Durante uno degli ultimi viaggi in Etiopia di ritorno da Gondar verso il Lago Tana, dopo circa un ora di strada la mia guida, Ashennafi Demoz, mi propone di assistere al battesimo copto che, ai piedi della cascata sacra di Addis Zemen, veniva praticato da alcuni frati del vicino convento di Toragedam.
Dopo un percorso abbastanza accidentato ci fermammo subito dopo una curva nel punto dove si apriva un piazzale sterrato e dove, all’interno di un recinto di rami d’albero e frasche, si erano radunate alcune persone.
La mia guida parlotta con il ragazzo che sorvegliava un piccolo e consumato cancelletto in legno e dopo qualche minuto entriamo nell’area appena sotto la cascata dove vari gruppi di persone con dei bambini, da pochi mesi ad alcuni anni, vestiti in con morbidi teli di iuta e ricamati con colori sgargianti, si preparavano per essere battezzati.
La gente della cascata
Arriviamo alla cascata dove già era entrata una ragazza seguita da un uomo di mezza età il quale, completamente nudo e tremante dal freddo, rimaneva sotto il getto imponente d’acqua coprendosi con le mani le parti intime. La gente intorno pregava, l’atmosfera era molto intima e carica di emozione. Io ero incerto se iniziare a scattare oppure attendere. La mia curiosità e desiderio di fermare per sempre quel magico momento carico di mistero e religiosità, fu troppo forte ed iniziai a scattare prima molto timidamente e poi, alternando gli scatti con alcune riprese video, cercai di padroneggiare la scena cercando comunque di portare il massimo rispetto alle persone presenti.
Dopo la benedizione da parte del frate fu la volta di una ragazza con al collo una croce di metallo ed anche lei fu obbligata a mettersi nuda e ad entrare sotto la gelida e imponente cascata d’acqua. La gente che raccolta pregava sommessamente, di colpo si ferma ed il brusio diviene sempre più forte sino a quasi diventare un grido corale.
Una ragazza portata da suo fratello dopo aver parlato con un frate entra sotto la cascata con la sola speranza di poter guarire dalla malaria che non riusciva a debellare. La ragazza viene aiutata a spogliarsi ed entra con passo incerto aiutata dal fratello , sin sotto il getto d’acqua. Contemporaneamente dall’altro lato una giovane donna con due bambini si spoglia ed anche lei si mette sotto l’acqua portando con se in braccio il figlio più piccolo e tenendo per mano quello più grandicello, La giovane donne stringe intorno a se sotto l’acqua i suoi due figli, la gente inizia a protestare con un mormorio che va a crescere sino a confondersi con le urla della donna e dei due bambini.
Inizio dell’esorcismo
La donna alternava momenti di sconforto e calma apparente ad urla e agitazione incontrollata. Io non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Per fortuna Ashennafi viene in mio soccorso e mi preannuncia che la donna è indemoniata e che tra poco assisteremo ad un esorcismo. Nel frattempo la ragazza ammalata di malaria, tremante e quasi pronta a cadere, viene aiutata dal fratello e da un frate ad uscire dall’acqua ed ad asciugarsi e rivestirsi sedendosi li vicino per riprendere un poco le forze, se ne avesse ancora!
La donna che sempre gridava come un ossessa viene avvicinata da un frate con in mano una grossa croce di metallo dorato. Questo inizia a parlarle prima sommessamente e dopo con grande fermezza e voce imperiosa inizia a vibrare, sulla testa della sedicente indemoniata, numerosi colpi di croce quasi a voler scacciare veramente il demonio che si era impossessato della giovane donna. Dopo alcuni minuti sia la donna che l’esorcista si fanno più calmi ed iniziano a parlare tra loro a voce bassa , la donna scoppia in lacrime e l’esorcista dopo averla benedetta con la croce l’accompagna, insieme ai due bambini, verso il gruppo di persone più vicino.
Un anziano e fiero signore, quasi sicuramente il padre della donna, porta un abito bianco per coprire sua figlia e prende in braccio il più piccolo dei nipoti per asciugarlo. Tutti insieme si avviano verso l’uscita della cascata. Pareva fossero trascorse ore da quando eravamo arrivati e sopraggiunta la calma ci ritroviamo spossati e privi di forze quasi che, quanto accaduto in pochi minuti fosse la conseguenza di una lotta alla quale tutti avevamo partecipato per ore.
