E’ morto Giovanni Gastel

Oggi 13 marzo 2021 intorno alle ore 18, il mondo della fotografia piange uno dei suoi più indiscussi Maestri.

E’ morto Giovanni Gastel ci ha lasciati oggi a soli 65 anni a causa del Covid-19. Sono cresciuto con le sue immagini: 30 anni fa, quando ho iniziato ero solo un ragazzino e lui, poco più grande di me era già Giovanni Gastel
Una persona raffinata, colta, elegante, un grande ritrattista che si è contraddistinto per le sue immagini pulite, creative, potentissimi strumenti di comunicazione che per 40 anni esatti hanno segnato la storia della fotografia commerciale, moderna e contemporanea.

Giovanni Gastel ha fotografato le donne più belle del mondo rendendole ancora più affascinanti e mai volgari, mai ammiccanti ma sempre sature di infinita personalità. Ma a parte una sua predilezione per il le donne ha fotografato anche tanti uomini, artisti, industriali, politici…

Una persona che ha sempre avuto intorno a se solo stima e mai clamore, mai uno scandalo, uno dei pochi di cui si poteva solo parlare bene e del quale mai nessuno è riuscito a mettere in dubbio l’efficacia e del suo stile semplice e inconfondibile.

Giovanni Gastel nasce a Milano il 27 dicembre 1955 ultimo di sette figli e nipote di Luchino Visconti, inizia la sua carriera nel 1981 a soli 26 anni collaborando con riviste come Vogue Italia e Rolling Stone, e firmando nei rampanti anno ’80 campagne pubblicitarie per i più grandi stilisti di tutto il mondo tra cui Versace, Missoni, Trussardi, Dior, Nina Ricci, Guerlain e molti altri.

Quel che mi piaceva di lui era la semplicità: non aveva bisogno di urlare. A Gastel bastavano pochi elementi, schemi di luce piena senza effetti drammatici e senza speculazioni. Lui sapeva tirare fuori la bellezza intrinseca dei suoi soggetti. Di lui ricordo i suoi Polaroid scattati con il banco ottico 20×25, delle opere d’arte che hanno segnato la mia formazione e la mia crescita fotografica.

La sua mostra al MAXXI di Roma è finita il 5 marzo 2021, 8 giorni fa. Di lui mi piaceva molto anche il lato umano che emergeva dalle sue pagine Social nelle quali spiegava ogni giorno i motivi della sua arte, cosa spingeva i suoi scatti, quali erano le sue emozioni a stare dietro alla fotocamera. Le pagine social in cui pochi mesi fa, nell’autunno 2020, non parlava più di fotografia ma del fatto di essere diventato nonno e della sua enorme gioia di questo.

Oggi sono triste, davvero. Di lui non voglio dire molto di più. Vi lascio con le sue parole, quelle che potete andare a leggere voi stessi sulla sua pagina facebook: https://www.facebook.com/GiovanniGastelFotografo

Ciao Maestro, grazie di aver ILLUMINATO la mia fotografia.

Roberto Gabriele


Serie “Madonne”

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Serie “Madonne” foto: © Giovanni Gastel

Il progetto ‘Madonne’, ideato da me e il grandissimo stylist Simone Guidarelli, con la bellissima modella Beatrice Brusco nasce dall’idea di lasciare un interpretazione contemporanea della Vergine come tutte le epoche hanno fatto attraverso l’arte. L’ispirazione è alle Madonne barocche e andine.

Il mio amore per la figura della Santissima Vergine Maria come simbolo del massimo amore e insieme del massimo dolore è immenso!


Serie “My Ladies”

Serie “My Ladies”. Foto: © Giovanni Gastel

Le donne sono state per tutta la mia vita faro e muse del mio cammino. Ancora oggi dedico a loro il mio lavoro fotografico e letterario!

Grazie mille vi amo tutte e vi ringrazio di essermi sempre vicine.


