La mostra
Voglio parlarvi di questa mostra che ho visto nel 2013 a Parigi, a due passi dal Centre George Pompidou, durante quello che fu il primo Viaggio Fotografico della nostra storia. Il Viaggio si chiamava Parigi in Bianco e Nero e questa esposizione (a sua volta in Bianco e nero) la scoprimmo per puro caso durante le nostre visite in città.
A tre anni di distanza ho conservato il materiale e i riferimenti della mostra e ora che mi ritrovo tutto tra le mani mi torna in mente quella mostra e voglio raccontarvi le mie impressioni avute all’epoca.
L’Africa:
“Nha Terra” – era il titolo della mostra di questo fotografo ossia la mia terra tradotto dal portoghese, che è la lingua parlata in Guinea Bissau.
Di mostre bellissime sull’Africa ne ho viste tante, a partire da quelle stranote di Sebastiao Salgado che contengono sempre delle sezioni incredibili sul Continente Nero, fino ad arrivare ai vari vincitori del World Press Photo che in un modo o nell’altro trattano altri temi legati alle migrazioni, a guerre, carestie, sfruttamenti e ogni altro genere di scempi fatti da noi occidentali direttamente o indirettamente ai danni degli Africani.
Invece questa mostra di Nedjima Berder (totalmente sconosciuto nel panorama dei grandi nomi della Fotografia) mi colpì veramente. Mi colpì per il suo allestimento fatto all’interno della chiesa di Saint-Merry, già questo è un elemento di nota che da noi in Italia risulterebbe alquanto bizzarro se non addirittura impensabile. Una bella chiesa che accoglie una bella mostra. Viste le tematiche della mostra, anche la scelta del luogo mi sembra appropriata: un luogo nato per accogliere, che accoglie realmente. Un luogo per tutti che parla degli Ultimi. Al dilà della ritualità sacramentale, assistiamo qui alla condivisione di storie reali che raccontano e divulgano un mondo lontano al quale non siamo estranei.
Le immagini, se vogliamo, non sono neanche particolarmente originali e usano una tecnica che andava di moda forse una quindicina di anni fa: rendere una foto in bianco e nero lasciando solo un colore. Qui assistiamo alla stessa tecnica leggermente rivisitata che invece di un solo colore evidenzia un oggetto (con tutti i suoi colori) della foto nelle mani di uno dei soggetti ritratti.
Le foto:
La cosa che mi piace è che queste foto raccontano di un’Africa che esiste e che per fortuna pur vivendo con poco, non muore di fame. Le foto sono state scattate nei pressi di un mercato in Guinea Bissau, uno dei paesi più poveri al mondo, molti non sanno neanche esattamente dove collocarlo sul mappamondo, ma ci parlano della dignità di queste persone, e del loro rapporto con la terra e con ciò che mangiano. Sono infatti i ritratti dei contadini, pescatori o allevatori che vanno a vendere i loro prodotti al mercato.
Le foto non hanno le classiche pose da “Bambino povero che sorride” e neanche quelle altrettanto viste da “Disperato e perseguitato vittima di violenze e torture”. Qui vediamo gente fiera di vivere la propria quotidianità africana. Gente che ostenta la forza della natura della propria terra mostrandoci quanto questa sia generosa verso di loro donando abbondanza a costo zero, anche senza fatica.
I prodotti vengono sempre raccolti e presentati con una cura estrema, il loro basso valore economico viene invece venduto con la sconcertante semplicità di chi conosce solo la bellezza, la semplicità e la freschezza di quel poco che ha. E così vengono presentate enormi radici o mazzi di peperoncini, o il frutto di una pesca miracolosa portata in un mercato nel quale anche parlare di “banco” è una parola grossa.
I fisici di queste persone hanno la forza e l’eleganza di chi vive in armonia con la natura, lontano dai grassi, lontano dagli additivi chimici. E’ chiaro l’intento selettivo del fotografo Nedjima Berder che sceglie con cura i suoi modelli per enfatizzarne la bellezza e la loro perfetta armonia e simbiosi con i luoghi in cui vivono. I suoi set sono fatti in luce ambiente, con uno sfondo bianco che rende asettico un angolo di mondo che sarebbe invece circondato da polvere e fango, perchè il Fotografo nel cercare l’immediatezza dei suoi scatti, riesce ad ottenere queste pose fermando i modelli per pochi secondi davanti al suo set mentre loro passano per andare a vendere le merci. Portarli in uno studio significherebbe perderne la spontaneità e l’innocenza. Fotografarli di sorpresa al volo porterebbe all’ennesimo scatto rubato che abbiamo già visto altre volte.
Nelle foto di Nedjima Berder troviamo l’intero ciclo della vita, che sfila davanti alla fotocamera. Taglio quadrato, oggettivo, simmetrico, semplice. I suoi modelli hanno qualsiasi età e vivono il lavoro e la vendita con dignità e non sono mai autocompassionevoli e autocommiserevoli. Nelle immagini di questo fotografo c’è l’inno alla fertilità intesa come riproduzione umana ma anche come frutti della terra. I frutti sono sempre enormi e generosi, colorati e allegri, sono essi stessi un inno alla vita e attraverso essi il fotografo ci trasmette tutta la sua passione per il continente nero.
Infine la scelta del fondale bianco. Anche questa è funzionale al discorso di semplicità che l’Autore si pone di trasmetterci. Un fondale diverso avrebbe portato lo sguardo dell’osservatore a distrarsi dal soggetto, a contestualizzare con altri riferimenti il senso della storia. Lo sfondo viene qui lasciato di un bianco naturale, con quelle tipiche imperfezioni e rugosità che rendono particolarmente unico e fascinoso il Continente Nero. Il bianco, poi, che si contrappone al nero della pelle, diventa anche una scelta grafica e formale di tutto rispetto. La scelta di non utilizzare Photoshop per scontornare il soggetto è, quindi tutt’altro che casuale per questo cameraman-documentarista che in questa occasione si è prestato alla Fotografia.
Ho amato particolarmente questa mostra, mi ha parlato di un’Africa che pensavo di conoscere, avendola a mia volta fotografata 15 volte, ma che in realtà non avevo mai visto così bella e raccontata in modo così originale. Mi piace questo lavoro fotografico, mi piace per la sua coerenza, per il suo stile, per la sua potenza visiva seppur ottenuta con mezzi essenziali e di basso costo. L’Africa ci insegna che la vita può scorrere anche in un altro modo, con lentezza, essenzialità, e senza sovrastrutture, questo Continente riesce sempre ad appassionare anche chi la conosce.
L’Africa sa raccontare storie senza parlare e sa far molto rumore anche senza muoversi.
Roberto Gabriele