Per anni mi sono detto che avrei dovuto visitare Cuba prima della dipartita di Fidel Castro pensando che alla sua morte l’isola si sarebbe velocemente trasformata.
Il caso ha voluto che fossi a Cuba, assieme a tre amici fotografi, proprio il giorno della sua morte, il 25 novembre 2016 e per i successivi 9 giorni di lutto nazionale dichiarati dal fratello e capo del governo cubano, Raul Castro.
In quei giorni abbiamo attraversato tutta l’isola, dall’Avana a Santiago, percorrendo le stesse strade del corteo funebre, incontrando e parlando con decine e decine di donne e uomini cubani. Abbiamo visto una Cuba compatta nell’unità nazionale e penso sinceramente addolorata per la mancanza improvvisa del loro “Comandante”, come tutti lo chiamavano, uniti nello slogan “Yo soy Fidel”.
Alla domanda: “Ed ora dove andrà Cuba?” tutti, con varie sfumature, ma con grande determinazione, hanno risposto che la direzione era già stata segnata dal Comandante e che avevano intenzione di seguirla adattandola ai giorni nostri.
So perfettamente che a Cuba c’è un ferreo regime, ma penso che la maggior parte fosse sincera, unita da una orgogliosa identità nazionale che il lutto rendeva, se possibile, più forte.
Ho avuto la sensazione che per tanti fosse come la perdita di un padre, molti hanno anche aggiunto: “Nel bene e nel male”, parlando della guida del Comandante, “Ha fatto il meglio che poteva per Cuba”.
La storia giudicherà.
ESCUELA CUBANA DE BOXEO – Una palestra di vita sul ring
In un paese lontano lontano, famoso per i sigari, il rum e la rivoluzione, si lavora duro. Ovviamente parliamo di Cuba, patria della boxe dilettantistica. Si stima che un ragazzino su due pratichi quella che per i cubani è una nobile arte e non una lotta.
A sette/otto anni inizia la formazione in palestre di quartiere volute e finanziate dagli stessi abitanti. Ci si dedica anima e corpo per rincorrere il sogno olimpico e rappresentare così il proprio Paese.
Una volta conclusa la propria carriera si diventa allenatori e il ciclo continua con le generazioni successive. La dedizione, la tradizione storica e il ritmo che i cubani hanno nel ballare li rendono pugili forti che poi hanno trionfato nel corso della storia.
Percorrendo le strade dell’Avana con sorpresa e gioia mi sono infilata (cogli l’attimo) in questa palestra di boxe e ho assistito all’allenamento dei ragazzi, guidati sapientemente dall’esperienza dei maestri.
È stata una bellissima esperienza che mi ha portata a riflettere sulla semplicità con cui questi ragazzi vengono tolti dalla strada ed educati allo sport come palestra di vita.
Ho immaginato che il sogno del bimbo coi guantoni sia quello di salire sul ring, di combattere, di far diventare il suo sport una vera e propria professione, ma questo a Cuba non è previsto per nessuno.
Per il momento la magia racchiusa nei guantoni dei cubani resterà una riserva e un privilegio di quella bella “Signora” chiamata Cuba.
C’è una Cuba che tutti conoscono, è la Cuba della Salsa e di tutti i balli caraibici che la fanno amare da milioni di persone in tutto il mondo, ma non è questa la vera Alma de Cuba. C’è la Cuba legata ai grandi Rum pregiatissimi che sono apprezzati dagli estimatori di 5 Continenti. C’è la Cuba famosa per Che Guevara e Fidel Castro e la loro Rivoluzione. Ma non è di tutto questo che oggi voglio parlarvi, questo già lo sapete.
A me interessa il popolo, quello che fa e che sente la gente vera quando è lontana dai riflettori mediatici. Voglio parlarvi del motore sociale dell’Isola Grande, di coloro che con la loro opera quotidiana rendono questo posto una meta imperdibile per noi Viaggiatori e Fotografi.
