Sulle orme di Emmett Till

Simbolo della lotta ai diritti civili nel Sud USA

Dopo aver vissuto il 60° anniversario della marcia da Selma a Montgomery, momento chiave per il movimento dei diritti civili in America, sono rientrata nel Mississippi. Qui ho seguito le orme di un’altra storia cruciale, profondamente radicata in quella stessa lotta: la vicenda di Emmett Till. Una storia per lo più sconosciuta qui in Italia, ma che negli Stati Uniti ha rappresentato un punto di svolta per l’inizio del lento cambiamento.
In un clima di razzismo e intolleranza si inserisce la vicenda di Emmett Till, un quattordicenne afroamericano di Chicago che, nell’estate del 1955, si recò in vacanza dai parenti a Money, un piccolo paese rurale del poverissimo Delta del Mississippi.
La sua storia avrebbe cambiato per sempre la coscienza del Paese.

©Simona Ottolenghi

La segregazione razziale nel Delta del Mississippi

La situazione per gli afroamericani nel Delta era radicalmente diversa da quella di Chicago. Qui la segregazione razziale era parte integrante della vita quotidiana. Le leggi e le consuetudini dividevano nettamente bianchi e neri in ogni ambito sociale, giustificando profonde disuguaglianze e una cultura diffusa di violenza e intimidazione verso la popolazione afroamericana.
Le leggi Jim Crow, emanate a partire dalla fine del XIX secolo, separavano i bianchi e i neri in ogni ambito della società: dall’istruzione ai trasporti, dai ristoranti alle scuole. Nonostante l’abolizione della schiavitù nel 1865 e i successivi emendamenti costituzionali, la supremazia bianca era ancora radicata, e la violenza contro gli afroamericani era considerata giustificata in molti casi.
Il soggiorno di Emmett Till si trasformò in tragedia quando, il 24 agosto, un presunto e innocuo complimento rivolto a Carolyn Bryant, la proprietaria bianca dell’omonimo negozio di alimentari, scatenò una reazione brutale e inimmaginabile.

Nel mio viaggio in solitaria ho cercato di seguire il percorso della sua storia.
A Money la Bryant Grocery oggi non esiste più, ma è ben segnalata da un cartello che ne ricorda la storia. Una fitta siepe nasconde quasi completamente ciò che resta di quel negozietto diventato tristemente famoso. Intorno il tipico paesaggio del Delta: distese pianeggianti e strade polverose con vaste piantagioni di cotone, dove per generazioni gli afroamericani avevano lavorato come schiavi e mezzadri.
Nonostante la sua apparente tranquillità, sono ancora vivi i segni del suo passato di sfruttamento e ingiustizia razziale.
Una curiosità: Non lontano da qui si trovano anche la tomba e i luoghi legati alla memoria del leggendario bluesman Robert Johnson, a testimonianza della ricca e complessa storia culturale e sociale di questa regione.

Il rapimento e il viaggio verso l’orrore

©Simona Ottolenghi

Pochi giorni dopo quel presunto episodio, nella notte del 28 agosto, Emmett fu rapito nella casa dello zio da Roy Bryant e J.W. Milam. Le testimonianze dell’epoca riportano la straziante scena del ragazzo, prelevato con la forza dalla casa di suo zio e condotto verso un pick-up Ford blu nel pieno della notte. Questo dettaglio del veicolo è rimasto impresso nella memoria collettiva come un elemento cruciale di quei momenti finali.

©Simona Ottolenghi

La ricerca del ponte

Fu brutalmente picchiato, torturato e infine ucciso. Il suo corpo gettato nel fiume Tallahatchie dal Bayou Bridge.
Trovare quel ponte non è stato facile, ma alla fine ce l’ho fatta. Avevo anche chiesto informazioni sul dove si trovasse agli addetti del Museo dedicato alla storia Emmett Till a Glendora, ma non lo sapevano con certezza nemmeno loro… “Dovrebbe essere da quella parte… ma è chiuso da allora!”.
Oggi, ciò che rimane è una struttura abbandonata, arrugginita e inagibile, in gran parte sommersa dalla vegetazione e riassorbita dalla natura circostante. Con spirito di avventura e un pò di coraggio mi sono addentrata fino alla base del ponte tra tanto fango misto a rami secchi, una selva di cipressi spogli e piante selvagge.