Rimango incerto e disorientato e per fortuna ancora una volta Ashennafi viene in mio soccorso, mi prende il gomito e mi invita ad avviarmi con lui verso l’uscita.
Foto e parole di Francesco Merella
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Dancalia
Le carovane e i tagliatori di sale
Poche zone sulla Terra riuniscono una così straordinaria quantità di motivi d’interesse. È una regione di difficile accesso, dal clima estremo, dove si raggiungono le temperature più alte del pianeta. Per secoli l’unico collegamento con il resto del mondo è avvenuto attraverso le carovane di dromedari che trasportavano blocchi di sale sull’altopiano etiopico. Ancora fanno da cornice ad una regione dalle mille sfumature. Nel percorrere il tragitto delle carovane attraversando Il Fiume Saba ho voluto mettere in evidenza le sfumature e le forti emozioni che hanno lasciato in me una traccia indelebile.
Uomini che alle prime luci del mattino sono pronti ad accingere il loro cammino e nelle luci del giorno la loro tenacia, allegria e socievolezza scalpisce la loro fatica. Nel caldo riposo del sole sfrecciano come lance con le lunghe file di Dromedari al loro seguito per proteggersi dal caldo torrido del giorno.
Uomini dalla pelle dura ma con sguardi che lasciano trasparire la loro fragile timidezza, celata dalla forza che imprimono sui sassi di sale della Piana del Sale e nei passi lenti ma ritmati del loro cammino.
Uomini di etnie diverse ( Musulmani e cristiani) lavorano insieme, condividono abilità e capacità. Hanno bisogno gli uni degli altri per vivere e per conservare un’identità e una tradizione che resiste da millenni. In un paese dove niente fa pensare a un equilibrio, musulmani e cristiani riescono a convivere con un obiettivo comune: il commercio del sale, che da tempi immemorabili fa vivere migliaia di famiglie.
” Le carovane di Sale, una vita in cammino, di sudore, di sete e stanchezza. A volte la sosta in un oasi. Le carovane restano un racconto di silenzio e di luce argentata” ( cit. tratta dal libro” Gente in Cammino” di Malika Mokeddem ).
Genna è il nome che viene dato dai cristiani copti di Etiopia al Natale. Questo viene celebrato il 7 gennaio, dato che in Etiopia viene ancora seguito l’antico calendario giuliano.
I festeggiamenti del Natale Copto si svolgono nella città santa di Lalibela che si trova nel nord dell’Etiopia ad una altezza di ca. 2500 metri sul livello del mare. La città è famosa per le sue chiese rupestri scavate nella roccia, che nel 1978 sono state dichiarate patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Lalibela ha ventimila abitanti che diventano circa duecentomila a inizio gennaio. In questo periodo migliaia di fedeli da tutto il paese percorrendo piste polverose la raggiungono camminando per giorni o anche per settimane.
I festeggiamenti del Genna iniziano nel pomeriggio del 6 gennaio e si protraggono tutta la notte e per tutto il giorno di Natale.
Abbiamo passato la notte della vigilia all’interno della chiesa rupestre Bet Maryam insieme ai fedeli copti. Si è trattata di una esperienza eccezionale e indimenticabile.
La cerimonia
Attraverso un angusto passaggio scavato nella roccia, si raggiunge lo spazio posto intorno alla Chiesa dove moltissime persone, in gran parte vestite di bianco, sono ammassate dappertutto.
Vista la calca non è possibile muoversi liberamente. Ci si trova come immersi tra i fedeli e può succedere di colpire o anche di calpestare qualcuno nel tentativo di spostarsi senza, peraltro, suscitare lamentele.
Sembra di essere in un sogno: il fossato intorno alla chiesa è popolato da una moltitudine di fedeli che in piedi, seduti o sdraiati per terra vegliano per tutta la notte alla luce di centinaia di candele. Il suono delle nenie e dei tamburi è continuo; alcuni dei fedeli pregano o leggono testi sacri, altri cantano o danzano, altri si appisolano dove capita, tutti aspettano la cerimonia del mattino quando i sacerdoti vestiti con i loro tipici costumi sgargianti formano un corteo e raggiungono la chiesa pe celebrare la messa.
