Selma e i Diritti Civili

60 ANNI DOPO LA STORICA MARCIA

A Selma, in Alabama, “60 anni dopo la storica marcia”. Il 7 marzo 1965, ricordato come il Bloody Sunday, è l’inizio del cambiamento della storia dei diritti civili degli afroamericani.

Foto @Simona Ottolenghi

Sono sempre stata dell’idea che l’imprevisto all’interno di un viaggio possa essere il valore aggiunto al viaggio stesso. E quando capita di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, questa tesi viene non solo confermata, ma arricchita di un significato profondo. Così è stato nei giorni intensissimi che vissuto ho durante un viaggio intimo in solitaria tra le strade del profondo sud americano.

Foto ©Simona Ottolenghi

Dopo il viaggio in Louisiana con il gruppo in occasione del Mardi Gras ho deciso di rimanere una settimana da sola. Dopo tanti viaggi nel Mississippi alle origini del blues era per me importante andare “oltre”, vedere quei posti in cui le lotte ai diritti civili hanno avuto inizio. Avevo da tempo desiderio di ripercorrere i luoghi chiave che hanno cambiato la storia e la vita degli afroamericani. Sapevo che c’era ancora molto da scoprire, storie da ascoltare e luoghi da vedere che andavano oltre il viaggio stesso.

Foto ©Simona Ottolenghi

In poche ore di macchina da New Orleans ho raggiunto Montgomery, in Alabama, dove si trova il Legacy Museum. Un museo importante che racconta, in modo immersivo e interattivo, la storia degli afroamericani fin dalle sue tristi origini, dai rapimenti di circa 12 milioni di africani dalle loro terre natie, alla schiavitù nelle piantagioni dei padroni bianchi, ai dolori e le lotte di un popolo senza diritti.

Foto ©Simona Ottolenghi

Un felice coincidenza

Tra i vari pannelli del Museo sono stata colpita da una data storica che ha segnato l’inizio del movimento dei diritti civili: il 7 marzo 1965.

Questa giornata è tristemente nota come il “Bloody Sunday“. In quel giorno, circa 600 manifestanti pacifici, guidati da attivisti per i diritti civili tentarono di attraversare l’Edmund Pettus Bridge di Selma per marciare verso Montgomery e protestare contro la negazione del diritto di voto agli afroamericani. La loro marcia fu brutalmente interrotta dalla violenza della polizia.

Foto ©Simona Ottolenghi

Le immagini di quella giornata hanno fatto il giro del mondo. Seguirono, sempre nel marzo dello stesso anno, altre 2 marce che partivano come la prima da Selma per arrivare a Montogomery, a cui partecipò anche Martin Luther King.
Il 6 agosto del 1965 l’allora presidente Lyndon Johnson promulgò il Voting Rights Act, la legge che finalmente garantiva il diritto di voto ai neri, eliminando le discriminazioni e gli ostacoli che lo impedivano.

@Foto Simona Ottolenghi

Perché racconto tutto questo? Perché ero in quel posto il 7 Marzo 2025, esattamente 60 anni dopo quella prima e storica marcia! Ho cercato il programma di quei giorni, sicura di trovare qualche evento per quell’importante anniversario. Così mi sono trovata a partecipare alla parata del Selma Bridge Crossing Jubilee. Un’intera mattinata in ricordo di quella giornata che profondamente cambiato la storia Americana, e soprattutto Afroamericana.

Foto ©Simona Ottolenghi

L’orgoglio di chi non si arrende

Immancabili stand con magliette e altri gadget dell’evento, banchetti di street food dove non potevo perdere le mitiche “bbq chicken wings”! Ero credo l’unica straniera e tra i pochi bianchi a partecipare all’evento.
L’aria era carica di emozione.

@Foto Simona Ottolenghi

Si percepiva forte l’orgoglio e l’unità di tutte quelle persone. Marciando e cantando, mostravano che ancora oggi, dopo tanti anni, continuano a lottare per i pari diritti. Diritti che, troppo spesso, rimangono solo sulla carta.
Essere lì era un modo per osservare da vicino, per vedere e documentare come la memoria continua a vivere. Cercando di catturarne dettagli ed emozioni.

Foto ©Simona Ottolenghi

È stata un’esperienza importante, forte, inclusiva, che mi ha fatto ancor più riflettere su quanto sia importante conoscere la storia.  Immergersi nel passato ci aiuta a capire il presente, e cercare in qualche modo, nel nostro piccolo, a migliorarlo.
Questi viaggi, in fondo, sono anche un modo per imparare, per crescere e per capire meglio il mondo che ci circonda. Perché la storia, in fondo, ci riguarda tutti. Nessuno escluso.

