Il mio primo incontro con Salgado:
Ricordo perfettamente il giorno in cui ho “incontrato” Salgado e ho deciso che “da grande sarei diventato fotografo” era esattamente il 16 ottobre 1987, quando sfogliai il primo numero de Il Venerdì di Repubblica che uscì esattamente in quel giorno che mi cambiò la vita, avevo 19 anni.
La copertina del famoso magazine che usciva come inserto del quotidiano, annunciava un lungo reportage interno sulla condizione e il lavoro di migliaia di minatori di oro di Serra Pelada in Brasile, che scavavano e trasportavano letteralmente con le mani il prezioso metallo in miniere che sembravano gironi danteschi.
Fui fulminato dalla potenza di quelle foto che (lo avrai già capito) erano di Sebastiao Salgado e, durante i primi giorni di università nella Facoltà di Ingegneria, capii al primo sguardo il mio amore per la fotografia, avevo immediatamente intuito che ERO fotografo ma ovviamente non potevo non finire l’Università iniziata 2 settimane prima: pensavo che fosse un sogno insano e irresponsabile poter pensare di vivere viaggiando in tutto il mondo e vendendo fotografie.
Pensavo che sarebbe stato impossibile e irraggiungibile per me fare una vita di quel tipo con la valigia in una mano, la fotocamera nell’altra e il passaporto stretto tra i denti.

Il grande cambiamento:
Quel giornale entrato entrato in casa mia alla sua prima uscita in edicola, come si dice… mi cambiò ogni prospettiva, è proprio il caso di dirlo… NON smettevo mai di sfogliarlo, lo conservai a lungo, forse per anni, e spesso lo rileggevo avidamente, guardavo quelle immagini rimanendone letteralmente ipnotizzato e incapace di distogliere lo sguardo da esse e di pensare ad altro. Quel reportage era al centro della rivista, uno speciale “staccabile” e conservabile a parte e fu per me un rito di iniziazione.
Mi fu chiaro quasi da subito che stavo seguendo contemporaneamente la testa iscritta ad Ingegneria mentre il cuore batteva e si nutriva di fotografia. Dopo l’ennesima bocciatura all’esame di Geometria 1 chiusi dietro di me la porta dell’Università e a febbraio 1990 partii militare (a quell’epoca la leva era ancora obbligatoria) aprendo il grande portone dell’Istituto Superiore di Fotografia di Roma al quale mi iscrissi accarezzando il mito di Salgado e sognando di seguirne le orme seppure ad anni luce di distanza.
Ovviamente non sono diventato bravo come Salgado nè altrettanto famoso, ma di tutto mi sarei aspettato dalla mia vita, tranne che avrei fatto a modo mio, nel mio piccolo e con molta umiltà, esattamente lo stesso tipo di vita che ha fatto lui. E così è stato: eccomi ad essere il motore portante di questo sito di Viaggio Fotografico.
Incontri successivi:
Iniziai a dire di me stesso che NON FACCIO il fotografo, SONO fotografo. E la fotografia da subito diventò parte di me, del mio modo di essere, di pensare, di comportarmi. Per me la fotografia era ed è ancora uno stile di vita con il quale pago le bollette, non è un lavoro. E tutto questo grazie a quella fascinazione subita da quel primo incontro con Salgado.
Ovviamente nella mia formazione successiva Salgado è sempre stato uno dei miei fari illuminanti che hanno sempre segnato la rotta del mio cammino. Non l’ho mai perso di vista, ho poi studiato tutta la sua produzione successiva seguendolo passo per passo in tutti i suoi progetti che si sono susseguiti negli anni. L’ho seguito sul web, ho comprato i suoi libri, ho seguito le sue tracce e le sue mostre, le sue conferenze a Roma. Ecco cosa mi ha lasciato, come mi ha segnato…

In cammino
Andai a vedere la mostra di Salgado In Cammino nel 2000 alle Scuderie Papali del Quirinale a Roma. Ero appena uscito dal matrimonio, era per me il momento di guardarmi intorno e di trovare di nuovo il faro di Salgado e della fsua fotografia da seguire. Partii da Latina per andare da solo a visitare quella mostra: certi momenti vanno vissuti da soli, servono, ne abbiamo bisogno.
Era il momento in cui mi ero rimesso di nuovo al timone della mia vita e mai come allora dovevo seguire un percorso sicuro per approdare in un porto sicuro come quello che Salgado poteva offrirmi con la sua visione del mondo, la sua sensibilità. Ritornai a casa in treno appesantito da un pesante catalogo della mostra in mano e un pesantissimo piede di marmo “fermaporta” che è ancora a casa mia a ricordo di quella giornata indimenticabile.

