Certi viaggi fanno parte di noi ancor prima di partire. Fanno parte del nostro DNA da quando nasciamo, ci appartengono come se fosse un nostro diritto farli prima o poi, e quando riusciamo a partire per certe destinazioni non ci stupiscono neanche più di tanto perchè già ne conosciamo i dettagli, le cose che vediamo dall’altra parte del mondo appartengono già al nostro archivio dei sogni, alla galleria iconografica che giorno dopo giorno costruiamo nella nostra vita quando, dentro noi stessi, archiviamo le emozioni ed esse diventano il nostro modo di essere. Tutto questo è proprio quello che mi è successo quando sono partito la prima volta per l’Uzbekistan.
Chi se lo sarebbe mai immaginato: in due anni ci sono andato tre volte… Molte persone non sanno neanche dove si trovi questo Paese, alcuni non lo hanno neanche sentito nominare, altri non hanno neanche idea che la famosa Samarcanda si trova qui. Ma in Uzbekistan ci sono altre cose che abbiamo studiato sui libri di geografia come il Lago Aral, il quarto più esteso del mondo, che nel giro di soli trent’anni è stato completamente prosciugato da una scellerata politica agricola dei Bolscevichi che all’epoca governavano. Tanti altri hanno studiato a scuola la Via della Seta di Marco Polo e magari non sanno che una parte di quei 12.000 chilometri che uniscono Roma e Pechino passano proprio in territorio uzbeko. Adesso la situazione è forse più chiara per molti e tutti si sono fatti un’idea di dove cercare sul mappamondo…
Insomma siamo in Asia Centrale, circondati da Paesi ancor meno noti come il Tagikistan, il Turkmenistan, il Kazakistan e l’Afghanistan… Un territorio lontanissimo dal mare ma molto fiorente di commerci e scambi culturali… Culture sospese tra oriente e occidente, interi popoli che portano ancora ben chiare nella memoria storica recente le dominazioni sovietiche che ci sono state fino ai primi anni 90 del ‘900.
In tutta questa enorme area del mondo, ci sono montagne aspre e selvagge che hanno portato l’uomo a vivere a strettissimo contatto con le forze della natura e a vivere di pastorizia: il rapporto con gli animali diventa quindi quotidiano di rispetto e di sfruttamento. Gli animali vanno accuditi perchè forniscono carne, latte, uova, o forza lavoro. E in questa ottica va letto lo sport più diffuso e sentito da queste parti che non si trova in alcuna altra parte del mondo. Qui, nelle gole rocciose e aride dei monti del Pamir, tra gli sconfinati spazi del deserto del Kyzylkum o nella fertile valle dell’Amu Darya si svolge una competizione equestre chiamato Buzkashi, che letteralmente significa “Acchiappa la pecora” ed è proprio ciò che accade tra uomini e animali in un rito le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
L’accoglienza:
Un’amica mi aveva segnalato questa sentita tradizione locale e in occasione del mio secondo viaggio in Uzbekistan ho deciso di uscire dal tipico itinerario turistico fatto tra le bellissime città di Samarcanda (quella famosa per la canzone), Bukhara (famosa per i tappeti) e Khiva (Patrimonio dell’UNESCO e nota per le sue mura) e di mettermi alla ricerca di un Buzkashi in giro da qualche parte per vivere in prima persona questo evento popolare e fare un pò di foto che si preannunciavano come un evento decisamente suggestivo..
Sapevo che era probabile che sarei riuscito a trovarne uno da qualche parte cercandolo bene perchè queste competizioni si fanno in occasione di feste nazionali o religiose, o per festeggiare un matrimonio o la circoncisione di un bambino. Nei giorni in cui ero lì si celebrava in Navruz per dare il benvenuto alla primavera e un Buzkashi sarebbe stato davvero la parte di programma più originale della giornata.