Dopo questa parentesi in Alabama, sono rientrata in Mississippi, dove mi sono dedicata a un’altra importante storia strettamente legata ai diritti civili, che racconterò a breve nel prossimo articolo.

Gli Angeli di Comiso

Gli Angeli di Comiso

Ogni anno tra i ragazzi in età adolescenziale non ancora sviluppati che frequentano la Basilica di San Annunziata a Comiso, due verranno scelti per la loro voce per il ruolo di Angeli e saranno posti sui fercoli dei simulacri e portati in processione per tutto il giorno di Pasqua fino a notte fonda.

Foto: © Rosario Lo Presti

A Comiso, paese siciliano ai piedi dei Monti Iblei, ogni anno si ripete una celebrazione antica ma poco conosciuta, documentata dal 1635 ma di certo anteriore, denominata Pasqua Comisana che si svolge all’interno della Basilica di San Annunziata.

La tavola pasquale. Foto: © Rosario Lo Presti

Il Rito e la festa:

La mattina la vestizione degli Angeli inizia nelle rispettive abitazioni alle cinque del mattino e per circa tre ore il vestito è cucito addosso ai due bambini prescelti.

Generosità siciliana. Foto: © Rosario Lo Presti

Ritornare a Comiso dopo tanti anni ha avuto un sapore particolare.

Lì è nato mio padre, morto quando ero ancora un ragazzo, lì mio nonno Raffaele emigrato a Paterson in America al suo rientro ha aperto il primo laboratorio fotografico del paese.

Uno degli Angeli prescelti. Foto: © Rosario Lo Presti

Una catalogazione degli Angeli, degli oggetti, cogliere con ironia il sentimento della provincia siciliana, dare Memoria agli Angeli e ai miei cari di cui ho raccolto molte foto è il senso del lavoro che dovrebbe andare al di là della festa religiosa.

Foto: © Rosario Lo Presti

La Pasqua a Comiso:

L’evento comincia ufficialmente all’alba del giorno di Pasqua, con la vestizione degli angioletti, e prosegue con la messa presso la chiesa principale di Comiso. Continua con la processione verso le chiese della città e si conclude all’esterno della Basilica Maria SS. Annunziata, dove si fa ritorno al termine della giornata.

Foto: © Rosario Lo Presti

L’organizzazione della Pasqua comisana richiede lunghi preparativi, e una tappa fondamentale riguarda la scelta di due bambini in età prepuberale che durante l’evento impersonano gli angioletti che arrivano sulla terra per difenderla dal male. I due fanciulli, nel corso della celebrazione dovranno stare sopra i due simulacri sostenuti da dei portantini, e intonare il ‘’Regina Coeli’’.

Foto: © Rosario Lo Presti

Il libro e le radici:

Il perché di questo libro trova posto dentro di me.

Comiso, cittadina natale di mio padre e mio nonno, custodisce nella sua terra le mie origini.

Foto: © Rosario Lo Presti

Dopo aver perso mio padre da piccolo e non avendolo potuto avere al mio fianco durante la crescita e i cambiamenti della mia vita, avevo bisogno di fermare la mia eredità sulla carta, con immagini ed emozioni direttamente collegate a loro: un padre di cui ho sentito la mancanza e un nonno fotografo, il fotografo di Comiso.

Foto: © Rosario Lo Presti

Il suo amore per la fotografia è passato a me, forse per casualità, ma più probabilmente per genetica.

A mio padre, a mia madre

Ciò che viene ricordato vive

Foto: © Rosario Lo Presti

CINA

CINA

cina

La consapevolezza dell’esistenza di una sovrastruttura di principi morali universali, un ne­mine ledere elevato a principio etico e morale valido per tutti gli uomini, e che trascende e pervade le singole culture, ha condizionato tutti i miei viaggi e quello in Cina in particolare.

cina

Ho quindi diretto la mia ricerca fo­tografica verso la scoperta di quel mondo fantastico, ancora genuino e autentico, intriso di magia e di religione, che rischia di dissolversi sotto la spinta dei grandi processi di secolariz­zazione e globalizzazione e, per le minoranze cinesi, per la pressione esercitata da quello di sinizzazione.

cina

Ho sempre considerato la fotografia lo strumento con il quale veicolare, con la diffusione e la condivisione delle immagini, l’esistenza di mondi, culture, civiltà e prospettive di vita alternative alle nostre.

cina

La Fotografia

E la fotografia può diventare un attore determinante in grado di disinnescare i potenziali conflitti connaturati nei pregiudizi e nei diversi modi in cui la cultura etnocentrica è declinata. In questa serie di foto sulla Cina non ci sono le città famose della Cina, ma quella poco conosciuta, con un patrimonio culturale ultramillenario, dove i modi di produrre e di vivere restano legati al passato e le regole delle tradizioni dettano ancora il tempo e scandiscono il ritmo della vita quotidiana.

riso

Troverete le terrazze di riso di Longji Titian nel Guanxi e quelle colorate dello Yunnan. Le terrazze di riso sono una testimonianza del lavoro e delle opere realizzate dall’ingegno umano. L’uomo è riuscito a rendere coltivabile un territorio caratterizzato da ripide pendenze e a modellare le montagne con opere di ingegneria rurale.

