Afghanistan 1967
Partecipo al concorso Travel Tales Award con un racconto sul viaggio in Afghanistan e India, tratti dal mio diario. Accompagnano le fotografie scattate per la maggior parte dal mio caro amico Francesco Ghion, che ci ha lasciati quattro anni fa. Il suo ricordo mi riempie sempre di affetto e di nostalgia per il tempo passato. Foto e racconti vogliono essere un omaggio alla sua gioia per la vita e alla sua bravura.
Il testo ci vede già arrivati in Afghanistan con le nostre due piccole Fiat e non descrive il lungo percorso, bensì la atmosfera e le impressioni riportate sul diario.
Il racconto si riferisce a Kabul e alla sua gente di antica fierezza.
La Foto 14 relativa a Kabul ci mostra tutti a cena con il segretario d’Ambasciata, la 15 Francesco Ghion con il parroco della chiesetta all’interno dell’ambasciata. La sua parrocchia era l’Afghanistan.
Afghanistan 1967. Gente di Kabul
Kabul ci accoglie con il solito caos delle città orientali, nel gran brulicare di gente a piedi e di tanti calessi trainati da un cavallo. Qui li usano come taxi.
Le nostre due piccole Fiat, che da Padova hanno già percorso più di 10.000 km, creano sorpresa e curiosità. Al centro di un incrocio un vigile dall’uniforme senza più colore è immobile e osserva il via-vai da una piccola pedana.
Si rianima appena vede le nostre auto che si fanno largo a stento. Scende deciso nel “traffico”, si mette a fischiare come un’orchestra, intima l’alt ad un vecchietto con l’asinello, ai carretti e ai numerosi pedoni pieni di fagotti multicolori e poi, con gesto magniloquente ed il volto illuminato dal suo più bel sorriso, ci indica che la via è libera.
Il bello è che ad ogni incrocio c’è lo stesso tipo di vigile, che esegue le stesse grandi manovre solo per noi.
La città vecchia è un groviglio di viuzze dove si affacciano botteghe di ogni genere. L’affollamento è straordinario, carretti, asini, capre, qualche fuoristrada scassato e tanta gente con vesti fantasiose. Gli uomini usano vesti e mantelli sovrapposti e turbanti colorati in testa. Alcuni ostentano lunghi fucili, piuttosto vecchi e scassati. Forse solo decorativi.
Impariamo a distinguere le tante etnie. I pashtun della zona di Kandahar portano un grande turbante bianco. I borghesi di Kabul un elegante berretto in pelliccia di karakoul. Gli afghani del Nord indossano il pakol, un berretto marroncino che sembra una padella con il bordo ingrossato. Assomiglia al copricapo dei Signori del Rinascimento italiano.
Davanti ad un cinematografo nel bazar, una piccola folla commenta sorpresa i manifesti del film americano Cat Ballou, in cui Jane Fonda si mostra in una posa curiosa.
Seduto a terra, un erudito legge il Corano ad un devoto accovacciato di fronte. L’afghano sembra un po’ perplesso.
Un venditore d’acqua porta un otre ricolmo. La barba è tinta di rosso con l’hennè. E’ vestito di una stoffa ricavata da un sacco, ma con taglio quasi occidentale. Orologio al polso e toppe sui gomiti ne fanno un elegantone.
Al mercato le donne con il burqa appaiono silenziosi fantasmi colorati. Da lontano vedi volteggiare un leggero mantello dai colori tenui dell’azzurro e del rosa. Scende dalla testa ai piedi e le mille pieghe si muovono sinuose. Un bimbo in braccio si nasconde tra le pieghe.
Ne siamo veramente affascinati. Nella immaginazione dei nostri vent’anni, così tutte le donne diventano belle, una immagine fluttuante, un corpo etereo che il vento si diverte a nascondere ed evidenziare, un balenare di occhi neri che ti osservano curiosi. Poi il capo si abbassa e il burka scompare tra la gente in un leggero fruscio.
Francesco Ghion
Scopro questo racconto per caso. Letto tutto d’un fiato, mentre le foto continuo a riguardarle… Ci sono stato più volte in queli luoghi, ed una parte di me è rimasta lì. MI chiedo se il Don ritratto nella foto sia Padre Giuseppe Moretti, sono stato nella sua Tangi Kalay School of Peace, ad est di Kabul. Dentro è scritto “may be a soorce of peace makers”…
Buongiorno Marcello e grazie mille per il tuo commento… Allora… Alle tue domande può rispondere solo il nostro Francesco Carmignoto che lo farà appena possibile. Io da parte mia ti suggerisco di iscriverti alla nostra Newsletter con il modulo qui in basso per restare sempre aggiornato sui tantissimi nostri contenuti che ogni settimana condividiamo sul nostro sito…
Grazie agli Autori di questo incredibile reportage , anche se nel 1967 poche donne portavano il burka era un buon periodo per le donne afgane
comunque sia la lunga e ingarbugliata storia degli 60 70 anni fino ad oggi ha sempre castigato le donne afgane
Situazioni che ti toccano l’anima, uomini semplici, donne invisibili e bambini curiosi.
Il viaggio del 1967 con le due piccole Fiat fino all’India ha segnato la nostra vita. Allora eravamo studenti di Farmacia e di Medicina all’Università di Padova. Un viaggio di moda a quei tempi tra i ventenni alla ricerca di paesi misteriosi e ricchi di avventure. Fanno male al cuore le notizie di questi giorni e il ricordo di tanta gente fiera e di antica civiltà, che ora viene abbandonata e resta senza speranza. Le foto di Francesco Ghion, l’amico carissimo che se ne è andato quattro anni fa, rendono benissimo questa fierezza e la gioia dell’incontro. Abbiamo avuto la fortuna di sostare sotto I buddha di Bamiyan, tra i picchi rosati dell’Hindukuhs. Avevamo dormito in macchina nella luce di migliardi di stelle, vicino al gorgoglio dell’Amu Daria, contemplando per l’ultima volta il gesto sereno del Buddha che ci accoglie aprendo le pieghe del suo manto. Nel mio diario scrivevo: ” All’alba vedremo ancora le immagini del torrente che scorre sotto le foglie verdoline dei pioppi, nella valle incantata che non vedremo mai più.”
Ciao Francesco, che belle parole e che bei sentimenti esprimi nel tuo racconto e nei tuoi commenti. GRAZIE di aver condiviso con noi il ricordo di un Paese all’epoca felice e oggi martoriato da chi lo governa e da tanti interessi internazionali. Ma la politica non spetta a noi viaggiatori, a noi sta quello che tu hai fatto egregiamente: raccontare, documentare, emozionarci del bello di culture così diverse dalla nostra e altrettanto affascinanti. Torneremo a parlare di Afghanistan con i tuoi racconti: sono una testimonianza importante per noi.