Bayou Bridge. ©Simona Ottolenghi

Il paesaggio sul lento e fangoso fiume sottostante toglie il fiato per la sua bellezza. Le ombre quasi spettrali dei cipressi creano una texture che sembra essere disegnata o proiettata direttamente sull’acqua.

Il Tallahatchie River visto dal ponte. ©Simona Ottolenghi

Graball Landing: il ritrovamento

Continuo la mia ricerca in macchina, tra una mappa e un cartello che segnala qualcosa di poco comprensibile con una freccia. Seguo la freccia e la strada sterrata e arrivo al Graball Landing, il punto sulla riva del fiume dove  un pescatore ritrovò il suo corpo, sfregiato ed irriconoscibile. Aveva al dito un anello che è stato fondamentale per il riconoscimento altrimenti quasi impossibile con i mezzi di allora.
La targa commemorativa indica che, sebbene la posizione esatta del ritrovamento non sia certa, diverse testimonianze lo collocano in quest’area, nel bel mezzo della vegetazione palustre.

Il luogo del ritrovamento del corpo. ©Simona Ottolenghi

Il forza della madre

La straordinaria forza, il coraggio e la dignità di sua madre, Mamie Till-Mobley furono fondamentali per portare questa storia all’attenzione dell’intera Nazione Americana. Prese con fermezza la decisione di tenere un funerale a bara aperta, mostrando al mondo le orribili mutilazioni subite dal figlio. Questa scelta che generò un’ondata di indignazione e sdegno, e così doveva essere. Le immagini pubblicate su riviste come Jet Magazine ebbero un impatto profondo, e contribuirono a sensibilizzare l’opinione pubblica e a mobilitare il movimento per i diritti civili.
Nel 2022 è uscito il film diretto da Chinonye Chukwu Till – Il Coraggio Di Una Madre che descrive tutta la sua storia dal punto di vista di mamma forte, e decisa a far uscire la verità sul figlio.

Emmett Till e la madre. ©Simona Ottolenghi

Sumner e la memoria di una svolta

Per caso sulla strada vedo un altro cartello che segnala qualcosa legato alla vicenda di Till. Lo seguo fino alla piccola cittadina di Sumner, dove, con mia grande sorpresa, si trova la Court Room, l’aula di tribunale in cui si svolse il processo.
In quella sala, nel settembre del 1955, si tenne il processo contro Roy Bryant e J.W. Milam, i due uomini bianchi accusati dell’omicidio. Nonostante le prove presentate, inclusa l’identificazione del corpo da parte dello zio di Emmett, e le testimonianze, una giuria composta interamente da uomini bianchi deliberò per poco più di un’ora, prima di emettere un verdetto di non colpevolezza. L’assoluzione, anche se prevedibile considerato il contesto, sconvolse profondamente la comunità afroamericana e scosse tutto il paese. Era chiara l’ingiustizia di un sistema legale che non considerava la vita di un ragazzo nero alla pari di quella di un bianco.

L’aula dove avvenne il processo. ©Simona Ottolenghi

Negli anni successivi, protetti dalla legge sul doppio rischio, Bryant e Milam ammisero pubblicamente in un’intervista del 1956 alla rivista Look di aver rapito e ucciso Emmett, descrivendo nei dettagli il loro brutale crimine. Questa confessione, avvenuta l’assoluzione, non portò a un nuovo processo penale ma servì a rafforzare nella coscienza collettiva l’orrore di quanto accaduto e l’impunità di cui godevano i bianchi nel Sud segregazionista. Il caso di Emmett Till divenne un potente catalizzatore per il movimento per i diritti civili, ispirando nuove generazioni di attivisti a lottare per l’uguaglianza e la giustizia.”

©Simona Ottolenghi

Questo viaggio mi ha segnata molto. In questo periodo storico così difficile in cui sembra che ci si sia dimenticati della Storia, anche recente, credo sia davvero molto importante informarsi, andare oltre, conoscere fatti come questo che risalgono pochi decenni fa ma che in fondo riguardano tutti noi. L’attualità purtroppo ce lo conferma.