Ma la mia ricerca è stata tutt’altro che facile, perchè qui siamo in Uzbekistan e ad oggi ancora non esiste un sito che dia le date certe di queste gare che sono sempre affollatissime di persone che si danno un vero e proprio passaparola su gruppi di Whatsapp o di Telegram, ma che non comunicano con ufficialità l’evento che resta quindi assolutamente spontaneo e incontrollabile. La cosa incredibile sono proprio i numeri: si arriva facilmente a migliaia di persone che si incontrano in un posto non segnalato e non controllato in alcun modo. Ma la ricerca in loco, invece è stata difficile perchè cercavo un Buzkashi e la gente non mi capiva… Nessuno sapeva cosa fosse, nessuno poteva aiutarmi: il motivo l’ho capito dopo un pò che cercavo…. In Uzbekistan il Buzkashi si chiama Kupkari oppure Uloq, non Buzkashi che è proprio il nome afghano dello stesso sport!
Una volta svelato l’arcano del nome, la ricerca è stata più semplice, ero nei pressi di Samarcanda e la gente mi ha indicato un paesino in cui si sarebbe svolta la competizione. Mi sono avviato con la mia Guida Locale alla ricerca del posto… Ci avevano detto che era una specie di cava in campagna, ma non erano stati troppo chiari… La ricerca doveva ancora essere perfezionata e le sorprese ancora non erano finite: quel giorno era festa, il 21 marzo infatti si celebra in Navruz, la festa che da il benvenuto alla Primavera e mentre andavamo verso il campo di gara, siamo passati in un paesino sperduto, oserei dire un caseggiato senza nome, nel quale ci hanno letteralmente bloccati e fatti scendere dal pullman per invitarci a casa loro a mangiare e bere in compagnia. Volevamo andare via per non perdere la gara che era il motivo del nostro viaggio fin lì, ma loro sono stati irremovibili: “il Kupkari lo organizziamo noi e finchè noi siamo qui con voi la gara non ha inizio” e così è stato.
Alle 10,30 del mattino ci hanno portati di peso in casa ad offrirci vodka e cetrioli, fagottini di carne e intingoli vari. Ci ha accolti una donna dalla vistosissima arcata dentale superiore interamente ricoperta di oro (da questa parte è un vezzo estetico che amano ostentare per motivi economici) che parlava un discreto inglese perchè era la professoressa di lingue della scuola. Lei ha fatto gli onori di casa offrendoci ogni genere di cibi, vodka e cognac che non potevamo rifiutare e che cercavamo di stemperare alternandoli con una tazza di the.
Qui la vita scorre lentamente, siamo a mezz’ora dal caos di Samarcanda ma qui il tempo sembra si sia fermato: la gente veste ancora in modo molto tradizionale con gli uomini che indossano il loro tipico berretto ricamato e le donne vestono con ampie gonne di velluto nero con fiori policromi e un evidente “stile Matrioska” completato con delle scarpe rigorosamente a sabot, aperte dietro come una elegante pantofola…
Mentre parlavamo con la padrona di casa il marito era fuori sotto al portico che gioca a scacchi con un suo amico incurante di tutto ciò che gli gira intorno come siamo ad esempio noi che benchè fossimo andati lì per fotografare eravamo invece noi i soggetti preferiti dalla popolazione locale che volevano farsi i selfie con noi non avendo praticamente mai visto dei pazzi turisti avventurarsi fino al loro villaggio per nessuna ragione e men che meno per andare a vedere il Kupkari! Noi eravamo per loro il vero elemento di attrazione e questo mi sembra chiaro e comprensibile.
Altri uomini sul retro di casa erano lì a fare scommesse ma non puntavano sugli esiti del Kupkari che ci sarebbe stato di lì a pochi minuti, ma facevano un gioco che ricorda molto da vicino il nostro gioco delle tre carte… Per queste persone il tempo non è un fattore importante, per loro la vita scorre senza grossi cambiamenti, per cui noi eravamo una vera attrattiva per tutti loro che venivano a guardarci con amichevole sincerità.