Oggi voglio raccontarvi di quel popolo silenzioso e cordiale che vive tutto questo in prima persona in un luogo del mondo che sta crescendo troppo in fretta suo malgrado e senza accorgersene. Oggi vi parlo di come si arriva a quelle eccellenze e di come sta la gente vera, quelli che dopo 60 anni di Fidel Castro ancora lo amano anche dopo la sua morte.
Voglio farvi capire cosa c’è di bello nell’anima della gente di Cuba. Voglio uscire dai luoghi comuni che tutti conoscono, e farvi apprezzare una realtà complessa che ho toccato con mano.
In molti Paesi del mondo per trovare la gente più vera e autentica, occorre allontanarsi dalle grandi città, andare nelle campagne dove si vive ancora come una volta tra antiche tradizioni e uno stile di vita semplice. Bisogna vivere per qualche giorno in un luogo lontano per ritrovare tutt’oggi quello che era il vissuto quotidiano dell’Italia del Dopoguerra. Cuba non fa eccezione: la campagna è il vero senso di questo viaggio.
Ahimè, molto spesso, dobbiamo riconoscere che ci farebbe molto comodo poter lasciare intere nazioni nel loro degrado fascinoso e autentico, lasciarle nella loro arretratezza rispetto ai nostri standard. Molto spesso pensiamo che stiano meglio loro senza nulla rispetto a noi che abbiamo tutto.
La questione è un pò più complicata e ve la racconto dalla viva voce dei cubani che me la hanno raccontata durante i miei due viaggi ad un anno di distanza nella loro terra. A Cuba un benestante guadagna 100 Euro al mese, ma molti fanno 2-3 lavori, hanno più stipendi, ma riescono a recuperare pochi altri soldi, in genere ci sono famiglie intere che non arrivano a 150 Euro al mese pur con tutti gli extra.
I Cubani sono gente di cuore, gente che vive di passioni, fondamentalmente onesta e apparentemente felice nel loro piccolo mondo. Apparentemente perchè in pochissimo tempo le cose stanno cambiando velocemente, la gente inizia a sapere cosa c’è oltre il mare che circonda quell’angolo di paradiso e il turismo inizia a diventare di massa. Viene spontaneo quindi per loro, e giustamente, guardarsi intorno e fare le dovute differenze tra chi vive lì e chi ci va per turismo.
In città da un anno all’altro sono successe tantissime cose. Troppe…
La prima volta che sono andato era appena finito l’embargo e sembrava di vivere nella nostra Italia del Boom economico avendo loro la stessa tecnologia che avevamo noi negli anni ‘60. Tante televisioni, radio qualcuna, nessuna lavatrice, e le mitiche cadillac degli anni ‘50 ancora perfettamente funzionanti.
L’arrivo di Internet
Ma la prima rete WIFI pubblica (nelle case ancora non esiste) è arrivata a giugno 2015 e ancora oggi ci si può connettere solo in alcune piazze di alcune città, da quel giorno, nel giro di 15 mesi sono avvenuti dei cambiamenti storici che hanno modificato per sempre la vita dei cubani.
Innanzitutto la visita di Obama, il primo Presidente Americano che sia venuto in visita ufficiale, poi subito dopo questo ha portato l’arrivo della prima nave da crociera, la prima di una lunga serie che scaricano 4-5000 passeggeri al giorno in una città che fino ad un anno prima vedeva le stesse persone in un mese.
E’ arrivato poi il concerto dei Rolling Stones che ha portato… “musica nuova” qualcosa di molto diverso dalle sonorità a cui erano abituati i locali. E infine la morte di Fidel Castro che ha causato la fine di un’ epoca.
I Cubani non sanno più dove stare, sono cambiate troppe cose in due anni, troppo rapidamente. Hanno iniziato a conoscere il lato consumistico del turismo, hanno visto arrivare soldi e sbarcare turisti e hanno visto il guadagno facile. Ma tutto questo senza avere una struttura mentale imprenditoriale, senza conoscere cosa sia il concetto di Qualità, di Servizio, di professionalità.