Selma e i Diritti Civili

60 ANNI DOPO LA STORICA MARCIA

A Selma, in Alabama, “60 anni dopo la storica marcia”. Il 7 marzo 1965, ricordato come il Bloody Sunday, è l’inizio del cambiamento della storia dei diritti civili degli afroamericani.

Foto @Simona Ottolenghi

Sono sempre stata dell’idea che l’imprevisto all’interno di un viaggio possa essere il valore aggiunto al viaggio stesso. E quando capita di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, questa tesi viene non solo confermata, ma arricchita di un significato profondo. Così è stato nei giorni intensissimi che vissuto ho durante un viaggio intimo in solitaria tra le strade del profondo sud americano.

Foto ©Simona Ottolenghi

Dopo il viaggio in Louisiana con il gruppo in occasione del Mardi Gras ho deciso di rimanere una settimana da sola. Dopo tanti viaggi nel Mississippi alle origini del blues era per me importante andare “oltre”, vedere quei posti in cui le lotte ai diritti civili hanno avuto inizio. Avevo da tempo desiderio di ripercorrere i luoghi chiave che hanno cambiato la storia e la vita degli afroamericani. Sapevo che c’era ancora molto da scoprire, storie da ascoltare e luoghi da vedere che andavano oltre il viaggio stesso.

Foto ©Simona Ottolenghi

In poche ore di macchina da New Orleans ho raggiunto Montgomery, in Alabama, dove si trova il Legacy Museum. Un museo importante che racconta, in modo immersivo e interattivo, la storia degli afroamericani fin dalle sue tristi origini, dai rapimenti di circa 12 milioni di africani dalle loro terre natie, alla schiavitù nelle piantagioni dei padroni bianchi, ai dolori e le lotte di un popolo senza diritti.

Foto ©Simona Ottolenghi

Un felice coincidenza

Tra i vari pannelli del Museo sono stata colpita da una data storica che ha segnato l’inizio del movimento dei diritti civili: il 7 marzo 1965.

Questa giornata è tristemente nota come il “Bloody Sunday“. In quel giorno, circa 600 manifestanti pacifici, guidati da attivisti per i diritti civili tentarono di attraversare l’Edmund Pettus Bridge di Selma per marciare verso Montgomery e protestare contro la negazione del diritto di voto agli afroamericani. La loro marcia fu brutalmente interrotta dalla violenza della polizia.

Foto ©Simona Ottolenghi

Le immagini di quella giornata hanno fatto il giro del mondo. Seguirono, sempre nel marzo dello stesso anno, altre 2 marce che partivano come la prima da Selma per arrivare a Montogomery, a cui partecipò anche Martin Luther King.
Il 6 agosto del 1965 l’allora presidente Lyndon Johnson promulgò il Voting Rights Act, la legge che finalmente garantiva il diritto di voto ai neri, eliminando le discriminazioni e gli ostacoli che lo impedivano.

@Foto Simona Ottolenghi

Perché racconto tutto questo? Perché ero in quel posto il 7 Marzo 2025, esattamente 60 anni dopo quella prima e storica marcia! Ho cercato il programma di quei giorni, sicura di trovare qualche evento per quell’importante anniversario. Così mi sono trovata a partecipare alla parata del Selma Bridge Crossing Jubilee. Un’intera mattinata in ricordo di quella giornata che profondamente cambiato la storia Americana, e soprattutto Afroamericana.

Foto ©Simona Ottolenghi

L’orgoglio di chi non si arrende

Immancabili stand con magliette e altri gadget dell’evento, banchetti di street food dove non potevo perdere le mitiche “bbq chicken wings”! Ero credo l’unica straniera e tra i pochi bianchi a partecipare all’evento.
L’aria era carica di emozione.

