La Ferrovia della Morte

Prendete lo “slow train” dalla stazione di Bangkok Thonburi e viaggiate verso ovest nella pittoresca provincia di Kanchanaburi per un appuntamento con la storia. La prima parte del tragitto offre un’altra prospettiva sulla capitale thailandese viaggiando attraverso i sobborghi occidentali prima di raggiungere l’incrocio di Nong Pladuk nella provincia di Ratchaburi. Ed è qui, a circa 50 miglia a ovest di Bangkok, dove la diramazione si dirige a nord-ovest verso Kanchanaburi che inizia la vostra esperienza sulla storica Ferrovia della Morte.

Ferrovia della Morte
Thailandesi a bordo. Foto: © Marco Borghesi

La costruzione della ferrovia Thailandia-Birmania

Durante la seconda guerra mondiale, l’esercito giapponese occupò territori che andavano da Singapore fino alla Birmania. Per rifornire le proprie forze in Birmania e prepararsi ad un attacco alle truppe britanniche in India, l’esercito giapponese voleva stabilire una rotta terrestre che evitasse le rotte marittime alternative dove erano attive le navi alleate. Con la linea ferroviaria già operativa tra Singapore e Bangkok, i giapponesi decisero di costruire un’ulteriore diramazione a ovest della capitale e che sarebbe poi andata a nord verso la Birmania. La ferrovia Thailandia-Birmania fu costruita nel periodo 1942-43 tra Nong Pladuk (Thailandia) e Thanbuyazat (Birmania), coprendo una distanza di circa 420Km.

Si stima che 240.000 uomini siano stati costretti a lavorare sulla ferrovia Thailandia-Birmania. Più di 60.000 prigionieri di guerra alleati (POW) hanno avviato il progetto e nella fretta di completare la linea, altri 180.000 uomini furono arruolati ai lavori forzati. Con cibo e forniture mediche inadeguate e costrette a lavorare per lunghe ore in condizioni selvagge, migliaia di persone morirono di colera, dissenteria, malaria, fame o esaurimento. Il numero esatto di morti non è noto, ma gli storici parlano di almeno 90.000 operai e più di 12.000 prigionieri di guerra uccisi. Le cupe statistiche hanno portato la linea a essere soprannominata la “Ferrovia della morte”.

La ferrovia corre nella foresta sfiorando la fitta vegetazione circostante. Foto: © Marco Borghesi

Il percorso

Dopo la guerra, gran parte della linea fu riparata e ancora oggi è utilizzata per i servizi passeggeri locali tra Bangkok e il capolinea a Nam Tok. Sebbene la ferrovia oltre Nam Tok non sia più in servizio, sezioni come il famigerato Hellfire Pass (Konyu Cutting) sono state recuperate e conservate come parte del Hellfire Pass Memorial Museum. Intraprendere un breve viaggio sulla Ferrovia della Morte è un’esperienza emozionante soprattutto durante l’attraversamento del ponte sul fiume Kwai e dell’incredibile viadotto Wang Po.

La Ferrovia della Morte è in realtà solidamente costruita per quanto antica. Foto: © Marco Borghesi

Il Ponte sul fiume Kwai

Una delle principali attrazioni turistiche di Kanchanaburi ha una storia affascinante. Il ponte è diventato famoso in tutto il mondo quando è apparso nel film di David Lean del 1957, The Bridge on the River Kwai. Sebbene la pellicola fosse vagamente basata su personaggi della vita reale che lavorarono alla Ferrovia della Morte, non è una rappresentazione fedele della storia. La fama del film e il conseguente aumento del turismo nell’area di Kanchanaburi ha creato una situazione difficile per le autorità thailandesi perché non esisteva un fiume chiamato “Kwai”.