Roberto Bolle

Roberto Bolle
Roberto Bolle. Foto: © Giovanni Gastel

Foto dell’amico e sublime danzatore Roberto Bolle che ho avuto la gioia di fotografare la prima volta a 18 anni nel foyer del teatro alla Scala quando era già un promessa della danza mondiale. Qua Roberto siede pensoso, per una volta nella platea.


Serie: Metamorfosi

Metamorfosi Giovanni Gastel
Serie “Metamorfosi”. Foto: © Giovanni Gastel

Mi ha sempre affascinato la commistione contenuta nella Mitologia tra Esseri di diversa natura. Quasi un monito a non allontanarci da essa.

Macchina: Plaubell 300 mm su Polaroid 20×25
Foto rielaborate con sovrapposizioni e filettature in post-produzione


Luciana Littizzetto

Giovanni Gastel
Luciana Littizzetto Foto: © Giovanni Gastel

Quando Luciana è arrivata da me era visibilmente contraria all’idea di farsi ritrarre. Allora ho cercato di calmarla e alla fine ne è uscito questo ritratto in cui si è riconosciuta con grande gioia.

Una donna straordinaria e un onore fotografarla.
Torna presto Luciana!
Un bacio grande grande ?
Gio

Liberatoria immagini – copyright

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Morto Giovanni Gastel

Gianni Berengo Gardin a Roma

Vera fotografia

Roma: Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale 194, fino al 28 agosto  2016 c’è la mostra fotografica di Gianni Berengo Gardin. A cura di Contrasto e Fondazione FORMA per la Fotografia.

Vera Fotografia, è il timbro verde che l’Autore, così come moltissimi della sua generazione (classe 1930) erano soliti porre sul retro delle stampe da negativo per distinguerle da quelle stampate tipograficamente che erano di minor pregio e per certificarne l’autenticità di immagine ottenuta senza manipolazioni di camera oscura, nè, tantomeno con postproduzione digitale. In realtà, come sappiamo, ogni foto nel momento stesso in cui viene sviluppata (con metodi chimici o digitali) è già stata in qualche modo alterata, resa atta alla stampa e i suoi toni sono già stati modificati. Senza dubbio anche il passaggio da una realtà a colori ad una immagine in bianco e nero è già una prima alterazione (e non trascurabile nè reversibile) della realtà stessa.

Berengo Gardin Catalogo
Catalogo della Mostra di Roma

Ho visitato la mostra con un gruppo di Allievi di Viaggio Fotografico e la prima impressione che ne ho avuto è stata quella di trovarmi non solo davanti ad un Grande Maestro, ma davanti ad uno che era tale per aver scritto, ancora VIVENTE, una delle più belle pagine della Storia della Fotografia. E la differenza tra essere un bravo Fotografo e scrivere la storia è enorme. Di bravissimi Fotografi, professionisti o meno ce ne sono tanti al mondo, ma solo pochissimi sanno innovare il linguaggio fotografico ed espressivo, dettare le nuove regole alle quali poi moltissimi si ispireranno. E, ovviamente, Berengo Gardin è senz’altro uno di loro e il motivo lo capiamo proprio vedendo la sua mostra.

La prima impressione che ho avuto entrando nella mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma è quella di uno spazio ben ordinato, con sale tematiche e divise in ordine cronologico. Questo dettaglio che sembra normale, addirittura scontato, è invece quello che dimostra quanto sia longeva l’attività artistica e giornalistica di Gianni Berengo Gardin,un fotografo ancora vivente che ha esposto in centinaia di mostre in tutto il mondo e scritto oltre 250 libri fotografici. Un portento. Una vera forza della natura che produce Fotografie ininterrottamente da oltre 60 anni. E il senso della storia si sente fortissimo in questa mostra. Mi sia concesso un paragone, ma io credo che Berengo Gardin abbia raccontato un pezzo di Storia Italiana oltre che di Storia della Fotografia così come negli stessi anni fece nel cinema Alberto Sordi, raccontando gli Italiani e il loro costume che cambia. Berengo Gardin racconta una Italia senza tempo che sembra appartenerci ancora. Le sue immagini, raccontano così bene la nostra Italia che ci riconosciamo in esse, nei luoghi e nelle persone, come se facessero parte del nostro quotidiano.

gli Zingari uno dei temi a lui più cari
gli Zingari uno dei temi a lui più cari

Un innovatore: oggi tanto si parla di Street Photography. Probabilmente uno dei primi iniziatori della Fotografia di Strada fu proprio Gianni Berengo Gardin che ha sempre fatto della spontaneità del momento il suo cavallo di battaglia. Della semplicità di linee e forme la sua arma vincente, della innocenza delle persone ritratte il suo obiettivo finale.