Genesis
Genesis fu esposta all’Ara Pacis di Roma, una mostra indimenticabile. Uno di quegli spartiacque che segnano il confine tra il PRIMA di quella mostra e il DOPO averla vista. Una di quelle mostre che non possono lasciarti indifferente, una di quelle mostre in cui ti accorgi che di quell’Autore del quale pensavi di sapere già tutto, in realtà non sapevi proprio nulla. Una mostra di una bellezza sconvolgente, dopo 12 anni ancora la ricordo foto per foto, la vidi 3 volte ricominciando il giro daccapo tanto che quelli della sorveglianza mi guardavano a distanza con un certo sospetto.

Amazzonia
Amazzonia è stata la mostra della luce. Chiunque l’abbia vista non può non ricordare il suo allestimento al MAXXI di Roma (il bellissimo museo progettato da Zaha Hadid) in una serie sale buie in cui ci si muoveva in tagli di luce strettissima che arrivavano sulle foto grazie a proiettori sagomati che le facevano sembrare sospese nell’aria. Foto straordinarie, bellissime, con un bianco e nero profondo e contrastatissimo, con delle nuvole che sembravano tridimensionali. Due ore e 30 di visita questa volta mi sono bastate. Ne uscii con un senso di “ripetizione” le foto, ripeto meravigliose” erano per me un pò troppo simili tra loro: divise in sezioni, ciascuna di esse ripeteva il concetto.
Tornato a casa ci pensai per giorni… Perchè così tante foto? Perchè tanti begli scatti ma ripetitivi tra loro? Non poteva essere che Salgado, il mio Maestro, avesse l’imbarazzo di scegliere tra i suoi capolavori e li avesse messi tutti… Ci pensai e alla fine, forse, un motivo me lo sono dato… L’Amazzonia è la più grande foresta del mondo, si estende da est a ovest a coprire 3 fusi orari, è enorme, e ha miliardi di alberi, non solo è sempre uguale a se stessa e ugualmente coperta di alberi, ma nello stesso tempo se in un’area c’è il sole magari 1000 Km più in là piove… Ecco… Salgado non mi aveva deluso: con quel suo allestimento voleva esprimere forse proprio quella vastità infinita, forse era il suo urlo i dolore a riconoscersi infinitamente piccolo e la sua impossibilità a raccontare tutta l’Amazzonia…

Il Sale della Terra
E per finire il Sale della Terra che è stato un altro dei suoi capolavori. Raccontato con quel bianco e nero asciutto che portava l’osservatore ad avere la sensazione che le foto prendessero vita, si animassero con il susseguirsi dei fotogrammi. Il sale della terra, lo abbiamo visto tutti, è un’opera colossale che racconta Salgado non solo come fotografo ma come uomo, racconta il suo temporaneo distacco dalla fotografia di guerra quando ne fu nauseato e preferì ritirarsi in Brasile dove riuscì a ricreare a casa sua la foresta pluviale e attraverso questo progetto a riavvicinarsi alla fotografia.
Si tratta di un vero film biografico più che un docufilm, diretto magistralmente da Wim Wenders ha una trama che appassiona perchè riesce a tenere alta l’attenzione di chi guarda, a farlo entrare nella storia per scoprirne le trame, svelare il profilo psicologico di quelli che non sono attori, ma persone reali che vivono la loro vita vera, la quotidianità di successi e insuccessi, le speranze e le delusioni di ogni giorno e lo fanno davanti alla macchina da presa.