Colpiscono la profonda devozione e la grande umanità dei fedeli che dimostrano una inaspettata disponibilità. Lo straniero viene accettato senza indecisione e con grande tolleranza. Non si può non essere rapiti da questa magica atmosfera e rimarrà probabilmente per sempre il desiderio di ritornare al Genna.
“Vanno le carovane del Tigrai…” recitava il ritornello di una canzone scritta durante l’invasione italiana dell’Etiopia, che a ritmo di foxtrot descriveva la discesa delle carovane tigrine verso la Piana del Sale, in Dancalia, il deserto Etiope al confine con l’Eritrea. La canzone dipingeva i nostri soldati non come invasori ma come soccorritori di un popolo che “… giammai conobbe libertà …” e che grazie a noi avrebbe potuto “… andare incontro alla civiltà …”. L’unica verità che traspare tra le molte inesattezze del testo, è la descrizione delle durissime condizioni di vita dei raccoglitori e dei trasportatori del sale.
Le carovane raggiungono all’alba, dopo essersi messe in movimento il giorno precedente, la Piana del Sale. E’ l’ampia area pianeggiante formatasi nella depressione dancala per effetto dell’alternanza, governata dai fenomeni di sollevamento tettonico e di variazione del livello del mare, dei periodi di invasione delle acque del Mar Rosso e delle successive fasi di essiccamento. I sedimenti di questa piana, di spessore variabile da 1 a 3 km, sono tuttora teatro dell’estrazione delle lastre di sale destinate al consumo animale.
Il sale viene cavato dalla superficie e tagliato in forma di tavolette trasportate dalle carovane di dromedari fino alle alture del Tigrai. E’ un’attività che viene svolta per un periodo limitato di tempo nell’anno, tra ottobre e marzo: prima e dopo il caldo è insopportabile anche per gli Afar, l’etnia etiope che cava e dà forma alle tavolette. Oltre al caldo i cavatori devono affrontare l’abbacinante luce riflessa dalla superficie salata, motivo per cui gradiscono particolarmente l’omaggio di occhiali da sole.
Non si sa quanto potrà ancora durare la loro attività, minacciata dall’avanzare di nuove strade realizzate da imprese cinesi che porteranno sulla piana del sale camion in grado da soli di svolgere il lavoro di più carovane, in una frazione del tempo impiegato dal trasporto animale.
Se pensi al Natale come Babbo Natale che arriva sulla slitta il 25 dicembre e porta regali ai bambini, leggi questo articolo: ti porterò in un posto in cui tutto questo non è vero. Ad esempio, nel nord dell’Etiopia, a Lalibela, è tutto diverso, anche la data di Natale che viene celebrato il 7 gennaio!
Lalibela è un posto magico, denso di spiritualità, uno di quei posti in cui sentirai esplodere dentro di te il mal d’Africa. Lalibela è la classica cittadina tranquilla africana: poche case in muratura, qualche albergo e tante capanne, sono i tipici tukul con il tetto in paglia a punta. Lalibela però è un Patrimonio dell’UNESCO perchè qui c’è qualcosa che non esiste in nessun altro posto al mondo: le chiese rupestri ipogee monolitiche. Detto in altri termini queste chiese sono state letteralmente scavate svuotando la montagna e ricavando la chiesa da un unico blocco di roccia. 40 anni di lavoro fatto a mano con martelli e scalpelli.