Il Bianco e nero mai rinnegato per un modernistico o stilistico passaggio alla fotografia a colori uniforma i toni di tutta la mostra che sembra realizzata con immagini scattate in pochi mesi. In realtà di tempo tra le immagini ne è passato tanto, ciò che invece è rimasto uguale è lo stile che non è mai cambiato, ha sempre mantenuto una pulizia formale e un grande silenzio. Le foto di Berengo Gardin non hanno parole, non hanno rumori, le trovo ovattate, icone fortemente espressive ma che non esprimono rumori. Un pò come si esprime un mimo sul suo palco, così Berengo Gardin riesce a farci sentire la musica senza ascoltarla e anche le sue foto di fabbriche vengono percepite come spazi silenziosi.

Scanno (AQ): la gente guarda se stessa fuori casa
Scanno (AQ): la gente guarda se stessa fuori casa

Immagini che raccontano. Le sue immagini appaiono da subito come pensate, efficaci (è sua la famosa frase che non esistono belle fotografie ma solo buone fotografie) dirette, costruite ma mai artefatte. Se fa un ritratto in strada non sta lì a curare la luce o i set modificandoli, scatta con ciò di cui dispone, non cambia neanche obiettivo, preferendo scattare tutto con un 35 mm… Lui non crea, racconta. Ma i suoi racconti hanno la potenza delle parole di un grande poeta. Racconta come lui stesso ama dire con le immagini, come un giornalista fa con le parole.  Ed è lui stesso a definirsi non più come un artista ma come un giornalista. Ma come è facile intuire, di arte nelle sue immagini ce n’è tanta.

Ogni anno viene data un’enfasi mondiale ai vincitori del prestigioso Premio di Fotogiornalismo World Press Photo, e viene immediatamente da pensare a quanto le immagini classiche e intramontabili di Berengo Gardin siano diverse da queste, pur volendo entrambe raccontare il mondo per come lo ha osservato il Fotografo. Berengo Gardin sa rendere straordinaria la normalità quotidiana. Nelle immagini del WPP assistiamo invece alla spettacolarizzazione della fotografia, oggi le immagini di fotogiornalismo non raccontano: urlano. E se le immagini non urlano nessuno le ascolta. Berengo Gardin ci dimostra che è sufficiente alzarsi di 1-2 metri al di sopra della scena per avere un punto di vista completamente nuovo, diverso, insolito ma ancora tanto rasserenante, dall’altra parte le ultime due edizioni del World Presso Photo sono letteralmente invase di immagini realizzate con costosissimi droni di ultima generazione. Il risultato che si ottiene nel primo caso è il sapersi meravigliare della semplicità che era sotto i nostri occhi e che non avremmo saputo cogliere, nel secondo caso invece ci accorgiamo che ci viene mostrato un mondo distante, diverso, sconosciuto che non ci appartiene perchè tutto viene spettacolarizzato, anche il dolore.

Berengo Gardin 5
Venezia: il vaporino.