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I pescatori con i cormorani e due foto del mondo contadino dello Yunnan, in cui l’agricoltura è praticata ancora con l’ausilio degli animali da tiro.

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Questa serie di foto è tratta da due libri fotografici sulla Cina: “Diario di un viaggio. Dalla Cina rurale a Shanghai” e l’atro “Cina: dallo Yunnan rurale ai parchi del Gansu”, di prossima uscita, con i quali, per l’appunto, intendo, nel mio piccolo, contribuire alla diffusione della cultura e delle civiltà lontane attraverso la fotografia.

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Questo racconto di Tommaso Stilla ha partecipato al  Travel Tales Award 2024

Mississippi

BLUES IN THE NIGHT – MISSISSIPPI

america

Il reportage fotografico dal titolo ‘ Blues in the night’ è stato scattato nel 2023 in occasione del mio primo viaggio nel Mississippi.

La sequenza delle foto si propone di catturare le atmosfere del festival del blues che si svolge nel Delta del Mississippi, ispirandosi al fascino del silenzio notturno interrotto solo dalla musica avvolgente.

mississippi

Per me vedere i luoghi della segregazione razziale nel Delta del Mississippi è stato come ricevere un cazzotto in faccia. La dura realtà di quelle storie di ingiustizia e discriminazione ha lasciato una impronta indelebile nella mia mente.

mississippi

Ma allo stesso tempo, scoprire il blues è stato come ricevere una folgorante flashiata in faccia

Le note struggenti di quella musica autentica hanno risuonato dentro di me, scuotendo le mie emozioni e aprendo una finestra su un mondo nuovo fatto di dolore e di speranze.

mississippi

Ho provato, come le note di ‘Blues in the night’, a trasmettere la passione per il blues e la gioia di vivere ma anche una malinconia per un mondo che non c’è più.

Il Delta del Mississippi

Attraverso le tappe del viaggio nel delta del Mississippi, da Memphis a Clarksdale ad Helena, fino all’arrivo a Jackson tutto riporta alle radici profonde della musica blues e la sua connessione con la storia e la cultura del luogo.

Mississippi

Il Delta del Mississippi, nonostante la sua bellezza intrinseca, è oggi uno delle zone più povere dell’America, una realtà che aggiunge un ulteriore strato di significato e complessità alle immagini notturne.

Nell’ultima fotografia scattata a Jackson, se chiudiamo gli occhi possiamo rivivere il coraggio dei manifestanti per i diritti civili del 1961, che sfidarono la segregazione negli autobus Grayhound, mescolando ricordi e musica nello scenario notturno.

‘Blues in the night’ rappresenta un inno visivo al potere unificante della musica, alla bellezza di un luogo che non si vuole arrendere e che continua a cantare la propria anime blues sotto il cielo scuro del Mississippi.

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Questo racconto di Rosario Lo Presti è il vincitore del Travel Tales Award 2024

Pasqua in Sicilia

LA PASQUA SICILIANA

“A Pasqua ogni siciliano si sente non solo spettatore, ma attore, prima dolente, poi esultante, d’un mistero che è la sua stessa esistenza”
Così diceva lo scrittore Gesualdo Bufalino.

Foto: © Roberto Manfredi

La partecipazione popolare ai riti della settimana santa, in Sicilia, è diffusa in tutte le fasce della popolazione, a volte trascendendo la fede religiosa; ma quello che più colpisce è la varietà dei riti.

Il Giovedì Santo a Ispica si celebra uno dei riti più intensi della Settimana Santa in Sicilia. I protagonisti sono i cavari, come vengono chiamati i membri della confraternita di Santa Maria Maggiore.

Foto: © Roberto Manfredi

Nel tardo pomeriggio, i confratelli escono dalla Basilica di Santa Maria Maggiore, riconoscibile per la sua scalinata barocca. Portano in processione un fercolo ligneo con il gruppo statuario del Cristo flagellato alla colonna, esempio di arte sacra devozionale.