@Foto Simona Ottolenghi

Si percepiva forte l’orgoglio e l’unità di tutte quelle persone. Marciando e cantando, mostravano che ancora oggi, dopo tanti anni, continuano a lottare per i pari diritti. Diritti che, troppo spesso, rimangono solo sulla carta.
Essere lì era un modo per osservare da vicino, per vedere e documentare come la memoria continua a vivere. Cercando di catturarne dettagli ed emozioni.

Foto ©Simona Ottolenghi

È stata un’esperienza importante, forte, inclusiva, che mi ha fatto ancor più riflettere su quanto sia importante conoscere la storia.  Immergersi nel passato ci aiuta a capire il presente, e cercare in qualche modo, nel nostro piccolo, a migliorarlo.
Questi viaggi, in fondo, sono anche un modo per imparare, per crescere e per capire meglio il mondo che ci circonda. Perché la storia, in fondo, ci riguarda tutti. Nessuno escluso.

Dopo questa parentesi in Alabama, sono rientrata in Mississippi, dove mi sono dedicata a un’altra importante storia strettamente legata ai diritti civili, che racconterò a breve nel prossimo articolo.

QUESTIONE DI ATTIMI

Giovedì 7 settembre dalle 16.00 alle 20.00, presso Otto Gallery in piazza Mazzini 27 a Roma, si inaugura la mostra fotografica di Stefano Mirabella: Questione di attimi, uno sguardo su Roma in versione Street.

LA MOSTRA

La fotografia, secondo il mio pensiero, è la sintesi tra la rappresentazione della realtà e la capacità di trascenderla. Il quotidiano e la strada sono un teatro incredibile dove il fotografo è allo stesso tempo attore e spettatore.
Un palcoscenico ricco di situazioni, di persone e di aneddoti che vanno visti e colti.
L’imponderabilità, l’anarchia e l’imprevedibilità, sono fattori determinanti che rendono l’indagine fotografica difficoltosa, ma assolutamente affascinante.
La curiosità e la vivacità dello sguardo sono alla base di ogni buona fotografia e si trasformano in un occasione irripetibile per vivere il quotidiano con uno spirito diverso. Senza questo spirito ogni scena rischierebbe, come spesso accade, di essere già vista e rivista.
Tutti gli scatti in mostra sono stati realizzati nella città in cui vivo da sempre, questo non vuole essere per forza un filo conduttore, ma è assolutamente importante per me. Vedere qualcosa di nuovo in un luogo che, per i miei occhi è “vecchio”, è una sfida che mi appassiona e mi spinge ogni giorno a camminare.
Perché è solo camminando e osservando che un fotografo che ha scelto la “strada” può continuare a scattare e a meravigliarsi.
Meravigliarsi e mai permettere all’abitudine di distruggere l’occhio, questo è quello che provo ad essere e questo è quello che vuole essere il “Cielo in una stanza

Stefano Mirabella

L’AUTORE

Stefano Mirabella è nato e vive a Roma dal 1973, nel 2003 muove i primi passi nel mondo della fotografia frequentando alcuni corsi nelle migliori scuole di Roma. Subito dopo inizia un percorso fotografico personale, che lo vede impegnato nel reportage sociale, numerosi i viaggi fotografici all’estero: Thailandia, Cambogia, Laos, Birmania, India, Siria e territori occupati palestinesi. Queste esperienze danno vita ad alcune mostre personali e pubblicazioni varie.
La passione per la fotografia lo porta a intraprendere la strada dell’insegnamento, tiene costantemente corsi di fotografia avanzati e di base, individualmente o per conto di associazioni e scuole.
Dal 2012 pratica la Street Photography. Entra subito a far parte del collettivo italiano Spontanea. Vive la fotografia di strada come un’opportunità per stare tra la gente e riscoprire la sua città. Predilige quel tipo di fotografia che è in bilico tra la voglia di rappresentare la realtà e il desiderio di trascenderla.

Ama profondamente il genere e cerca di condividerlo tramite l’insegnamento, è docente presso Officine Fotografiche. Vincitore del Leica Talent 2014 è docente della prestigiosa Leica Akademie.

 

DOVE?

