Kirghizistan

Kirghizistan

Il Kirghizistan o Kyrgyzstan, ex Repubblica federata dell’Unione Sovietica, ha raggiunto l’indipendenza soltanto nel 1991. Situato in Asia Centrale, prende il nome dai Kirghizi, popolo di origine turco-mongola dalle forti tradizioni nomadi; tradizioni mantenute ancora oggi, quando d’estate numerose famiglie si trasferiscono nei pascoli con il bestiame e vivono per alcuni mesi nelle tipiche yurte.

Kirghizistan
Kirghizistan. Foto: © Stefano Bianchi

Peculiarità del territorio kirghizo è l’essere in gran parte montuoso: non a caso, viene definito la “Svizzera dell’Asia Centrale”: fiumi e laghi di montagna dalle acque trasparenti, cascate, gole, monti innevati e verdi vallate punteggiate di animali allo stato brado.

Vita rurale in Kirghizistan. Foto: © Stefano Bianchi

Il nostro Viaggio Fotografico 2023:

Il viaggio in Kirghizistan è iniziato da Bishkek, capitale e centro della vita economica, culturale e politica del paese: città animata, moderna e in rapido sviluppo, che tuttavia conserva evidenti tratti di stampo sovietico. Colpisce il forte contrasto tra lo stile di vita tradizionale degli abitanti dei villaggi in cui abbiamo fatto sosta e quello moderno della capitale; si tratta di due mondi agli antipodi, più di quanto succeda in altri paesi.

Un festival incontrate per pure caso lungo la strada in Kirghizistan. Foto: © Stefano Bianchi

Durante il viaggio in Kirghizistan abbiamo infatti attraversato il nord-est del paese fino al lago Issyk Kul, per poi arrivare alla città di Karakol e poter toccare con mano la bellezza e la varietà dei paesaggi. La costante che ci ha accompagnati ad ogni cambio di scenario è stata la grande ospitalità del popolo kirghizo, sempre ben disposto verso i viaggiatori, che probabilmente in virtù della propria cultura nomade percepisce affine.

Bambini felici. Foto: © Stefano Bianchi

Il viaggio è stato sorprendentemente bello dal primo all’ultimo giorno, ma il luogo che più mi è rimasto nel cuore è stato il soggiorno nel campo tendato sulle rive del lago Son Kul, gioiello nascosto ed incastonato nelle montagne della steppa e che, trovandosi lontanissimo da qualsiasi centro abitato, di notte ci ha permesso di vedere stellate eccezionali.

Kirghizistan. Foto: © Stefano Bianchi

Là fuori c’è la Mongolia

Mai come in Mongolia ho provato un senso di infinito, di vuoto, di deserto, di enormità contrapposto ad una civiltà antica e ad un popolo nomade e civile che abita gli spazi sconfinati.

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In Mongolia l’estate dura da giugno ad agosto, ci sono poi due brevi stagioni intermedie e 8 mesi di inverno durissimo con temperature che scendono a 50 gradi sotto zero, Ulaan Batar arriva a 50 gradi in estate raggiungendo un’escursione termica di 100 gradi tra le massime e le minime che mediamente si registrano ogni anno. Si aggiunga poi che su 2 milioni di persone in tutto in Mongolia il 30% della Popolazione vive da nomade nella steppa nelle caratteristiche Ger, le tende mongole: intere famiglie di allevatori che condividono i pochi metri quadrati della tenda sfidando i fortissimi e gelidi venti che arrivano da nord.

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Queste premesse socioclimatiche mi erano necessarie per chiarire il significato di queste mie fotografie. La cosa che più mi ha colpito viaggiando da queste parti è il senso di confine che c’è tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, tra le case (o le tende) e la natura selvaggia che è subito fuori di esse. Unico filtro fra interno ed esterno è la lastra di vetro di una finestra o una porticina di legno.

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Ho iniziato quindi ad osservare l’esterno visto dall’interno, a guardare quel mondo con gli occhi di chi lo vede tutti i giorni. Ho iniziato ad immedesimarmi nel punto di vista di chi vive contrasti tanto forti che rendono difficilissima qualsiasi forma di comunicazione e socializzazione.

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Nei pochi villaggi ci sono dei piccoli minimarket che vendono i generi di prima necessità senza lasciare alcuno spazio a tutto ciò che è superfluo, non indispensabile, non necessario. Le città più grandi hanno 2-3000 abitanti, un distributore di benzina, un paio di questi minimarket, un ristorantino per i pochi che passano da quelle parti, un Tempio buddista e qualche casa di muratura che si alterna alle ger.

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Dalle finestre di questi locali, così come dalle porte delle ger dei nomadi, si vedono mondi desolati, città vuote o l’immensità del Deserto di Gobi.

Ho voluto fare una analisi sociale di quello che è il mondo che queste persone hanno davanti. Da quelle finestre si vede sempre la stessa piazza, da quelle porticine sempre lo stesso orizzonte. La cosa che mi sconvolge è il fatto che siano pochissime le persone che vivono quegli spazi.

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Un nomade vedrà solo il deserto o la sua famiglia: una manciata di persone solitarie. Chi sta nel villaggio vedrà comunque sempre le stesse facce per tutta la vita. Da quelle parti è difficile trovare una propria identità, difficilissimo lasciare spazio alla creatività, alla socialità, allo scambio sociale e culturale tra le persone.

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Nessuna speranza di cambiamento per nessuno. La loro vita è segnata dal clima, dalla natura che non lascia spazio ai sogni.

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