Foto: © Roberto Manfredi

Le sedici confraternite di Enna, la più antica delle quali fu fondata nel 1416, sono le protagoniste assolute di un Venerdì Santo dai toni drammatici, dove migliaia di figuranti incappucciati sfilano in un corteo tanto spettacolare quanto inquietante fino a notte fonda. Solo i membri delle due confraternite che trasportano rispettivamente il fercolo di Maria Addolorata e quello del Cristo morto, sfilano con il cappuccio abbassato.

Foto: © Roberto Manfredi

Il giorno di Pasqua:

Il tripudio è il giorno di Pasqua, a Scicli, segnato dall’incontenibile energia dionisiaca della festa dell’Uomo Vivo, affettuosamente chiamato il Gioia. Un pesante fercolo, che regge la statua del Cristo risorto con i raggi del sole nascente, viene issata sulle spalle da diverse decine di portatori di gioia, come si chiamano i membri dell’associazione che se ne fa carico.

Foto: © Roberto Manfredi

Per un’ora, all’interno della chiesa di Santa Maria la Nova, il fercolo viene fatto roteare, inclinato, sbilanciato,  per poi uscire sul sagrato dove viene fatto volteggiare vorticosamente in mezzo alla folla.

Foto: © Roberto Manfredi

Quindi l’Uomo Vivo viene portato in processione per le strade della cittadina, sempre in un turbinio di corse, fermate, rotazioni, tra una folla plaudente che accompagna il rito gridando “Gio Gio Gioia” sulle note della canzone di Vinicio Capossela, “L’Uomo Vivo (Inno al Gioia)” che ormai è diventata una parte integrante della festa:

Barcolla, traballa sul dorso della folla

Si butta, si leva, al cielo si solleva

Foto: © Roberto Manfredi

Nepal

NEPAL

nepal

Il Nepal, piccolo stato dell’Asia meridionale situato tra Cina e India, non ha sbocco sul mare ed ha un territorio prevalentemente montuoso.

nepal

Ciò che colpisce il viaggiatore sono gli innumerevoli siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità, tra cui spiccano i templi e la valle di Kathmandu, Bhaktapur, lo Stoupa di Boudhanat, Lumbin e Patan: nonostante i danni ancora ben visibili causati dal terremoto del 2015, sono luoghi incantevoli che vale la pena visitare per l’atmosfera mistica ed altamente spirituale che li pervade.

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La popolazione nepalese vanta una varietà di circa 100 gruppi etnici, con oltre 92 lingue parlate. La suddivisione in caste, anche se ufficialmente abolita, gioca ancora oggi un ruolo preponderante nella società.

nepal

La  mortalità giovanile è molto alta ed il tasso di alfabetizzazione è basso: solo una donna nepalese su dieci è ad esempio capace di leggere e di scrivere.

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Tra i paesi più poveri al mondo, basa la sua economia prevalentemente su allevamento e agricoltura, che possono però garantire una mera sussistenza a causa della limitata estensione di terre coltivabili e delle difficili condizioni morfologico-climatiche.

Ancora oggi, la sopravvivenza della popolazione dipende in larga parte dagli aiuti degli organismi internazionali.

Nonostante la quotidiana, conseguente precarietà della maggior parte dei suoi abitanti, il Nepal sembra essere uno dei paesi più felici al mondo: i volti sorridenti dei nepalesi, così come la loro gentilezza e calorosa ospitalità, ne sono una dimostrazione lampante.

nepal

Questo racconto di  Stefano Bianchi ha partecipato al  Travel Tales Award 2024

MAKHA BUCHA DAY

Bangkok

MAKHA BUCHA DAY – BANGKOK

Il tempio Wat Phra Dhammachaya, situato nella periferia nord di Bangkok, colpisce subito per la sua grande cupola dorata che rappresenta un sole nascente ma assomiglia più a un moderno disco volante.

Il Makha Bucha è una delle più importanti feste buddiste e celebra l’evento in cui il Buddha, quando illuminato, inizia a predicare e pronunciare le sue leggi. Qui queste celebrazioni sono di grande fascino e scenografiche in modo spettacolare. Il tempio rappresenta il volto moderno del buddismo thailandese, è seguito da milioni di fedeli ma anche molto contestato a causa delle ingenti donazioni che riceve.

Bangkok

Si compone di 150 edifici moderni, può ospitare 10.000 monaci e l’area all’aperto sottostante può radunare 600.000 fedeli rigorosamente vestiti di bianco per contribuire alla scenografia e all’allestimento delle funzioni religiose.

David Marciano

Durante i festeggiamenti i monaci siedono ordinatamente con accanto una boule di vetro con una candela accesa, l’ordine maniacale delle file, i luoghi rigorosamente segnati per i fedeli compongono una coreografia spettacolare più simile a una parata militare che a una festa religiosa.