Qui le chiese sono di rito cristiano copto, un rito completamente diverso da quello cattolico, nei costumi, nella durata, nelle modalità di celebrazione e anche nella simbologia. La festa del Natale è la più sentita, la più bella e partecipata dell’anno. Circa 20.000 fedeli arrivano qui per celebrare la nascita di Gesù con una messa che dura 12 ore: dalle 9 di sera fino alle 9 del mattino successivo, il tutto accompagnato da circa 300 sacerdoti che indossano paramenti dai colori sgargianti e da tutti i fedeli che vestono il tipico caftano bianco. L’atmosfera che si respira qui è meravigliosa, che si sia credenti o no è impossibile rimanere impassibili davanti a tutto questo. La simbologia è talmente chiara da sembrare artefatta: sembra che ci sia dietro il lavoro di un abile regista, mentre invece tutto è dettato dalla tradizione più antica e incontaminata. Quando andai io, tra la gente c’era persino il Presidente dell’Etiopia con la sua scorta! Le misure di sicurezza erano fittissime! ;:)
La notte simboleggia la tenebra e il peccato: il rito non a caso viene celebrato con il buio. La suggestione del momento è enfatizzata dalla presenza di centinaia di candele con le quali i fedeli rischiarano di tanto in tanto la lettura dei testi sacri che portano con se per seguire le letture durante la lunga veglia. E’ incredibile osservare le espressioni e il coinvolgimento emotivo di queste persone rapite dalla preghiera. Ma la notte è fatta anche per riposare e qui nella grande chiesa di Santa Maria (dedicata alla Madonna) si dorme regolarmente durante la lunga veglia notturna del Natale! Quello che da noi in Italia sarebbe impensabile, irriverente, inaccettabile come il dormire in chiesa durante un rito sacro, in Etiopia invece viene accettato senza difficoltà: la notte è fatta per dormire, chi vuole prega, gli altri dormono!
I sacerdoti sono centinaia, restano svegli tutta la notte a celebrare il lungo rito. Molti di loro sono sposati e hanno figli, il celibato non è a loro richiesto. Quasi ogni parte del rito viene cantata e danzata per rendere la partecipazione più corale e intensa. Le letture e le omelie sono ridotte al minimo. Il ritmo lento viene scandito dal Sistro: uno strumento il cui suono assomiglia a quello di un cembalo, costruito con una impugnatura con dei piattelli che vengono suonati alzando o abbassando il braccio in un gesto rituale che simboleggia la morte (braccio abbassato) e la resurrezione di Gesù (braccio alzato). Durante ogni canto, durante tutta la notte, viene ricordato tutto questo.
E poi c’è la gente che vive in massa tutto questo. A parte chi dorme e chi legge nella chiesa, c’è poi chi rimane all’esterno e partecipa al rito guardandolo sui maxischermi che vengono allestiti per l’occasione perchè all’interno non c’è spazio per tutti. Fuori dalla chiesa, davanti ai monitor si crea un vero e proprio accampamento con tende improvvisate e tavolate di intere famiglie che ricoprono la montagna con le loro vesti bianche che si vedono bene nella notte.
Tra la gente e i sacerdoti c’è la presenza fondamentale di certi mediatori che scendono tra la gente portando a loro i simboli cerimoniali come la croce e un cuscino che viene baciato a turno dai fedeli. Questi mediatori sono quelli che vendono le candele con le quali partecipare alla messa. I loro abiti sono preziosi, dorati, coloratissimi e portano sempre un ombrello damascato coordinato con l’abbigliamento. A ben guardare i loro movimenti, nonostante l’apparenza solenne, appaiono però come abili commercianti che si aggirano durante la lunga messa tra la gente per vendere ancora candele a chi ne fosse rimasto sprovvisto.
Il Natale copto è il 7 gennaio, con la grande veglia che inizia il 6 sera, in corrispondenza con la nostra Epifania. Il giorno della Vigilia passa tra i pellegrinaggi che vengono fatti dai fedeli nelle chiese: si va in visita alle icone dei santi e ci si mette in fila per una veloce benedizione, si bacia la croce copta in legno o in argento e con questa si viene benedetti dal sacerdote. Migliaia di persone arrivano 1-2 giorni prima del Natale proprio per avere il tempo di fare i pellegrinaggi in tutte le chiese e in particolare in quella di San Giorgio, la più grande e bella: famiglie intere o comunità locali si spostano in gruppo arrampicandosi sui pericolosi muretti alti 10 metri senza protezioni, camminando negli stretti cunicoli in discesa scavati per accedere alle chiese. E per tutto il giorno si mangia in strada dove ci sono ristorantini ambulanti e migliaia di fedeli già vestiti a festa.