Quando i turisti iniziarono ad arrivare a Kanchanaburi, il fiume dove si trova il ponte si chiamava in realtà Mae Khlong. Negli anni ’60, le autorità thailandesi hanno escogitato una soluzione creativa ribattezzando il fiume in “Khwae Yai” (sono due i fiumi affluenti, Khwae Yai e Khwae Noi, che sfociano nel Mae Khlong). Ma a causa dei diversi modi in cui il thailandese viene traslitterato in inglese, “Kwai” è stato utilizzato nelle traduzioni e per molti, questo è il nome e la pronuncia che è rimasta. Durante la guerra furono costruiti due ponti a Kanchanaburi.

Il famoso ponte sul fiume Kwai. Foto: © Marco Borghesi

All’inizio del 1943, completarono la costruzione di un ponte temporaneo in legno, mentre pochi mesi dopo terminarono il ponte in cemento e acciaio. Tuttavia, le bombe alleate danneggiarono il ponte e ripararono il danno installando campate a linee rette, mentre le campate curve sono quelle originali che i giapponesi trasportarono da Java.

Visitando Kanchanaburi, consigliamo di partecipare all’annuale “Festival del ponte sul fiume Kwai” e alla Fiera della Croce Rossa. L’evento si tiene solitamente dalla fine di novembre fino all’inizio di dicembre con uno spettacolo di luci e suoni che illumina suggestivamente il ponte.

Si viaggia su scompartimenti unici. Foto: © Marco Borghesi

Il viadotto Wang Po e Tham Krasae

Un incredibile tratto di binari attende i passeggeri mentre il treno esce dalla città di Kanchanaburi e prosegue verso Tham Krasae. Con il fiume Khwae Noi da un lato, rocce e fitta giungla dall’altro, la ferrovia è sopraelevata su una serie di impressionanti palafitte di legno che formano il viadotto Wang Po. I prigionieri di guerra costruirono originariamente questa mozzafiato sezione del binario, costretti a lavorare in condizioni inimmaginabili utilizzando solo strumenti di base. La maggior parte degli uomini che hanno lavorato su questo tratto sono morti. Oggi, questo è un luogo straordinariamente bello con ampie vedute del fiume e uno sfondo lussureggiante di verdi colline. Ma quando lo si attraversa con il treno o semplicemente si cammina lungo i binari, non si riesce a non pensare agli orrori che hanno avuto luogo qui.

Memoriale in ricordo degli Operai morti durante la costruzione. Foto: © Marco Borghesi

I passeggeri possono scendere dal treno alla stazione di Tham Krasae, ammirare le viste spettacolari o meditare sulla tragica storia della ferrovia. Prima che il treno torni a Tham Krasae per il viaggio di ritorno a Kanchanaburi e Bangkok, c’è tempo per camminare lungo il single track fino alla grotta che un tempo era un rifugio per i prigionieri di guerra che lavoravano su questa sezione della ferrovia. Un’immagine di Buddha all’interno della grotta suggerisce che si tratta di una tranquilla area di contemplazione.

Vita quotidiana lungo la ferrovia. Foto: © Marco Borghesi

Hellfire Pass

La linea passeggeri termina a Nam Tok, ma originariamente la ferrovia continuava fino alla Birmania, attraversando l’Hellfire Pass. Proprio qui consigliamo la visita dell’Hellfire Pass Memorial Museum: apprezzerete di più la storia di quest’area e la dura realtà della vita di chi lavorò alla ferrovia.

Questa è stata una delle sezioni più difficili della pista da posare con prigionieri di guerra e lavoratori asiatici che avevano bisogno di tagliare la solida roccia. Qui la gente lavorava 24 ore su 24 e di notte accendevano lampade a olio e fuochi. Le fiamme, il rumore delle trivellazioni e la vista di uomini malnutriti costretti a lavorare in condizioni spaventose erano una scena infernale. Ecco perché il tratto di ferrovia conosciuto come “Konyu Cutting” è meglio conosciuto come Hellfire Pass.