David Marciano

La setta Dhammakaya incarna perfettamente la società di oggi, i moderni metodi di marketing sono utilizzati per la promozione e i fedeli pregano per il successo della carriera e per la prosperità della loro famiglia.

Bangkok

Ho scattato queste fotografie durante il mio ultimo viaggio in Thailandia tra febbraio e marzo 2024, soggiornando tre giorni all’interno della struttura monastica.

Bangkok

Avevo già visitato questo istituto in precedenza e ho chiesto l’accredito per poter seguire la cerimonia e scattare fotografie.

David Marciano

Questo racconto di David Marciano ha partecipato al  Travel Tales Award 2024

Il sole di mezzanotte

Puoi prepararti mentalmente al Grande Nord, puoi aspettarti qualcosa, puoi partire preparato, ma finchè non arrivi di persona alle Isole Svalbard non potrai mai capire cosa sia in grado di fare la natura a queste latitudini. Quello che succede è talmente diverso da ciò a cui siamo abituati in Italia, che ti lascerà destabilizzato…

Longyearbyen:

Longyearbyen è il capoluogo (nonchè l’unica città) delle Svalbard ed è la località abitata più a nord del mondo, ci troviamo a 1307 km dal Polo Nord! Sembrano tanti ma in realtà se pensi che fra te e il Polo non c’è nessun altro la cosa è abbastanza sconvolgente; solo ghiaccio, orsi bianchi e poco altro, e nessuno può avventurarsi oltre quel limite senza una guida, senza uno scopo preciso visto che non ci sono strade nè piste, solo natura selvaggia…

A partire dal clima che vista la latitudine è da record tutto l’anno: In estate si va dai 3 ai 7 °C con pochissima escursione termica perchè il sole non tramonta mai; durante l’inverno invece le temperature massime sono di circa 11 gradi sotto lo zero, per arrivare alla minima temperatura mai registrata di -46,3°C registrata a marzo 1986.

Nei miei viaggi quello che mi piace osservare è il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive, mi piace scoprire la straordinaria capacità di adattamento alle condizioni più estreme che vanno dai deserti aridi e assolati alle terre più fredde e inospitali come da queste parti. 

Longyearbyen non la si può definire una vera città, innanzitutto perchè ha abitanti nativi del luogo: ti basti pensare che qui non c’è un ospedale ma solo un piccolo pronto soccorso traumatologico, qui il medico di guardia ha il potere di farti salire sul primo aereo  a spese del servizio sanitario nazionale e di farti andare a curare ad Oslo (che è la città più vicina e si trova a 3 ore e mezza di volo).

Vivere qui è veramente difficile, ci sono in tutto due supermercati e un paio di ristoranti, 4-5 alberghi di lusso e il resto della ricettività è in case private, c’è persino un museo nazionale e uno privato sulla storia delle esplorazioni artiche aperto da un Italiano che è arrivato lì 20 anni fa e non è più tornato.

Vivere alle Svalbard:

Qui ci vivono solo scienziati, ricercatori, persone che si fermano per qualche tempo a studiare i vari fenomeni climatici, geologici e biologici che esistono solo in questo angolo sperduto del nostro mondo. Ad esempio la cosa più importante che esiste qui e che non è visitabile per nessun motivo è lo Svalbard Global Seed Vault ossia il “Deposito globale di sementi delle Svalbard” che è di fatto un caveau blindato sotterraneo nel quale si trovano archiviati tutti (o quasi) i semi delle specie vegetali esistenti al mondo, una sorta di banca dati del DNA botanica.

Il villaggio ha da pochi anni un aeroporto internazionale e fino ad una decina di anni fa, gli aerei volavano a vista senza strumentazione su una pista di terra battuta (innevata in inverno) adibita allo scopo. Il porto riceve merci e passeggeri delle navi da crociera che si spingono fino a qui e solo durante la breve estate. Una chiesetta in legno chiude i servizi necessari alla vita locale dei 2144 abitanti calcolati nell’estate 2015.

Le strade anche in centro sono tutte sterrate, l’unico pezzo asfaltato è la pista dell’aeroporto, ci si accorge subito che tutte le case sono costruite su palafitte e che le tubature sono esterne e sopraelevate, questa è una necessità a causa del permafrost: quel fenomeno tipico delle terre artiche emerse che fa rimanere il terreno perennemente ghiacciato anche in estate.