Sono ancora mentalmente molto legati allo stile di vita assistenzialista che avevano sotto Castro. L’Havana è una città troppo piccola per sostenere ondate così grosse di turisti e non è pronta ad accoglierli. Le campagne vivono i cambiamenti in modo più lento, ma anche lì si stanno iniziando a guardare intorno a capire che ancora molte cose gli mancano.
Gli errori più grandi che noi occidentali possiamo fare in questi casi sono due ed opposti tra loro. Il primo è il pretendere che i popoli si adeguino a noi in tempi troppo rapidi. Il secondo errore è quello di pretendere che rimangano in una loro affascinante quanto decadente arretratezza per preservarne la naturalità e la spontaneità.
La verità, invece, è che da queste parti in campagna si vive ancora bene. Questo accade non solo perchè i ritmi sono più lenti e adeguati all’indole del popolo cubano, ma perchè questi ritmi sono quelli più naturali per la nostra natura umana. Ogni momento è legato al ciclo lento delle stagioni che segnano il tempo del lavoro nei campi. La gente vive ancora lontana dal turismo. Ci si reca al lavoro su un carretto trainato da un cavallo oppure prendendo un autobus che passa senza orario.
Ecco… il fascino più vero e autentico dei cubani è proprio la loro lentezza, il non avere stress, avere ambizioni si ma con poca competitività. E tutto questo lo potrete apprezzare nelle campagne,
A Cuba i pochissimi che hanno una delle vecchie auto se la tengono gelosamente e in perfetto stato: sanno che ha un valore enorme come taxi, come mezzo da dare a noleggio con conducente.
Vita di una volta
Ma la vita nella campagna cubana riserva molte soddisfazioni a chi sia così curioso da volerne scoprire la luce calda del mattino quando il sole sorge nella rugiada e le ombre si stagliano in controluce sul cielo, qui è facile vedere i carretti che si dirigono nei campi trainati da un asino o un cavallo, vedere i ragazzi che vanno a scuola a piedi con le loro divise perfettamente pulite e con i colori diversi a seconda del grado di scuola che si frequenta: elementari, medie o superiori.
Qui la sera troverai la vita della gente che scende in strada a chiacchierare, a fare una passeggiata tra fidanzati o un giro in bici con gli amici. Strano… La musica non è diffusa ovunque come crediamo! A Cuba, nei posti che ho frequentato io non c’è musica come ce la aspetteremmo. Persino quando ho trovato la musica non era mai la salsa cubana che noi conosciamo dall’Italia.
In campagna la gente suona, ma non i ritmi caraibici ballabili, si sente invece più musica melodica e il repertorio classico alla Buena Vista Social Club…
L’altra cosa che può sconvolgerci è che a Cuba le case sono aperte, piano terra con la porta aperta e chiunque potenzialmente può entrare, affacciarsi a guardare dentro casa o a fare una foto. La gente qui si fida. Anzi, sono loro a dirti di entrare. Fidel Castro è dovunque, sui muri, nei portaritratti, sui manifesti…
Che Guevara è un’icona grafica, ha quasi del tutto perso le sue sembianze fotografiche per essere un tratto disegnato in bianco e nero, lo vedi sventolare sulle bandiere, stampato sulle magliette, esposto in case e uffici, la gente gli è grata e devota come se fosse un santo.
E a proposito di santi, in tutta l’isola si trovano luoghi e riti di Santeria, una religione che trae origini in quella cattolica ma sfocia tra lo sciamanesimo e l’animismo, vi si trovano adorazioni di alberi rituali e sacrifici animali, una cosa gioiosa ma spesso cruda e dura come la vita.
Qui non sarà raro vedere rituali che vengono celebrati al ritmo incessante delle percussioni con persone che entrano in trance, si portano offerte ai fantocci e cibi per le comunità o per i poveri.
In campagna ho trovato il meglio della gente di Cuba, in località piccole come a Vignales, a Pinar del Rio, nella Valle del los Ingenios…. Sono posti relativamente lontani dal turismo di massa, lì dove ancora si riesce a vivere in modo tradizionale, dove un contadino può coltivare il tabacco da vendere alle grandi manifatture governative, ma può anche tenerne una parte per se e farsi un “Puro” rollandoselo sul tavolo o direttamente sui pantaloni e poi incollandone le foglie esterne con il miele per dargli anche un sapore leggermente più dolce.