Ecco perchè si chiama Ferrovia della Morte! Foto: © Marco Borghesi

Dopo la fine della guerra, un determinato gruppo di ex prigionieri di guerra australiani tornò in Thailandia e riscoprì il sito della linea ferroviaria negli anni ’80, bonificandolo dalla giungla. Con il successivo aiuto del governo australiano e la benedizione delle autorità thailandesi, Hellfire Pass è diventato un sito commemorativo per onorare coloro che hanno perso la vita qui. Il Governo Australiano ha costruito e mantenuto L’Hellfire Pass Memorial Museum e il percorso pedonale e li ha aperti nel 1998. Ristrutturato nel 2018, il sito è dedicato ai prigionieri di guerra alleati e ai lavoratori asiatici che hanno sofferto e sono morti a Hellfire Pass durante la seconda guerra mondiale.

Come visitare la Ferrovia della Morte

Una visita a Kanchanaburi e alla Ferrovia della Morte è una popolare gita di un giorno da Bangkok e può essere organizzata anche da Hua Hin. Per viaggiare in modo indipendente è comodo prendere il treno da Bangkok a Kanchanaburi partendo dalla stazione di Bangkok Thonburi. I treni su questo percorso sono classificati dalle Ferrovie dello Stato della Thailandia (SRT) come treni “normali”. Il tempo di percorrenza è di 2,30 hrs, le carrozze di 3a classe sono semplici ma l’esperienza è piacevole. E’ sufficiente presentarsi e acquistare il biglietto in stazione.

Da Kanchanaburi, la fermata è quella vicino al ponte sul fiume Kwai. Il treno attraversa il ponte e poi il viadotto Wang Po prima di dirigersi alla fine della linea a Nam Tok. Se si prende il treno del mattino e si scende alla stazione di Tham Krasae, c’è tutto il tempo (quasi 2 ore) per scattare foto, camminare lungo i binari fino alla grotta e pranzare prima di prendere il treno di ritorno per il centro di Kanchanaburi.

…e il treno va… Foto: © Marco Borghesi

CREDITS:

Muay Thai

La terribile boxe thailandese

Pur ritenendomi una persona pacifica e contraria alla violenza in ogni sua forma, devo dire che ho sempre trovato nobile uno sport duro come la boxe. Questo porta gli atleti a contendersi gli esiti di un incontro con sonori pugni ben assestati sferzati all’avversario.

Da bambino ricordo le estati calde passate davanti alla televisione a vedere le Olimpiadi. Non c’erano condizionatori in casa, mia nonna che dormiva e io perfettamente attrezzato in bermuda e canotta come il miglior Fantozzi cercavo refrigerio rotolandomi sul pavimento di marmo in quei lunghi torridi pomeriggi nella città deserta il cui silenzio era rotto dall’assordante frinire delle cicale. E a quell’ora la televisione (c’era solo la RAI) passava solo la boxe, ore e ore di incontri, pugni e sudore.

I massaggi negli spogliatoi. Foto: © Roberto Gabriele

 

Questa è stata quindi la mia iniziazione alla boxe: fu un pò una forzatura alla quale non potevo sottrarmi… Erano le Olimpiadi di Mosca 1980.

Fin da quella età mi chiedevo perché ci fossero persone disposte a prendere un sacco di pugni per il piacere di darne ad un altro che fondamentalmente non gli aveva fatto nulla di male se non aver scelto di fare lo stesso sport e di trovarsi per un caso del destino ad essere estratti come avversari.

Mi chiedevo insomma se fosse giusto tutto quello, se ne valesse la pena. Mi domandavo quale fosse il valore del denaro e se i soldi fossero una motivazione abbastanza valida per non scegliere un altro sport in cui non ci si facesse così male.

Tra una riflessione e l’altra sono diventato grande e ho iniziato a dare qualche risposta, o almeno qualche giustificazione, a quelle mie domande. Mi dicevo che già esisteva nell’antica Grecia come sport olimpico e che è meglio quello che delinquere in strada e… bla bla bla…

Sta di fatto che nella vita certi cerchi devono chiudersi, senti il bisogno di toccare con mano il fuoco per vedere se brucia, senti il bisogno di avvicinarti al drago per sfidarlo e vedere se è così cattivo.