OTTO Gallery
Piazza Giuseppe Mazzini 27 – Piano 4 Scala A.
00195 Roma
Citofona OTTO Rooms
Ecco il link: https://goo.gl/maps/YZFemWnRGQstxum2A

 

Come arrivare:

OTTO Gallery si trova nel Quartiere Prati di Roma ed è collegata benissimo anche con i mezzi di trasporto:

  • Metro Rossa LINEA A stazione Lepanto
  • Oppure in bus che arrivano fino qui da tutta Roma: 19-30-69-89-280-301-490-495

E se vieni da lontano:

Puoi dormire direttamente nella di OTTO Rooms!

Per prenotare la tua camera da OTTO Rooms CLICCA SU QUESTO LINK.

 

 La mostra sarà visibile fino al 22 Novembre su appuntamento.

CONTATTI:

Website: www.stefanomirabella.com

Facebook: https://www.facebook.com/stefano.mirabella.1

Instagram: https://www.instagram.com/stefanomirabella/

 

Il lutto cubano

Siamo arrivati a L’Avana la sera del 30 novembre. Tre giorni prima era morto Fidel Castro, controverso ed indiscusso protagonista della storia contemporanea del Paese.

Quando ho appreso della sua morte ho subito pensato che avremmo avuto una grande opportunità: essere a Cuba in un momento storico, di passaggio verso un futuro di forti cambiamenti ancora incerti ma spero non devastanti.

Non ero ancora mai stata a Cuba. Ero curiosa di parlare con la gente e respirare l’atmosfera di quei giorni di lutto in cui tutto il paese si sarebbe fermato.

Il pomeriggio del 30 novembre è partito da L’Avana il corteo con le ceneri di Fidel verso Santiago, quando siamo arrivati noi era già tutto lontano.

Il giorno dopo, L’Avana era una città fantasma, un caldo umido pesantissimo, e la pioggia che ha reso l’atmosfera ancora più grigia e triste. Così ci accolti il paese della musica e del sole.

Ovunque c’erano bandiere a mezz’asta, immagini commemorative di Fidel e del suo 90° anniversario di vita, scritte rievocative del 26 luglio 1953, in ricordo dell’attacco alla caserma Moncada a Santiago di Cuba, uno degli episodi più importanti della Rivoluzione cubana, a cui è stato ispirato il Movimiento 26 de Julio.

Foto: © Simona Ottolenghi – Interno di una casa, L’Avana

In quei giorni precedenti il funerale del 4 dicembre, e quindi la fine del lutto, c’era uno strano silenzio interrotto solo dal rumore delle poche bellissime e decadenti macchine d’epoca, che sono ancora le protagoniste indiscusse delle strade cubane.

Foto: © Simona Ottolenghi – L’Avana

Il sole era tornato, ma rimanevano le bandiere abbassate a mezz’asta, e soprattutto il divieto assoluto di bere e servire alcolici e di ascoltare qualsiasi tipo di musica.

Era stata vietata l’anima di Cuba a Cuba.

Solo in alcuni ristoranti turistici, con le cameriere vestite da Babbo Natale, servivano qualche cocktail a base di rhum, ma mai birra, perché, dicevano, la birra si vede da lontano.

Abbiamo approfittato per parlare con la gente, capire cosa pensano di quel che è stato Fidel per il loro popolo, quanto quel silenzio obbligato fosse vissuto come una costrizione o come un lutto vero e sentito.

A L’Avana alcuni proprietari delle case che ci ospitavano erano poco interessati alla storia e al passato di Cuba… pensavano di più al loro futuro in un turismo che ormai sta diventando di massa.

Foto: © Simona Ottolenghi - L'Avana
Foto: © Simona Ottolenghi – L’Avana

Ma usciti dalla città, tra i coltivatori di tabacco e canna da zucchero, spesso plurilaureati, il sentimento condiviso è di grande rispetto e devozione nel Lidèr Maximo che ha dato ai cubani istruzione e sanità gratuita per tutti e li ha liberati dalla dittatura fascista e corrotta di Batista.

Foto: © Simona Ottolenghi

Sono queste quindi le due anime di Cuba in questo momento di passaggio e cambiamento: quella ancora nostalgica, e certa che Raùl Castro continui sulla linea politica del fratello, e quella che si sta già affacciando al nuovo mondo del turismo, in modo spesso troppo disorganizzato ed approssimativo.

