati, controllati e ricostruiti a rotazione per tutto l’anno, ogni giorno, 365 giorno l’anno. Un duro lavoro che segna i volti, le mani e la salute di questi uomini.

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L’attività dei carbonai era parte integrante dell’economia rurale calabrese. Il carbone vegetale era un combustibile fondamentale per le industrie locali e le famiglie prima della diffusione del carbone minerale e dei vari combustibili fossili.

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Questo racconto di  Segio Volani ha partecipato al  Travel Tales Award 2024

Theyyam – India

I tamburi diffondono ritmi millenari, il culto del Theyyam

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I tamburi diffondono ritmi millenari. Siamo nel Kerala, stato dell’India meridionale, nella regione della Costa di Malabar. Qui è ancora vivo il culto del Theyyam, un rito antichissimo che secondo alcuni risale al periodo neolitico.

Un rituale intenso, radicato nel mondo naturale. In oltre 400 rappresentazioni vengono illustrate le azioni di dei e dee, spiriti, antenati, eroi, animali e alberi. Il pubblico circonda i danzatori, entrando in comunione con loro.

Nel mezzo della giungla, in luoghi che cambiano di giorno in giorno e che vengono rivelati solo tramite il passaparola, ha luogo il rito “magico”.

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I preparativi iniziano ore prima della performance, con la creazione di elaborati costumi fatti di foglie di palma e altri materiali, tutti provenienti dall’ambiente naturale. La cerimonia del trucco e della preparazione dei costumi avviene ai margini della pista in cui verrà celebrata la danza.
Theyyam

I danzatori, andando contro i ruoli tradizionali, provengono dalle caste inferiori della società indù. Sacerdoti della casta superiore dei bramini li invitano a eseguire il Theyyam, perché, pur provenendo dalle caste inferiori, nel momento in cui avviene la metamorfosi da uomo a divinità, si innalzano anche al di sopra delle altre.

Mentre l’oscurità sta per cedere il passo alla luce del giorno, il pubblico assiste in religioso silenzio. Al suono dei tamburi il danzatore entra in trance. È a quel punto che, secondo la tradizione, cessa di esistere come uomo e la divinità prende il suo posto.
Una rappresentazione Theyyam può durare fino a 24 ore. Folle accorrono ad assistere al rito in cerca di una benedizione da parte degli dei, entrando in comunione con il mondo e con la divinità.

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