Alle 21 del 6 gennaio inizia la lunga messa: 12 ore per sentirsi vicini a dio. Durante la prima parte ci sono canti e danze, quando la notte diventa profonda, il ritmo rallenta e la gente si addormenta a terra. Quello è il momento preferito da noi fotografi perchè possiamo muoverci facilmente per fare le nostre foto e camminare infilando i piedi nei pochissimi spazi liberi tra la gente che dorme, anche se ogni tanto può capitare di pestare una mano o un piede nascosti nel buio… La cosa più bella da fotografare sono i contrasti tra le luci delle candele e le ombre, tra il bianco delle vesti e il nero della pelle della gente, tra i colori dei vestiti e il nero della notte.
La lunga veglia prosegue abbastanza uguale a se stessa fino al momento in cui improvvisamente il rito cambia e il buio lascia lo spazio al rito della luce che simboleggia la nuova nascita e l’arrivo del Natale. La chiesa che era caduta nel torpore generale si sveglia improvvisamente tra le urla generali delle folla impazzita: la nascita di Gesù viene celebrata in quel momento con una gioia incontenibile e urla liberatorie. In pochi istanti tutti i fedeli tirano fuori le candele che avevano conservato e le accendono l’una con l’altra in un gesto di condivisione reciproca durante il quale la luce aumenta velocemente in proporzione. Il momento è emozionante: le urla festose, la luce che aumenta, la chiesa che fino a quel momento era stesa a terra a dormire si rialza in piedi e ricomincia a partecipare al rito. Poco dopo la preghiera è fortissima, le urla caotiche vengono riordinate di nuovo dalla coralità della preghiera e, girandosi intorno, tutto ciò che era buio ora è illuminato dalla luce di migliaia di candele accese, tutto ciò che era libero ora diventa ordinato e corale.
La gente ora è tutta in piedi e rivolta verso l’altare con le candele in mano intenta a pregare, questo momento dura un’oretta di preghiera, poi di nuovo un crescendo di emozioni avvolge i presenti: di nuovo le urla della folla impazzita: alzando lo sguardo verso i bordi laterali si scorgono i sacerdoti che sono saliti sul bordo dello strapiombo intorno alla chiesa e dall’alto cingono con la loro presenza tutta la chiesa e i fedeli in un abbraccio simbolico, hanno cambiato le loro vesti, tolto i colori e sono tornati a vestire anche loro di bianco con solo una fascia colorata. Applausi, lacrime e sorrisi: si alzano verso di loro migliaia di telefoni cellulari che fotografano la lunghissima fila di Celebranti, tutti hanno tra loro un parente o un amico che dall’alto li sta benedicendo e li ricambiano con una foto ricordo. Anche i sacerdoti, nonostante la sacralità del momento e del loro ruolo, scattano di tanto in tanto qualche foto con il cellulare alla folla sotto di loro alternano questo gesto pagano alla sacralità del suonare il sistro che da ore segna il tempo della cerimonia. La simbologia anche qui è fortissima: dopo la tenebra del peccato arriva la luce e quindi la salvezza.
La magia della luce continua perchè adesso il cielo inizia a tingersi di rosa: è l’alba di Natale! La messa vera e propria ha inizio alle 6 del mattino, e finirà alle 9 dopo tre ore di canti e danze accompagnati ora dal ritmo dei tamburi che sovrasta e sostituisce il suono melodioso e malinconico del sistro. E qui l’anima africana degli etiopi fatta di ritmo e danze prende il sopravvento sul rito lento e profondo che si è vissuto per tutta la notte… L’allegria generale da il benvenuto alla festa, segna la fine dell’attesa per la nascita di Gesù nel giorno di Natale.
Qui siamo lontani anni luce dall’icona tipica di Babbo Natale, siamo lontani dai panettoni e dalla neve. Benvenuti in Africa.
La chiesa cristiana copta celebra il rito del Natale con un calendario diverso rispetto al nostro, spostato di 13 giorni in avanti. La festa del Natale è quindi il 7 gennaio con la vigilia il 6, ossia il giorno della nostra Epifania. Quindi, la loro Epifania è il 20 gennaio.
Genna, il Natale copto in Etiopia
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