La grazia scontrosa di Trieste
Trieste
Questo ci dice Umberto Saba:” Trieste ha una scontrosa/ grazia. Se piace,/ è come un ragazzaccio aspro e vorace,/ con gli occhi azzurri e mani troppo grandi/ per regalare un fiore;/ come un amore/ con gelosia.”
Sono versi che ritroviamo nel libro”Trieste e una donna”, che raccoglie le poesie scritte tra l’anno 1910 e il ’12 e che in particolare include i versi ispiratigli dalla sua città. Di essa egli compone un ritratto intimo, velato di una sorta di gelosia per i luoghi che a lui sono di conforto e che non vorrebbe condividere con nessuno. Quei luoghi stessi, che egli nomina indicandone talvolta la reale toponomastica, sono da lui ricercati come ricetto e rifugio alla sua agitata esistenza, che sappiamo turbata da ricorrenti stati di perniciosa malinconia e di depressione. Nonostante questo male dell’anima le poesie di cui parlo, come del resto gran parte della poesia di Umberto Saba, hanno la singolare trasparenza e la trasognata delicatezza di cui è capace la sua lingua piana e persuasiva, la lingua, appunto, degli affetti e degli intimi moti del cuore.
Una singolare attrattiva dei luoghi può talvolta consistere nella ricerca di rispondenze, per quanto tenui, per quanto affievolite dal tempo e dalle mutazioni subite dai contesti urbani, di rispondenze, dicevo, tra la descrizione fattane da taluno, in specie da uno scrittore o da un pittore, e lo stato attuale. E, in questo caso, il possibile intento sarebbe quello di verificare la residuale esistenza di quelle impressioni, di quell’archeologia del sentimento: impresa ardua, è vero, ma proprio per questo appassionante.
Umberto Saba
Umberto Saba ci dà di Trieste sia la veduta complessiva: quell’azzurra luminosità, quei colori (“circola ad ogni cosa/ un’aria strana, un’aria tormentosa,/ l’aria natia”) sia la veduta particolareggiata: quel mare, quella gente (“Qui prostituta e marinaio, il vecchio/ che bestemmia, la femmina che bega,/ il dragone che siede alla bottega/ del friggitore,/ la tumultuante giovane impazzita/ d’amore…”). La possibile rivisitazione dei luoghi non raffigura dunque una sorta di convenzionale pellegrinaggio turistico, bensì un’appassionata ricerca di atmosfere, quelle che certi posti sanno restituirci semplicemente con il mostrare l’opera del tempo. Del resto non si tratta qui di luoghi celeberrimi come la “siepe dell’infinito”, autenticamente mitizzata, non si tratta di luoghi citati con intento celebrativo ma semplicemente di posti dai nomi familiari e dunque direttamente evocativi di umani affetti.
Restando ai versi di Umberto Saba, si potrebbe dunque ricercare la Via del Lazzaretto Vecchio: “C’è a Trieste una via dove mi specchio/ nei lunghi giorni di chiusa tristezza:/ si chiama Via del Lazzaretto Vecchio./ Tra case come ospizi antiche uguali,/ ha una nota,una sola, d’allegrezza:/ il mare in fondo alle sue laterali./ Odorata di droghe e di catrame/ dai magazzini desolati a fronte,/ fa commercio di reti,di cordame/ per le navi…” E ancora: “ A Trieste ove son tristezze molte,/ e bellezze di cielo e di contrada,/ c’è un’erta che si chiama Via del Monte. Incomincia con una sinagoga,/ e termina ad un chiostro; a mezza strada/ ha una cappella, indi la nera foga della vita scoprire puoi da un prato,/ e il mare con le navi e il promontorio,/ e la folla e le tende del mercato./ Pure, a fianco dell’erta, è un camposanto/ abbandonato…”, “ ma la via della gioia e dell’amore/ è sempre Via Domenico Rossetti./ Questa verde contrada suburbana,/ che perde dì per dì del suo colore,/ che è sempre più città,meno campagna/ serba il fascino ancora dei suoi belli/ anni, delle sue prime ville sperse,/ dei suoi radi filari d’alberelli…” Il poeta ci parla anche della Via della Pietà, “sì lunga e stretta come una barella./ Hanno abbattute le sue vecchie mura,/ e di qualche ippocastano si abbella.”
L’intima cosmologia del poeta si compone di molti posti non nominati ma descritti con vaghezza come altrettanti topoi dell’anima, luoghi che esercitano su di lui quel fascino recondito che percorre le strade del cuore e che è bello e ci commuove senza un motivo preciso, un motivo che noi stessi non vogliamo approfondire al solo scopo di restare nella suggestione dell’intenerita maraviglia. Un ultimo posto voglio citare. Questo è il Molo: “ Per me al mondo non v’ha un più caro e fido/ luogo di questo. Dove mai più solo/ mi sento e in buona compagnia che al molo/ San Carlo, e più mi piace l’onda e il lido?”
Molto si è scritto di Trieste, molti passi vi sono e anche saggi ad opera dei suoi celebri scrittori, molto si può dire di questa città, città giovane e cresciuta con foga. A me piace pensarla come la città del vento, come la città spazzata dal vento. Le strade del vento s’incrociano nel cielo, in un freddo mattino di campane. Sotto un cielo d’ardesia, lentamente marcisce l’autunno nei giardini.
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