Le tubature non possono essere interrate perché a causa delle temperature congelerebbero immediatamente diventando inservibili, le case invece vengono costruite su palafitte perchè in questo modo non sono a contatto con il terreno sempre freddo e perchè a lungo andare  la parte ghiacciata della terra a causa delle differenze di temperatura potrebbe avere degli spostamenti anche di alcuni centimetri che andrebbero a causare cedimenti strutturali sugli edifici.

Longyearbyen è stata etichettata come La cittadina dove è vietato morire perchè a causa delle temperature estremamente rigide per tutto l’anno, esiste un divieto di sepoltura all’interno del piccolo villaggio di Longyearbyen. Infatti la decomposizione dei cadaveri, viene impedita dalle condizioni climatiche che con le temperature rigide rallentano la normale distruzione dei microrganismi. La norma è stata decisa in seguito ad una epidemia avvenuta tra il 1917 e il 1920 e del ritrovamento di virus “ancora attivi” nei tessuti prelevati da corpi riesumati a distanza di anni.

 

Escursioni:

Le Svalbard si trovano oltre il 78° parallelo nord e qui non ci si viene per visitare la città, ma per rimanere estasiati dalla natura incontaminata, che potranno visitare i più arditi che si faranno scortare da una guida con fucile per difendersi dagli orsi bianchi che sono carnivori e molto spesso attaccano l’uomo per cibarsene.

Gli uomini vanno in giro armati anche in città per difendersi da eventuali aggressioni, ho visto persino una giovane mamma con passeggino andare in giro con il fucile in spalla.

La caccia all’orso ovviamente è vietata, ma in caso di necessità è ammesso ucciderli per difendersi in caso di attacco. Le statistiche dicono che ogni anno, tra i vari attacchi mediamente muoiono un uomo e un orso…

Svalbard

Tra le escursioni possibili in giornata c’è da fare la vecchia Miniera raggiungibile a piedi con circa tre ore di trekking a piedi da fare sempre con la guida armata per motivi di sicurezza. Il camminare in spazi così vasti senza protezione mi ha fatto sentire un pò come una polpetta per orsi pronta all’uso!

La nostra guida era molto attenta perchè sono mammiferi velocissimi anche a correre ed è necessario essere davvero prudenti, non è sufficiente scappare, nè si può uccidere un orso solo per prudenza per impedirgli di attaccare. Durante la passeggiata si possono vedere anche i radiotelescopi che trasmettono i loro segnali nell’universo…

La vecchia miniera di carbone di Pyramiden:

Ma il posto più incredibile da raggiungere e visitare accuratamente è di sicuro la vecchia miniera di carbone di Pyramiden, costruita dai Russi e improvvisamente abbandonata nel 1996 quando in un incidente aereo durante l’atterraggio morirono 130 operai dei circa 1000 che lavoravano in questo sito. A causa del lutto, dell’esaurimento della produzione e dei cambiamenti politici, decisero di chiudere immediatamente. Licenziarono i dipendenti e imposero loro di partire entro quattro mesi.

Pyramiden da sola vale il viaggio, è raggiungibile da Longyearbyen in motoslitta durante l’inverno quando il mare gela e si crea uno strato di ghiaccio in grado si sostenere un camion oppure si raggiunge in nave durante l’estate.

Pyramiden non è solo un’enorme miniera, ormai è una ghost town abbandonata in cui è un piacere addentrarsi a curiosare e fotografare i vecchi edifici abbandonati di fretta dagli operai russi. Qui c’è una piscina di acqua di mare riscaldata (ormai vuota), un campo di calcetto coperto e il cinema nel quale ancora si trovano aggrovigliate le vecchie pellicole di celluloide in bianco e nero di qualche cineasta sovietico.

Nei pressi del porto mercantile ci sono i magazzini all’epoca c’era persino un ospedale attrezzato con sala operatoria! Gli operai di Pyramiden vivevano in tre edifici separati: uno per gli uomini, uno per le donne e uno per le famiglie. Queste strutture sono ancora visibili, ma non tutte accessibili. Oggi, hanno riadattato una di queste strutture in un spartano albergo, offrendo un’esperienza unica agli avventurieri che cercano un’accoglienza essenziale in questo angolo remoto del mondo

Le austere scritte in cirillico ancora rimaste, ci ricordano inequivocabilmente il passato recente di questi luoghi che ancor oggi vivono di un silenzio eterno rotto solo dalle strida di migliaia di gabbiani che in estate trovano sempre pesce abbondante di cui sfamarsi. Qui non ci sono motori, non ci sono più i camion della miniera, nè i rumorosi nastri trasportatori che caricavano la materia prima a bordo delle navi, arriva solo una nave che scarica i turisti per qualche ora….