Ritirati i bicchieri del thè ci hanno finalmente detto che stava per iniziare il Kupkari e che dovevamo seguire una certa strada a piedi per arrivarci perchè lì non c’è altro modo per raggiungere i terreno di gioco.
Il Buzkashi:
Un chilometro a piedi e siamo arrivati: un enorme campo di terra grezza circondato su due lati con un terrapieno che serve agli spettatori come tribuna per godersi lo spettacolo a costo zero ma seduti a terra.
Le regole sono presto dette: un numero indefinito di cavalli e cavalieri (possono arrivare a 100 partecipanti su altrettanti cavalli) si contendono la carcassa di una povera pecora sgozzata per l’occasione e abbandonata a terra. I cavalieri non sono divisi in squadre, ma giocano ciascuno individualmente. Partono al galoppo verso il povero corpo che giace a terra senza vita e senza fermare la corsa nè scendere devono prendere il corpo della pecora (circa 35-50 chili), caricarselo sul cavallo e consegnarlo in un punto convenuto per prendere un piccolo premio in denaro (20 Euro circa) e un regalo di modesto valore come potrebbe ad esempio essere una camicia di imitazione italiana o un tappetino da preghiera.
La competizione è molto dura, forte da vedere, il corpo morto della pecora viene conteso senza esclusione di colpi tra i cavalieri che possono letteralmente strapparlo di mano all’altro contendente che lo aveva preso e sperava di riuscire a difenderlo… Al nostro occhio occidentale di certo può sembrare un maltrattamento nei confronti degli animali, anche e soprattutto dell’uso che viene fatto della pecora morta, ma occorre tenere presente che lì il rapporto tra uomini e animali non è fatto di amore ma di necessità.
Prima di iniziare l’Imam della Moschea benedice i partecipanti che se la rischiano anche in certi momenti di lotta corpo a corpo, poi parte la sfida con numerosissime cariche al galoppo che vanno a raccogliere la povera pecora che viene straziata durante il trasporto e le dispute tra i cavalieri.
La partecipazione ad un evento del genere è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, non si può rimanere indifferenti, si vive ogni istante in un modo immersivo: le urla della gente, la puzza dei cavalli che si mescola con i fumi della carne grigliata, il sole che batte sulla testa e il sapore della polvere che arriva fino in gola, gli occhi che osservano attraverso l’obiettivo della fotocamera.
Non si può stare in un Kupkari senza sentirsene parte integrante, senza vivere in prima persona il brivido di una carica di 30 cavalli che ti corrono incontro al galoppo e rischiano di travolgere chiunque pochi istanti prima si sentisse al sicuro in un’area protetta… E anche ad un osservatore esterno come può essere un occidentale, di questa giornata resta molto di più delle foto scattate, restano i sorrisi e l’ospitalità dei locali, resta il segno indelebile del cuore che batte quando ci sentiamo in pericolo, resta l’assaggio di una grande cultura.
Da cercare sul WEB:
Prima di partire mi ero documentato moltissimo sul web e avevo persino trovato un film afghano bellissimo: Buzkashi Boys che racconta la storia di questo ragazzino che sogna di salire su un cavallo e andare a prendere la sua pecora e vincere, un corto di 27 minuti che però mi fece emozionare non poco quando vidi come era girato, la forza delle immagini che conteneva…
Cercando in internet mi è capitata un’altra scena di un film molto più famoso: Rambo 3 girata in cui il protagonista Sylvester Stallone irrompe con il suo cavallo in mezzo al deserto a gareggiare al galoppo per prendere la malcapitata pecora.
Il rito del thè:
Fatti i convenevoli, quando vengono ritirati i bicchierini del the, l’ospite deve capire che il padrone di casa lo sta invitando ad alzarsi per iniziare a prendere congedo. Ci si ringrazia a vicenda per l’ospitalità e la compagnia, ma quando arriva il momento bisogna salutarsi e andare. Non è mai l’ospite ad andare, ma il proprietario della casa a prendere l’iniziativa.
Foto e parole di: Roberto Gabriele