Muay Thai
Riscaldamento di un pugile. Foto: © Roberto Gabriele

IL VIAGGIO A BANGKOK:

Ho scelto quindi di avvicinarmi a chi fa questo sport e da bravo viaggiatore e fotografo non l’ho fatto alla palestra dietro casa, giusto per capire o per provare, ma sono andato a cercarmi le frange più estreme di questo sport. Sono andato fino in Thailandia dove è lo sport nazionale portato alla sua massima espressione.

Lì si chiama Muay Thai ed è la boxe thailandese tradizionale che non conosce esclusione di colpi: sono ammessi pugni, ginocchiate, gomitate e persino il temutissimo calcio al collo che può essere dato in modo tanto violento quanto coreografico addirittura facendo una piroetta che ne aumenta ancora di più la velocità e la forza di impatto. 

Muay Thai
Il combattimento. Foto: © Roberto Gabriele

Prima di partire mi misi a cercare una palestra in cui andare a fotografare gli allenamenti: volevo capire perchè questo sport fosse tanto sentito a Bangkok.

Volevo capire anche perchè così tante minute ragazzine di 18-20 anni con lo smalto alle mani e ai piedi andassero a vivere mantenendosi estremamente femminili in uno sport tanto duro che pensavo fosse quasi esclusivamente per veri uomini. Pregiudizi che volevo scardinare in me e per i quali ero disposto a rimettere in gioco tutte le mie convinzioni.

 

LE PALESTRE di boxe:

La prima palestra era di fatto una semplice tettoia, e ho capito subito perché ci andavano le ragazze carine. La palestra era gestita da due fratelli ormai in età avanzata che l’avevano aperta per insegnare agli altri la difficile arte del combattimento.

I due fratelli su un tappeto antiscivolo si riempiono di protezioni la testa, le mani le braccia e le gambe e di fatto diventavano due bersagli sui quali far sfogare la rabbia delle giovani ragazzine. Queste li riempirono di sonore raffiche velocissime di calci e pugni che senza le protezioni farebbero comunque male anche agli esperti maestri.

Di fatto un posto dove fare un pò di sport dopo le lezioni all’Università divertendosi a dare botte sapendo comunque di non prenderne. Gli allenamenti di boxe thailandese si svolgevano con il maestro che dava i comandi per farsi colpire dagli allievi e dava il ritmo per farlo, con brevi parole gli diceva se tirare un pugno sul guantone o un calcio che lui sarà pronto a parare per proteggersi.

Da quel posto gli unici campioni che ne sarebbero usciti erano i maestri la sera quando tornavano a casa dopo l’orario di lavoro.

Muay Thai
Si preparano i guantoni per l’allenamento. Foto: © Roberto Gabriele

Non ne rimasi deluso, ma al contrario fui soddisfatto di quella visione del mondo che non conoscevo. Di certo era una palestra in cui fare sport anche impegnativo, ma quello era un posto alla moda, non una fucina di atleti come quella che volevo io. 

Capii però il perché questo sport sia tanto diffuso in Thailandia: perché in quel modo lo può fare davvero chiunque, è questo il motivo del suo successo.

Eppure mentre ero lì c’era una sensazione che non riuscivo a spiegarmi. Mi mancava qualcosa ma non capivo cosa fosse, me ne sono reso conto solo dopo essere rientrato in Italia riguardando le fotografie con una certa attenzione…Era una sensazione che lì sul momento non riuscivo a spiegarmi, qualcosa mi sfuggiva…

Ecco cosa era: mancava il ring!!! Mica una cosa secondaria: non ce ne era traccia, e quella fu la prova: era un posto per divertirsi e non un posto in cui combattere. La boxe è uno sport nobile, non dimentichiamocelo.