Ovviamente le fotografie sono tutte tecnicamente perfette, ben composte. La cosa che mi è piaciuta di più è proprio il linguaggio moderno e senza tempo delle foto di Berengo Gardin che riesce ad esprimersi con eleganza, efficacia e tanta chiarezza, sa farsi amare senza imporsi. Usa inquadrature classiche, con il soggetto al centro o sfruttando la regola dei terzi. Conosce bene l’importanza delle sequenze di piani e delle sfocature, sa usare le prospettive per comporre e condurre lo sguardo verso il soggetto principale, sa bene come utilizzare le linee di forza all’interno dell’inquadratura per creare enfasi sul soggetto, conosce perfettamente il valore dell’istante decisivo di bressoniana memoria. Leggendo queste ultime considerazioni ci si rende conto che la straordinarietà di Berengo Gardin si trova nel saper rendere eccellenti e meravigliose le cose che dovrebbe sapere un Allievo alla fine di un Corso Base di Fotografia!!!! E questo non sminuisce affatto l’importanza e la bravura del nostro Autore che al contrario riesce ad essere inarrivabile proprio su un piano al quale tutti potrebbero aspirare di arrivare essendo fatto con pochi mezzi e poca tecnica ma che necessita di una esperienza e una sensibilità unica e inimitabile.

i Manicomi, uno dei temi che ha seguito più a lungo
i Manicomi, uno dei temi che ha seguito più a lungo

Infine è lo stesso Gianni Berengo Gardin a raccontarci la semplicità intenzionale del suo lavoro. A raccontarci come si avvicina ad un soggetto, studiandolo prima da lontano, poi avvicinandosi pian piano ad esso, descrivendolo via via sempre più da vicino, girandogli intorno come in un rituale di avvicinamento amoroso. Mi ricorda la storia del “Piccolo Principe” che voleva creare dei legami con la Volpe la quale gli chiedeva di avvicinarsi a lei pian piano ogni giorno un pò di più e poi di sedersi senza fare nulla, affinchè lei riuscisse a conoscerlo e a fidarsi di lui per poi diventare amici. E’ proprio quello che fa Berengo Gardin con le sue immagini e i suoi soggetti.

La mostra termina con le immagini di forte denuncia di un recente lavoro sulle “Grandi Navi da Crociera” che entrano nella laguna di Venezia apparendo con la stessa grazia di un elefante in un negozio di cristalleria. Le navi appaiono gigantesche e sproporzionate all’ambiente in cui si muovono. Appaiono offensive, infinitamente più grandi della città in cui navigano. Le sentiamo minacciose per la loro forza e violenza, per la loro modernità che troppo si contrappongono con la fragilità storica della Serenissima.

Roberto Gabriele
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[tbicon icon=’icon-mail’ size=’15px’ class=’awe’] robertogabrielefotografo@gmail.com

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per la serie sulle Grandi Navi da Crociera

Nha Terra

La mostra

Voglio parlarvi di questa mostra che ho visto nel 2013 a Parigi, a due passi dal Centre George Pompidou, durante quello che fu il primo Viaggio Fotografico della nostra storia. Il Viaggio si chiamava Parigi in Bianco e Nero e questa esposizione (a sua volta in Bianco e nero) la scoprimmo per puro caso durante le nostre visite in città.

A tre anni di distanza ho conservato il materiale e i riferimenti della mostra e ora che mi ritrovo tutto tra le mani mi torna in mente quella mostra e voglio raccontarvi le mie impressioni avute all’epoca.

L’Africa:

Nha Terra” – era il titolo della mostra di questo fotografo ossia la mia terra tradotto dal portoghese, che è la lingua parlata in Guinea Bissau.

Di mostre bellissime sull’Africa ne ho viste tante, a partire da quelle stranote di Sebastiao Salgado che contengono sempre delle sezioni incredibili sul Continente Nero, fino ad arrivare ai vari vincitori del World Press Photo che in un modo o nell’altro trattano altri temi legati alle migrazioni, a guerre, carestie, sfruttamenti e ogni altro genere di scempi fatti da noi occidentali direttamente o indirettamente ai danni degli Africani.