Camminando a Pyramiden, puoi vivere un’esperienza mistica, contemplando il tempo che si è fermato. Esplora gli edifici abbandonati di Pyramiden e sentiti un filosofo che riflette sul tempo che si è fermato. Questi edifici, intatti come il giorno in cui furono lasciati, ti offriranno un’esperienza unica.

A Pyramiden, non troverai bar né terrazze. Per un caffè o un aperitivo, dovrai tornare al villaggio più vicino, distante 40 chilometri.

 

Agosto: quando il sole di mezzanotte lascia spazio al buio

Il fenomeno più conosciuto che si verifica da queste parti è quello del sole di mezzanotte e di conseguenza quello delle lunghe notti invernali. La cosa che invece è meno nota è il fatto che il buio e il sole non durano come molti pensano 6 mesi ciascuno, in natura le cose non sono mai così nette e i passaggi sono graduali.

Ma la cosa che più sconvolge è la rapidità di questa gradualità che fa aumentare o diminuire la durata del giorno e della notte di ben due ore ogni settimana e che in soli due mesi si perdono 24 ore di luce!

Non puoi rimanere indifferente al sole di mezzanotte, è una sensazione unica: il sole non sorge mai e non tramonta mai, lo vedrai girare sopra la tua testa a qualsiasi ora più o meno sempre alla stessa altezza, a mezzogiorno è quasi alla stessa altezza in cui si trova alle 2 del mattino… La luce non cambia mai di intensità e le ombre sono sempre uguali (non le vedrai allungarsi al tramonto).

A fine agosto alle Svalbard è quindi il periodo migliore per rendersi conto del cambiamento e anche per iniziare a dormire un pò almeno durante le brevi notti. Andando in piena estate, non potremo fare a meno di notare come la luce continua disturbi il nostro ritmo circadiano. Questo è un aspetto fondamentale da tenere presente durante il viaggio.

Persone che vivono lì mi hanno parlato al contrario di una sorta di letargo nel quale cadono i pochi presenti durante la lunga notte invernale quando la popolazione si riduce da 2000 a 4-500 persone: sono mesi nei quali ogni genere di attività è ferma, gli alberghi chiusi, le escursioni impossibili e anche andare a fare la spesa al supermercato può essere pericoloso a causa degli orsi che arrivano fino al villaggio per cercare cibo…


Il sole di mezzanotte dura per circa quattro mesi: dal 19 aprile al 23 agosto. La notte tra il 23 ed il 24 agosto è l’ultima in cui il sole rimane costantemente sopra l’orizzonte.

A partire dal 27 ottobre, inizia la lunga notte polare che dura fino a metà febbraio.


Foto e parole di Roberto Gabriele

Areni – Armenia

Il fiume Arpa nasce in Armenia nelle catene montuose del Piccolo Caucaso. Scorre in direzione sud-ovest attraversando l’enclave azera del Naxçıvan per poi gettarsi nell’Aras, al confine con l’Iran. Un fiume importante per questi territori. Nel 1963 cominciarono, infatti, i lavori di costruzione di un tunnel con lo scopo di convogliare parte delle sue acque nel lago Sevan il cui livello, a causa del prelievo per scopi idroelettrici e di irrigazione intensiva, aveva subito un inarrestabile declino.

La storia:

I lavori vennero completati nel 1981 e consentirono l’afflusso di 250 milioni di metri cubi annui di acqua nel lago. Tuttavia, la condotta, della straordinaria lunghezza di oltre 48 km, subì ripetuti rallentamenti e blocchi di esercizio per manutenzione fino alla sua totale inutilizzabilità.

Oggi quel territorio appare sospeso: ancora si vedono, incisi nella natura, i grandiosi interventi della dominazione russa, ma, dopo la fine di questa, pare le atmosfere si siano rarefatte. Alcuni luoghi sono rimasti chiusi nel tempo e il tempo stesso pare fluire con ritmi più naturali.

Areni

Proprio lungo queste valli fluviali, in un territorio di mezzo tra Armenia e Azerbaigian, si trova il villaggio di Areni. Un territorio brullo, a quasi 1000 mt di quota. Poche case in stile sovietico, di mattoni grigi e tetti di zinco, lungo un fiume livido e stretto. Siamo nella provincia di Vayots Dzor. Un luogo rurale, con basse colline e sparute coltivazioni di alberi di pesco. Gente cresciuta nella semplicità di una terra quantomai isolata e sperduta. Sconosciuta alla maggior parte del mondo se non fosse che qui è stata scoperta una delle cantine di vino più antiche del mondo, risalente al 4100-4000 a.C.