Le casas particulares sono ora autorizzate dal governo, e chi ha modo, non perde l’occasione di trasformare la sua casa in un alloggio per turisti, il porto di L’Avana si è trasformato in un parcheggio per navi da crociera e i pullman turistici da 50 posti sono ormai ovunque…

Rimane però la doppia moneta, il pesos cubano che vale pochissimo (il CUP, 1/24 di €) con cui possono comprare prodotti di prima necessità in botteghe apposite con scaffali prevalentemente vuoti, tutto razionato e controllato, ed il Pesos Convertibile (il CUC, con cambio 1/1 con l’euro), utilizzato dai turisti, che al nero entra nelle mani degli operatori turistici a qualsiasi livello e che crea grosse disparità nella popolazione.

Foto: © Simona Ottolenghi – L’Avana

Questa è la Cuba che io ho vissuto io oggi, in un momento importante per il suo futuro, sperando non venga trasformata in una macchina per investimenti ma che riesca a mantenere la sua forza ed unicità.

Cosa succederà non lo sappiamo, ma già si vedono tante bandiere americane nelle strade e dentro le case, e tanti sono i cubani che con i colori della bandiera USA hanno trasformato il loro abbigliamento…

Che sia un bene o un male sarà solo la storia a dirlo…

Foto: © Simona Ottolenghi – Nave da crociera, L’Avana

Venerdì Santo in Provincia di Potenza

A Barile, (“Barilli” in arbëreshë), comune di circa 3.000 abitanti della provincia di Potenza, per il Venerdì Santo è tradizione che si ripetano i Misteri della Passione.

 

32.Lionetti_a_BarileLe origini di questa ricostruzione storica risalgono alla metà del 1600, momento in cui il clero stava cercando di adattare le usanze locali ai dettami della religione cattolica.

Attualmente è organizzata dal Comitato della Sacra Rappresentazione Via Crucis di Barile, composto da oltre 40 volontari.

Numerosi sono i personaggi in costume che compongono il corteo, aperto da tre centurioni a cavallo e da tre bambine vestite di bianco (le tre Marie).

Il personaggio più’ insolito e’ la Zingara, la più’ bella ragazza del paese, abito scintillante e ricoperta dei gioielli della gente più’ facoltosa di Barile.

E’ un chiaro richiamo alle origini albanesi dei paese.

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La natura del corteo mostra un’evidente commistione di elementi sacri e profani, poiché i personaggi storici si mescolano a figure più tipicamente popolari dal forte contenuto simbolico.

Nella straordinaria rievocazione della passione di Cristo, motivo di grande significato è l’oro che copre i simboli e riveste i personaggi della sacra rappresentazione.

Sembra che si vogliano rappresentare statue piuttosto che figure in carne e ossa, o meglio le raffigurazioni ieratiche e quasi inespressive oltre che coperte di oro, proprie dell’arte bizantina.9.Lionetti_a_Barile

E’ l’oro, infatti, il motivo ricorrente della manifestazione: l’oro che copre le croci e gli abiti bianchi delle “tre Marie“, bimbe che simboleggiano purezza e innocenza, le braccia impastate della Veronica, impreziosisce le dita dei sacerdoti del Sinedrio; l’oro – infine- che intesse il vestito dell’Addolorata, identico a quello della statua che troneggia in ogni chiesa del Sud.

Ma, soprattutto, “veste” la zingara, personaggio singolare che, secondo la tradizione popolare, ha acquistato i chiodi per la crocifissione.Il corteo si chiude con la presenza delle statue del Cristo Morto e dell’Addolorata, preceduti dal Sacerdote che invita i fedeli alla preghiera ed alla meditazione dei misteri.

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Holi Festival dei Colori in India

Quando si pensa all’India, immediatamente si pensa al COLORE in tutte le sue forme: gli sgargianti Sari che le donne di ogni casta e ceto sociale indossano sempre con grande grazia ed eleganza, i TEMPLI induisti tempestati di migliaia di decorazioni e divinità colorate, le SPEZIE, che caratterizzano tutti i piatti tradizionali e che sono le protagoniste degli affollatissimi mercati con tutte le gradazioni del rosso e del giallo… insomma l’India senza colori non sarebbe l’India!!!