Beh… di certo non sarà nè perfetto di forma, nè bellissimo a guardarsi, però quel sigaro sarà solo suo, la miscela di foglie necessaria per comporlo sarà un mix unico e irripetibile, fatto in casa. E qualche Puro può anche venderlo in privato, favorendo così una microeconomia con la quale potrà finanziarci qualche spesa extra per casa.
Ho incontrato per puro caso uno di questi contadini in giro tra le campagne, non avevo una guida, nè un interprete, non parlo spagnolo e lui non parlava inglese, per cui ci intendiamo parlando ciascuno la propria lingua madre, convinti che le persone di buon senso se vogliono comunicare possono riuscirci anche solo a gesti. E così andò: ci capimmo al volo…
Poco dopo i normali convenevoli che si scambiano tra i viandanti, gli ho chiesto se conoscesse qualcuno ove potessi andare a vedere come viene fatta la lavorazione del tabacco. Ero infatti molto interessato a fotografare le varie fasi. Senza esitare mi invitò a casa sua per spiegarmi come viene fatta la coltivazione del tabacco, e naturalmente mi ha aperto tutte le porte senza alcun problema, la gente è sempre cordiale e disponibile da queste parti.
Il tabacco:
Al mio arrivo tutta la famiglia, compreso il nonno ultraottantenne, stava lavorando per trapiantare le giovani piantine nel campo in cui cresceranno e daranno i loro frutti. L’operazione di piantumazione, sarebbe banale nella sua semplicità, ma risulta essere una vera scoperta per un ingenuo “animale da appartamento” come me.
Qui tutto viene fatto a mano, non c’è fretta di automatizzare tutto, la lavorazione del tabacco da quando viene seminato a quando diventa sigaro dura un anno intero. Mi intrattengo a fotografare le mani degli operai che conficcano le loro dita tozze e forti nel terreno per dare dimora alle giovani piantine.
Ormai dopo mezz’ora di foto nei campi siamo diventati amici con il mio simpatico agricoltore: la fotografia aiuta moltissimo a ridurre le distanze tra le persone, che trovano in essa una loro dimensione di protagonismo. Quasi sempre la gente è portata a rapporti interpersonali informali ed è sempre molto cordiale e quindi quello è il momento giusto per chiedergli di entrare nella sua “Casa del Tabacco”.
Questa è una struttura a metà tra un essiccatoio e un magazzino: è un grande capanno di paglia stesa su un telaio di legno. Al suo interno si crea il giusto microclima per temperatura e umidità necessario alle foglie per essiccarsi in modo semplice e naturale, senza alcun agente esterno che ne velocizzi o rallenti il processo.
La natura segna il tempo di ogni cosa. Un posto del genere è un pò intimo, come una vera casa, ecco perchè ho aspettato a chiederlo, il motivo è che come in una casa, anche qui vengono custoditi i beni più preziosi della famiglia: l’intero raccolto del tabacco che darà lavoro e guadagno a tutti per un intero anno fino al raccolto successivo. Entrando nella casa si vede la quantità di prodotto che poi andrà allo stato, si dimostra così al visitatore la propria capacità di reddito. Infatti il 90% del prodotto andrà allo Stato e solo il 10% trattenuto dalla famiglia per uso personale.
Qui all’interno del capanno, le foglie sono perfettamente sistemate una per una, con la giusta quantità di aria che le avvolge, tutte infilate con il gambo all’insù. Rimarranno qui fino a quando verranno imballate in grossi pacchi e vendute alle manifatture statali. Non si sente ancora il tipico odore del tabacco qui, piuttosto qualcosa che ricorda il bosco in autunno, gli odori tipici del prodotto secco arriveranno poi con la lavorazione e la miscela.