All’epoca, in questi luoghi prosperava una antica cultura caucasica: i Kura-Araxes. Comprendeva gli stati moderni di Armenia, Azerbaigian, Georgia e Turchia. Una civiltà antichissima, proveniente dalle valli dell’Ararat, che aveva nella ceramica dipinta di nero e rosso, il suo tratto artistico più alto.

In una grotta preistorica, proprio alle pendici di questo villaggio, antichi viticoltori usavano i piedi per pressare l’uva in vasche di argilla, facendo colare il succo in piccoli tini. Il vino così prodotto sarebbe poi rimasto a fermentare fino allo stoccaggio in giare. Questa produzione, su larga scala, ha convinto gli archeologi che l’uva fosse, già a quei tempi, coltivata in filari e addomesticata per produrre vino, anche da commerciare.

Areni

Areni oggi:

Percorrendo oggi la strada principale di Areni, l’unica asfaltata, si trova un divertente e colorato “shopping street” all’aperto: tanti piccoli e variegati negozi, ai lati della via, che offrono svariati servizi e oggetti. Tante piccole vetrine spartane e dignitose, in spazi perfettamente integrati con la natura e costruiti in materiale di riciclo. Pare quasi che in questi antichi e remoti territori si seguano principi di “sostenibilità” quantomai moderni. Ma il fatto più sorprendente è che, ancora oggi come nei millenni passati, seguendo una tradizione antichissima, l’economia del luogo è sostenuta sempre dalla vendita al dettaglio di vino.

Nella speranza che questi luoghi siano qui ancora nei prossimi secoli.

Areni

Moldavia

Meta/East

moldavia

Moldavia – In un paese schiacciato tra Romania ed Ucraina, tra l’Unione Europea e la Russia, gli ultimi hanno dimora.

Ci si interroga su quello che è la Moldavia oggi, ossia un autocrazia dove gli uomini forti dirigono e controllano le masse deluse, frustrate, spazientite e in attesa di riforme.

moldavia

Gli ultimi sono i protagonisti delle piazze vuote e spettro del paese, vivono in una situazione precaria che ha portato molti di loro ad emigrare lasciando i villaggi privi delle generazioni intermedie e popolati da bambini, ragazzi ed anziani che interpellano un futuro incerto.

 

Sono coloro che vivono quei silenzi incidenti, all’inizio e alla fine delle giornate, spezzati dai canti ortodossi provenienti dalle chiese, punti di riferimento simbolici di molti valori nonché sinonimo di tradizione.

moldavia

Schiacciati dai retaggi del regime comunista, dai residui di quel che resta della centrale nucleare di Chernobyl, gli ultimi vanno a popolare anche quei villaggi che dovrebbero essere cancellati per le radiazioni pur di sfuggire alla povertà trasformandosi nei primi delle regioni morte.
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La forza femminile

Molte donne, vera forza lavoro locale, scelgono di abbandonare le loro case e diventare badanti dell’Europa lasciando molto spesso le proprie famiglie ma con l’obiettivo di ritornare per restituire quel futuro interrogato.

I ragazzi soli crescono in strada, in molti casi con i nonni, in molti altri dislocati in zone lontane dai grandi agglomerati urbani.

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L’assenza delle figure materne genera gli orfani sociali, categoria di deboli e ultimi che spesso vengono accolti da famiglie povere strappandoli dalle fredde camerate degli orfanotrofi fatti di blocchi di cemento non riscaldati.

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La Moldavia è la nazione più povera d’Europa che ha subito negli ultimi 15 anni un’incisiva mutazione demografica: tra i palazzi alti e grigi, ancora fermi con gli intonaci cadenti e privi di persone, si respira la diaspora fatta di dolorose partenze ed incerti ritorni.
Città perdute dove gli ultimi sono i primi sognatori e protagonisti dei miei ritratti.

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Molti di questi scatti sono stati catturati in strada, altri nascono dalla conoscenza fatta durante il viaggio degli abitanti del posto, altri ancora richiesti da coloro che per alcuni secondi volevano garantirsi un’illusione di eternità.

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La storia è divisa in tre parti: l’infanzia, la maturità e la vecchiaia. Tre generazioni a confronto che, con i loro volti e i loro contesti, raccontano quel paese metafisico e surreale quale è la Moldavia, ma anche tangibile dove il tempo è fermo e dove il confine tra passato, presente e futuro sembra scomparire.

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Gli anziani sono dunque gli stessi adulti e gli adulti gli stessi bambini che rimangono se stessi nel cambiamento, nella solitudine, nel loro essere persi nella città, dando anima ad nuovo romanticismo che contempla qualcosa che si distrugge e muore ma che può rinascere o trasformarsi.

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Questo racconto di  Sara Aliscioni ha partecipato al  Travel Tales Award 2024

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