Il giorno dopo andai a cercare emozioni nuove in un’altra palestra di boxe thailandese. Anche qui persone di entrambi i sessi e con una età più allargata: c’era anche gente decisamente più grande di età. Qui finalmente c’era un vero ring!!!

Muay Thai
Allenamento in palestra. Foto: © Roberto Gabriele

IL RING:

 

Un grande spazio in cemento armato, decisamente più spartano nel quale finalmente sentivo l’odore acido delle persone che si mescolava con quello della pelle dei guantoni creando quel mix olfattivo deciso, forte, sofferto.

Anche qui mi avvicinai ad una ragazza molto carina, tonica, scattante, con dei guantoni più grandi di lei e le chiesi chi le avesse fatto quell’enorme livido grande come tutta la coscia destra.

Lei si girò verso un’altra ragazza e con un sorriso vero e sincero mi disse: “E’ stata la mia amica: è stata bravissima, molto più veloce di me, mi ha dato un calcio che non sono riuscita ad evitare. Ma la prossima volta sarò più veloce io”.

Non c’era vendetta né risentimento nelle sue parole. Ho visto il sorriso di chi sa di essersi difeso con onore dagli attacchi di un avversario più forte.

Gli allenamenti qui erano veramente seri: ci si allenava a colpire un sacco pieno di sabbia senza spaccarsi una mano, si facevano migliaia di salti con la corda ad un ritmo fittissimo. Qui si sollevavano manubri e bilancieri e non si colpiva il maestro per gioco o per sfogarsi.

Qui impari non solo a colpire ma anche a difenderti perché nella vita servono entrambe le cose.

Il mio viaggio qui iniziava a prendere un senso… Qui vedevo ciò che avrei voluto vedere. Quanto coraggio, mi chiedevo, quanto coraggio ci vuole a passare dall’allenamento al ring? Quanta forza e concentrazione ci vuole a liberarsi della sicurezza mentale che quelle piccole protezioni per le braccia e la testa danno a chi si allena?

 

L’INCONTRO:

E finalmente dopo le due palestre all’incontro ci sono andato davvero. Munito di un permesso speciale per entrare e uscire liberamente dagli spogliatoi. Avrei potuto assistere al sacro rituale preparatorio degli atleti prima di andare a combattere.

E nel fetido spogliatoio del palazzetto dello sport, tutto il mio viaggio ha trovato il senso che cercavo. Ho provato le emozioni più forti proprio in quel silenzio che precede l’incontro. Ragazzini, giovanissimi, muscolosi e definiti, agili e scattanti come molle, fisici asciutti ed esili, 15-20 anni…

Distesi su dei tavolacci lerci ci sono gli atleti completamente glabri che vengono unti e massaggiati dai loro preparatori prima del match. La cosa che mi ha colpito subito era il fatto che lo spogliatoio era lo stesso contemporaneamente per tutti gli atleti.
Non c’erano delle stanzette, ma un unico stanzone scarsamente illuminato dalla luce incerta di un neon schifoso coperto di ragnatele. Erano lì tutti insieme: pugili e allenatori… I secondi, il medico, gli amici dei ragazzi e tutto si svolgeva in un apparente clima di amicizia prima di darsele di santa ragione.

Il combattimento sul ring. Foto: © Roberto Gabriele



Mi piaceva studiare i loro sguardi persi nel vuoto, vedere nei loro occhi la concentrazione che precede i grandi momenti. Gli allenatori con una serie di gesti ripetuti e abituali, dosati e precisi andavano a preparare le mani dei loro campioni. Le riempivano di garze, cerotti e infilavano loro i guantoni che avrebbero dato l’ultimo dettaglio alla vestizione.

Negli spogliatoi la tensione era fortissima, si sentiva tutta l’emozione di quegli ultimi istanti che precedono la gara. Gli atleti sapevano di stare bene ma anche che da lì a poco, comunque vadano le cose, la lotta sarebbe stata durissima.