I sigari:
La mia visita si conclude con il rituale quasi sacro della produzione del sigaro. Il Puro, quello lavorato alla buona e fatto sul momento ad uso e consumo di chi lo produce per fumarselo. Il Puro viene prodotto con lo stesso sistema dei sigari industriali, solo che viene fatto con molta meno cura, non viene pressato al torchio, la sua forma e dimensioni non sono perfette ma questo non è un problema per loro: il sapore e la qualità non cambiano.
Tutti i sigari, e quindi anche i Puri sono fatti con i diversi tipi di foglie della pianta che danno la giusta miscela e sapore. Le foglie esterne sono diverse da quelle che si trovano all’interno. Mi piace guardare, osservare e fotografare ogni sapiente gesto di quelle mani abili nel fare movimenti studiati, accurati, frutto di anni di esperienza…
Mi affascina vedere le mani che lavorano e questa cerimonia pagana che si celebra sotto la tettoia della veranda di casa circondati da cani, gatti e una scrofa che allatta…
Cuba……. eccola! Fin da quando metti piede sull’isola ti ammalia, ti conquista e ti rapisce manifestandosi in tutto il suo splendore! E’ una miscela di odori che ti assale, odori che sanno di salsedine, di carburante, di umidità e muffe, di fragranze indefinite.
Entriamo in contatto con la realtà locale, con la sua gente e scopriamo un popolo che ha sofferto, che soffre, ma che non ha perso il suo sorriso. Il sorriso e la danza in questi giorni sono stati messi in un cassetto per la malinconia ed il senso di perdita che pervade l’isola. Il Líder Máximo non c’è più, ma la sua presenza è ovunque. Il Paese celebra e piange Fidel. Tutto ha assunto un tono sussurrato. Il momento storico che stiamo vivendo è unico, tutto è pervaso da un senso di tristezza composta. Mi meraviglia e sorprende quanto amore, nonostante tutto, il popolo cubano manifesta nei confronti di un dittatore che ha procurato loro ristrettezze sotto diversi aspetti. Ma la risposta forse è sintetizzata da Silvia, afrocubana, che ci accoglie all’aeroporto: “è stato un uomo che ha consentito agli esclusi di poter lavorare, studiare, curarsi”. I cubani hanno lottato per una Rivoluzione che ha smarrito gli obiettivi iniziali, che ha infranto i loro sogni, ma nonostante tutto ammirano e amano questo “condottiero” che ha lasciato un segno indelebile nella storia. Ha trasmesso loro un orgoglio nazionale che si ritrova in ogni aspetto della loro vita e che non è affatto appoggio integrale alle politiche della Cuba rivoluzionaria, e tuttavia è conseguenza di un grandissimo rispetto per chi ha cambiato la storia di un Paese.
Questo orgoglio lo si riconosce anche nella loro musica, che condisce ogni momento della loro vita sia come forma di canto che di esecuzione strumentale che di ballo, permea le giornate che i cubani affrontano con uno spirito estremamente positivo. Ai loro problemi contrappongono il loro approccio alla vita. La miseria e la serenità si confondono e si integrano. Il grigio dei loro giorni è compensato dal colore e dal calore con il quale li abbelliscono danzando non appena sentono una nota musicale. Eccoli che suonano e ballano in strada appena termina il proclamato lutto nazionale e la vita riprende con il consueto ritmo.
Trovi la gente in fila con la libreta del razionamento alimentare e acquistano beni di prima necessità pagando in CUP, moneta utilizzata solo dai cubani. E’ infatti tuttora in vigore il sistema della doppia moneta che nel corso degli anni ha prodotto alcuni effetti negativi, creando due “mercati paralleli”, con un conseguente senso di esclusione economica di una fascia della popolazione cubana, ed una disparità di ricchezza tra coloro che sono pagati in CUP e coloro che invece hanno accesso ai CUC o ai dollari, monete derivanti soprattutto dal settore turistico.
Della gente colpisce la loro generosità e cultura. Non ti possono donare nulla ma donano loro stessi con le loro storie, aprono le loro case ed il loro cuore offrendosi a noi sconosciuti con spontaneità e senza riserve o pregiudizi. Le loro case, così variopinte, con le porte e le finestre perennemente aperte sulla strada, consentono ai passanti di condividere la quotidianità di coloro che le abitano.