Nedjima Berder 400_p1050823-bcbdaInvece questa mostra di Nedjima Berder (totalmente sconosciuto nel panorama dei grandi nomi della Fotografia) mi colpì veramente. Mi colpì per il suo allestimento fatto all’interno della chiesa di Saint-Merry, già questo è un elemento di nota che da noi in Italia risulterebbe alquanto bizzarro se non addirittura impensabile. Una bella chiesa che accoglie una bella mostra. Viste le tematiche della mostra, anche la scelta del luogo mi sembra appropriata: un luogo nato per accogliere, che accoglie realmente. Un luogo per tutti che parla degli Ultimi. Al dilà della ritualità sacramentale, assistiamo qui alla condivisione di storie reali che raccontano e divulgano un mondo lontano al quale non siamo estranei.

Le immagini, se vogliamo, non sono neanche particolarmente originali e usano una tecnica che andava di moda forse una quindicina di anni fa: rendere una foto in bianco e nero lasciando solo un colore. Qui assistiamo alla stessa tecnica leggermente rivisitata che invece di un solo colore evidenzia un oggetto (con tutti i suoi colori) della foto nelle mani di uno dei soggetti ritratti.

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Le foto:

La cosa che mi piace è che queste foto raccontano di un’Africa che esiste e che per fortuna pur vivendo con poco, non muore di fame. Le foto sono state scattate nei pressi di un mercato in Guinea Bissau, uno dei paesi più poveri al mondo, molti non sanno neanche esattamente dove collocarlo sul mappamondo, ma ci parlano della dignità di queste persone, e del loro rapporto con la terra e con ciò che mangiano. Sono infatti i ritratti dei contadini, pescatori o allevatori che vanno a vendere i loro prodotti al mercato.

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Le foto non hanno le classiche pose da “Bambino povero che sorride” e neanche quelle altrettanto viste da “Disperato e perseguitato vittima di violenze e torture”. Qui vediamo gente fiera di vivere la propria quotidianità africana. Gente che ostenta la forza della natura della propria terra mostrandoci quanto questa sia generosa verso di loro donando abbondanza a costo zero, anche senza fatica.

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I prodotti vengono sempre raccolti e presentati con una cura estrema, il loro basso valore economico viene invece venduto con la sconcertante semplicità di chi conosce solo la bellezza, la semplicità e la freschezza di quel poco che ha.  E così vengono presentate enormi radici o mazzi di peperoncini, o il frutto di una pesca miracolosa portata in un mercato nel quale anche parlare di “banco” è una parola grossa.

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I fisici di queste persone hanno la forza e l’eleganza di chi vive in armonia con la natura, lontano dai grassi, lontano dagli additivi chimici. E’ chiaro l’intento selettivo del fotografo Nedjima Berder che sceglie con cura i suoi modelli per enfatizzarne la bellezza e la loro perfetta armonia e simbiosi con i luoghi in cui vivono. I suoi set sono fatti in luce ambiente, con uno sfondo bianco che rende asettico un angolo di mondo che sarebbe invece circondato da polvere e fango, perchè il Fotografo nel cercare l’immediatezza dei suoi scatti, riesce ad ottenere queste pose fermando i modelli per pochi secondi davanti al suo set mentre loro passano per andare a vendere le merci. Portarli in uno studio significherebbe perderne la spontaneità e l’innocenza. Fotografarli di sorpresa al volo porterebbe all’ennesimo scatto rubato che abbiamo già visto altre volte.

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Nelle foto di Nedjima Berder  troviamo l’intero ciclo della vita, che sfila davanti alla fotocamera. Taglio quadrato, oggettivo, simmetrico, semplice. I suoi modelli hanno qualsiasi età e vivono il lavoro e la vendita con dignità e non sono mai autocompassionevoli e autocommiserevoli. Nelle immagini di questo fotografo c’è l’inno alla fertilità intesa come riproduzione umana ma anche come frutti della terra. I frutti sono sempre enormi e generosi, colorati e allegri, sono essi stessi un inno alla vita e attraverso essi il fotografo ci trasmette tutta la sua passione per il continente nero.