Qualcuno restava disteso sul tavolaccio a mandare un whatsapp all’esterno. Altri li vedevo tirare pugni e calci in aria in una specie di disimpegno prima del corridoio che porta sul ring. Nessuno sembrava accorgersi di me e della mia fotocamera. Tutti erano, giustamente, impegnati in ben altro tipo di ragionamenti tanto che io passavo del tutto inosservato.

Nell’aria adesso non c’era odore di sudore nè si sentiva quello dello scantinato in cui ci trovavamo. L’aria era invece piena di odore di olio canforato: un odore fresco e piacevole, stridente e inaspettato in quel luogo malsano in cui mi trovavo a vivere un’emozione fortissima condividendola con degli sconosciuti.

Ed ecco il grande momento: i combattenti vengono chiamati sul ring. Camminando all’indietro precedevo i contendenti vestiti con il loro tipico mantellino per fotografarli mentre si dirigevano verso il quadrato in cui il pubblico li aspettava. Ero emozionato più di loro: aspettavo quel momento da 40 anni. Stavo per chiudere il mio cerchio emozionale chiudendo la boxe tra le esperienze che ho vissuto da vicino seppur non in prima persona.

GONG!!!! L’incontro abbia inizio: vinca il migliore.

Foto e parole di Roberto Gabriele

Muay Thai
Rituali di preparazione all’incontro. Foto: © Roberto Gabriele

Thailandia – con Karen Pozzi

Ciao a tutti. Mi chiamo Karen Pozzi e sono responsabile contenuti di leichic.it (www.leichic.it), magazine online di moda femminile e Karen P. by leichic (http://karenp.leichic.it), un blog nel quale racconto le mie passioni: moda, sport e viaggi. Oggi sono qui per raccontarvi il mio tour di quest’estate. Avevo 20 giorni a disposizione, qualche risparmio e tanta voglia di visitare l’oriente. Ho deciso di andare in Thailandia, Indonesia e Singapore.

E’ stato un viaggio faticoso, ma davvero molto emozionante grazie a quei posti paradisiaci che mi hanno fatto sognare. In questo articolo vi parlerò della Thailandia, poi, se avrete voglia di seguire il resto del mio tour dovrete attendere qualche giorno.

Sono atterrata a Bangkok il 27 luglio e il mio tour ha toccato questa splendidà città, l’isola di Phi Phi Island e Krabi. La Thailandia è un posto magnifico. La città di Bangkok è increbibile, nonostante il caos, l’inquinamento, lo sporco e molto altro di negativo, mi ha trasmesso moltissime sensazioni positive. Era la prima volta che andavo in oriente e il primo approccio con una città come questa che ingloba i sapori e dissapori di questa parte di mondo mi ha regalato tanto.

 

Tutto è iniziato da un giro nel centro, nell’affollatissima Kaho San Road, per poi proseguire sul fiume, al flotting market, sugli elefanti, al palazzo reale, al big Buddha e infine nel mega centro commerciale per un pò di shopping. Dopo tre giorni a Bangkok abbiamo preso un pullman per Krabi, dove avremmo preso la barca per Phi Phi Island. Un viaggio infinito, dodici ore su un pullman vecchissimo che per fortuna ci ha portati a destinazione.

Ci siaqmo imbarcati e ci siamo ritrovati in paradiso, in un’isola da sogno: niente macchine, moto e altri mezzi a motore, solo bici, stradine e tantissimi negozietti dove poter assaporare il buonissimo cibo locale a pochissimo prezzo. Siamo stati nella spiaggia di Loh Dalum, Long Beach e nelle isole vicine dove abbiamo potuto assistere ad uno spettacolo della natura: MAya Bay, la spiaggia dov’è stato girato il film The Beach di Leonardo Di Caprio.

 

Il nostro viaggio è proseguito in Indonesia, ve ne parlerò nel prossimo articolo.

 

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