Le città sono magnetiche, piene di contraddizioni delle quali ti innamori in modo viscerale e irrazionale. Ne percepisci tutto lo splendore che devono avere avuto in passato e che, in modo fatiscente, ancora emanano attraverso i loro gioielli architettonici che si mescolano qua e là a edifici di una decadenza scenografica, scoloriti dagli anni, dalla salsedine, dal sole e dalle intemperie.
Le coloratissime auto americane degli Anni ’50 Chevrolet, Cadillac, Pontiac e simili sfrecciano ogni giorno per le strade appestandole con i loro gas di scarico. Restano tuttavia dei cimeli che si fanno perdonare l’inquinamento che producono poiché creano un contesto da cartolina che è davvero unico!
Nonostante tanti anni di trascuratezza quasi totale, come riesca questo paese ad essere così straordinariamente bello è un fatto che sfugge a ogni logica, ma basta lasciare andare il cuore e farselo catturare!
Siamo arrivati a L’Avana la sera del 30 novembre. Tre giorni prima era morto Fidel Castro, controverso ed indiscusso protagonista della storia contemporanea del Paese.
Quando ho appreso della sua morte ho subito pensato che avremmo avuto una grande opportunità: essere a Cuba in un momento storico, di passaggio verso un futuro di forti cambiamenti ancora incerti ma spero non devastanti.
Non ero ancora mai stata a Cuba. Ero curiosa di parlare con la gente e respirare l’atmosfera di quei giorni di lutto in cui tutto il paese si sarebbe fermato.
Il pomeriggio del 30 novembre è partito da L’Avana il corteo con le ceneri di Fidel verso Santiago, quando siamo arrivati noi era già tutto lontano.
Il giorno dopo, L’Avana era una città fantasma, un caldo umido pesantissimo, e la pioggia che ha reso l’atmosfera ancora più grigia e triste. Così ci accolti il paese della musica e del sole.
Ovunque c’erano bandiere a mezz’asta, immagini commemorative di Fidel e del suo 90° anniversario di vita, scritte rievocative del 26 luglio 1953, in ricordo dell’attacco alla caserma Moncada a Santiago di Cuba, uno degli episodi più importanti della Rivoluzione cubana, a cui è stato ispirato il Movimiento 26 de Julio.
In quei giorni precedenti il funerale del 4 dicembre, e quindi la fine del lutto, c’era uno strano silenzio interrotto solo dal rumore delle poche bellissime e decadenti macchine d’epoca, che sono ancora le protagoniste indiscusse delle strade cubane.
Il sole era tornato, ma rimanevano le bandiere abbassate a mezz’asta, e soprattutto il divieto assoluto di bere e servire alcolici e di ascoltare qualsiasi tipo di musica.
Era stata vietata l’anima di Cuba a Cuba.
Solo in alcuni ristoranti turistici, con le cameriere vestite da Babbo Natale, servivano qualche cocktail a base di rhum, ma mai birra, perché, dicevano, la birra si vede da lontano.
Abbiamo approfittato per parlare con la gente, capire cosa pensano di quel che è stato Fidel per il loro popolo, quanto quel silenzio obbligato fosse vissuto come una costrizione o come un lutto vero e sentito.
A L’Avana alcuni proprietari delle case che ci ospitavano erano poco interessati alla storia e al passato di Cuba… pensavano di più al loro futuro in un turismo che ormai sta diventando di massa.
Ma usciti dalla città, tra i coltivatori di tabacco e canna da zucchero, spesso plurilaureati, il sentimento condiviso è di grande rispetto e devozione nel Lidèr Maximo che ha dato ai cubani istruzione e sanità gratuita per tutti e li ha liberati dalla dittatura fascista e corrotta di Batista.
Sono queste quindi le due anime di Cuba in questo momento di passaggio e cambiamento: quella ancora nostalgica, e certa che Raùl Castro continui sulla linea politica del fratello, e quella che si sta già affacciando al nuovo mondo del turismo, in modo spesso troppo disorganizzato ed approssimativo.