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Infine la scelta del fondale bianco. Anche questa è funzionale al discorso di semplicità che l’Autore si pone di trasmetterci. Un fondale diverso avrebbe portato lo sguardo dell’osservatore a distrarsi dal soggetto, a contestualizzare con altri riferimenti il senso della storia. Lo sfondo viene qui lasciato di un bianco naturale, con quelle tipiche imperfezioni e rugosità che rendono particolarmente unico e fascinoso il Continente Nero. Il bianco, poi, che si contrappone al nero della pelle, diventa anche una scelta grafica e formale di tutto rispetto. La scelta di non utilizzare Photoshop per scontornare il soggetto è, quindi tutt’altro che casuale per questo cameraman-documentarista che in questa occasione si è prestato alla Fotografia.

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Ho amato particolarmente questa mostra, mi ha parlato di un’Africa che pensavo di conoscere, avendola a mia volta fotografata 15 volte, ma che in realtà non avevo mai visto così bella e raccontata in modo così originale. Mi piace questo lavoro fotografico, mi piace per la sua coerenza, per il suo stile, per la sua potenza visiva seppur ottenuta con mezzi essenziali e di basso costo. L’Africa ci insegna che la vita può scorrere anche in un altro modo, con lentezza, essenzialità, e senza sovrastrutture, questo Continente riesce sempre ad appassionare anche chi la conosce.

L’Africa sa raccontare storie senza parlare e sa far molto rumore anche senza muoversi.

Roberto Gabriele

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Colombia – una Terra Lontana

La pioggia scende prepotente, le prime foglie si staccano dai rami degli alberi con fare sconsolato, la gente si rifugia nelle proprie case e pensa già al cambio dei vestiti negli armadi. È così che la mia mente vola ad altre latitudini, a quella terra tanto martoriata, turbolenta e poco definita nell’immaginario comune, a quella terra sorridente e magica nei miei pensieri. La Colombia!

Parlare della Colombia non è facile, non si sa mai da che parte cominciare… Di solito la conversazione inizia col dover in qualche modo rispondere ad una battuta sulla cocaina. Facciamo che di questo vi parlo in un’altra occasione, oggi vi racconto un’altra storia. Vi parlo, ad esempio, di quello che oggi è considerato il miglior caffè del mondo. Turchi, libanesi e siriani portarono la pregiata qualitá arabica nel XVII secolo trovando condizioni climatiche perfette per la coltivazione. I paesaggi ed il contesto culturale delle verdi vallate del “Triangolo del caffè” sono riconosciuti come patrimoni dell’umanitá dall’UNESCO.

Cabo de La Vela

Immaginate la Colombia come un tessuto cucito nei secoli col profumo e le influenze di tante razze e culture che dando vita ad un mosaico multicolore dal fascino indigeno, europeo, africano, medio-orientale. La Colombia è un paese con una biodiversità incredibile e di rara bellezza ma la sua vera ricchezza sta in quel particolare “melting pot” che si è venuto a creare nel corso dei secoli. Lo si può scorgere nelle architetture coloniali deliziosamente conservate, nell’artigianato, nella gastronomia, nelle molteplici espressioni musicali e soprattutto nei tratti dominanti e in quelli meno evidenti dei visi della gente.

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La Colombia è un paese in cui un viaggio ne contiene molti altri, un paese in cui ancora si possono vivere esperienze autentiche ed emozioni genuine essendo sempre stato fuori dalle rotte tradizionali del turismo. Un paese in cui si può camminare per le strade acciottolate del centro storico della Candelaria nella capitale Bogotà, alzare gli occhi al cielo ed ammirare le Ande, acuire l’udito e sentire i suoni dolci di una fisarmonica che richiama le storie del Mar dei Caraibi, girare l’angolo di un vicolo e sentire l’aroma di caffè.

Potrebbe essere più immediato descrivere paesaggi e luoghi, ma come fare a farvi sentire l’incanto delle emozioni, la brezza che vi accarezza la pelle, il caldo rovente della sabbia sotto i piedi del deserto della Guajira o i suoni emessi dalle balene che svezzano i cuccioli nella acque calde di Nuquí o Bahia Solano. Un paese che profuma di Realismo Magico e custodisce con gelosia i segreti della Leggenda di “El Dorado”.

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Testo e foto di Dario Gonzalez

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