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©Simona Ottolenghi

Ma c’è un periodo dell’anno, che corrisponde all’inizio della primavera, in cui l’esplosione di colori assume la sua massima potenza: si tratta di HOLI, il festival dei colori più famoso del Mondo, durante il quale migliaia, se non milioni di persone, scendono in strada imbrattando con polveri colorate chiunque capiti a tiro.

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©Simona Ottolenghi

E’ una delle feste più antiche della mitologia Indù, e viene celebrata il giorno successivo alla prima notte di luna piena nel mese di Phalgun, che segna anche l’inizio della primavera.

Holi significa ‘bruciare’ e trae origine dalla leggenda di Holika: durante la sera della luna piena, si accendano infatti falò per allontanare gli spiriti e celebrare la Vittoria del Bene sul Male.

Il rito ricorda anche la miracolosa fuga del giovane Prahalad, devoto di Vishnu, dalla demone Holika che voleva darlo alle fiamme: Prahalad grazie alla sua fede in Vishnu scampò illeso mentre Holika morì arsa.

Il giorno successivo all’accensione dei falò la gente si ammassa per il lancio di acqua e polveri colorate per le vie delle città e nei villaggi.

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©Simona Ottolenghi

La Leggenda di Radha-Krishna ricorda proprio il lancio di colori: il giovane Khrisna, geloso dell’amata Rada per la bellezza della sua pelle, le dipinse tutta la faccia.

Così, i Templi durante Holi sono decorati con i colori e un idolo di Radha sull’altare.

Nel nostro Viaggio Fotografico abbiamo partecipato con grande entusiasmo, divertimento e qualche piacevole sorpresa ai festeggiamenti di questa fantastica festa dalle lontane origini religiose.

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©Simona Ottolenghi

Il nostro Holi è iniziato in un piccolissimo Tempio della bellissima Bundi, nel cuore del Rajastan dove siamo stati invitati a partecipare ad una loro cerimonia. Siamo stati accolti con grande calore  e subito coinvolti a stare in mezzo alla folla ed a ballare con loro. Non c’era differenza tra loro e noi, eravamo lì, ballavamo e scattavamo foto, quando improvvisamente, senza accorgercene, eravamo completamente colorati! Mancava ancora qualche giorno ad Holi, quindi non eravamo assolutamente preparati a ciò che ci avrebbe attesi. Avevano infatti iniziato a lanciare prima fiori e poi polveri di tutti i colori trasformando il Tempio in un fantastico e gioioso arcobaleno!

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©Simona Ottolenghi

Per fortuna siamo riusciti a salvare in qualche modo le fotocamere che non avevamo avuto modo di proteggere con le migliaia di buste che avevamo portato proprio per l’occasione.

Tra i partecipanti alla festa c’era anche un fotografo indiano che ci ha scattato qualche foto con la promessa di inviarcele via mail… certo non ci aspettavamo che quelle foto erano destinate ad una delle più famose testate del Rajastan!!!!

Dopo questo primo assaggio di Holi a Bundi, siamo andati a Jaipur dove abbiamo partecipato ai falò sulle strade della città e ci siamo immersi il giorno dopo nei veri festeggiamenti trasformandoci in divertite macchiette colorate! In giro per la città sui risciò ci fermavamo non appena individuavamo situazioni interessanti anche dal punto di vista fotografico… ma non facevamo a tempo a scendere che le nostre facce ed i nostri vestiti venivano ricoperti di ulteriori strati di colori fino a renderci assolutamente irriconoscibili!

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©Simona Ottolenghi

E’ stata una bellissima esperienza che ripeteremo sicuramente il prossimo anno e che spero possa essere di augurio per un anno pieno di gioia e colori per tutti!

Articolo giornale
Pubblicazione su giornale locale

Holi Festival 2015

Foto: © Simona Ottolenghi
Foto: © Simona Ottolenghi

 

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