Le casas particulares sono ora autorizzate dal governo, e chi ha modo, non perde l’occasione di trasformare la sua casa in un alloggio per turisti, il porto di L’Avana si è trasformato in un parcheggio per navi da crociera e i pullman turistici da 50 posti sono ormai ovunque…
Rimane però la doppia moneta, il pesos cubano che vale pochissimo (il CUP, 1/24 di €) con cui possono comprare prodotti di prima necessità in botteghe apposite con scaffali prevalentemente vuoti, tutto razionato e controllato, ed il Pesos Convertibile (il CUC, con cambio 1/1 con l’euro), utilizzato dai turisti, che al nero entra nelle mani degli operatori turistici a qualsiasi livello e che crea grosse disparità nella popolazione.
Questa è la Cuba che io ho vissuto io oggi, in un momento importante per il suo futuro, sperando non venga trasformata in una macchina per investimenti ma che riesca a mantenere la sua forza ed unicità.
Cosa succederà non lo sappiamo, ma già si vedono tante bandiere americane nelle strade e dentro le case, e tanti sono i cubani che con i colori della bandiera USA hanno trasformato il loro abbigliamento…
Che sia un bene o un male sarà solo la storia a dirlo…
Cuba
Cuba: attimi di vita
Descrivere cuba in poche parole è molto difficile. Conosciuta spesso per le meravigliose spiagge bianche, il mare cristallino, i sigari ed il rum… Cuba è molto di più! Atterrati all’havana, Trinidad o qualsiasi altra città cubana, sembra quasi di aver viaggiato su una macchina del tempo che ci ha riportato in un’altra epoca, completamente lontana dalla nostra realtà: gli anni 50. Una città vecchia, con edifici molto vecchi, decadenti. Una città vecchia, eppure così viva, così movimentata sin dalle prime ore del mattino. Persone semplici che conducono una vita perfettamente normale in una città senza tempo. Ma è proprio questo che mi ha affascinato. Spesso, noi appassionati di fotografia, siamo attratti da eventi straordinari e insoliti e non ci accorgiamo di quanta bellezza abbiamo intorno a noi, anche semplicemente nei piccoli gesti delle persone, nei loro occhi, nei loro sorrisi. E’ stato questo l’obiettivo del mio viaggio fotografico, ritrarre la vita quotidiana di quest’isola, così diversa, piena di contraddizioni e probabilmente destinata via via a cambiare nel tempo con le nuove generazioni.
E così, guardandoti intorno, vedi donne che con un secchio lavano i pavimenti e ti ricordi quando tua nonna ti raccontava che si faceva così ai suoi tempi, porte delle case sempre aperte, fino a tarda sera, così da intravedere la vita all’interno di esse, con bimbi che giocano scalzi e mamme che li chiamano per la cena.
Noti un padre che, di buon mattino, saluta il figlioletto, e gli raccomanda di comportarsi bene, anziani signori che si apprestano a lavorare, sotto l’ombra del loro cappello, mentre le nuove generazioni si costruiscono un futuro andando a scuola, con le loro ordinate divise; nel frattempo degli strani personaggi, in un angolo, attendono di essere fotografati, per un soldo in più.
Arriva il pomeriggio e l’atmosfera è ancor più rilassata: i bimbi festeggiano la fine della scuola, mentre chi ha lavorato la mattina, si riposa un po’; due anziane signore, sorridono mentre osservano il tempo che passa, mentre una mamma e una figlia si tengono il broncio per una piccola incomprensione.
La musica fa da contorno a tutto ciò. Gruppi di suonatori, spesso anziani, seduti sui marciapiedi che rievocano grandissimi successi cubani, che raccontano semplici momenti di vita, storie d’amore o di rivoluzione, sempre sorridenti e fieri di quella musica che, seppur antica, è intramontabile.
Gente che cammina, gente che lavora, gente che aspetta, magari una mancia da un turista, o che semplicemente sta seduta sul marciapiede a guardare la vita che scorre inesorabile intorno a loro.
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