Intorno al treno – Mauritania

Era il 2023 quando con Simona Ottolenghi abbiamo scoperto la Mauritania, da quel giorno è stato il Viaggio dei Viaggi. Ci siamo tornati 3 volte in 2 anni per condividere con i nostri gruppi la bellezza di questo Paese.

I dromedari selvatici si nutrono lungo i binari del treno
Dromedari selvaggi pascolano indisturbati lungo i binari del treno. Foto: © Roberto Gabriele

INTORNO AL TRENO è il racconto della vita che si respira ai lati della ferrovia mineraria che taglia quel lungo tratto di deserto a nord di Choum, vicino al confine con il Sahara Occidentale (Western Sahara) e che si estende anche verso l’Adrar mauritano.

La motrice del lungo convoglio ferroviario
La motrice del lungo convoglio minerario che corre lungo il deserto in Mauritania per portare il ferro verso il mare. Foto: © Roberto Gabriele

Io e Simona abbiamo percorso il deserto per documentare quella parte di mondo e soprattutto la gente che vive a contatto con un treno che passa spesso senza orario preciso e il cui avanzare dipende più dalla natura, dal vento, dalla sabbia sulla linea, o dalla quantità di ferro scavata quel giorno a Zouerat che non dalla volontà umana di rispettare la puntualità.

Convoglio di manutenzione nel deserto
Convoglio di manutenzione ferroviaria nel deserto. L’attività di pulizia dei binari è quotidiana perchè il vento riempie di sabbia lo spazio tre le rotaie. Foto: © Roberto Gabriele

Il convoglio può arrivare a superare i 2,5 Km di lunghezza, le motrici possono essere 2, a volte anche 3, e sono necessarie per spostare l’enorme peso del carico di ferro estratto che viene portato al mare.

Il treno fermo nella stazione di Choum
Choum vive intorno alla ferrovia ma è come se l’una per l’altra non esistessero. Foto: © Roberto Gabriele

La gente:

La gente, dicevamo… Di fatto NON usa il treno, non è un treno passeggeri, se non per alcune carrozze che non vengono attaccate alla motrice neanche tutti i giorni che interessano più ai pochi turisti che arrivano da queste parti che alla gente del posto. Chi vive lì praticamente non è influenzato né nel bene, né nel male dalla ferrovia. Sono mondi paralleli, sistemi indipendenti. Avere la ferrovia non serve a loro per essere più ricchi, né per essere più poveri. Non gli porta denaro né inquinamento né disagi di sorta.

Nella cittadina di choum il rapporto tra il treno e le case è continuo
Nella cittadina di Choum il treno è parte del paesaggio urbano. Foto: ©Roberto Gabriele

Qui l’unico punto di scambio tra la gente e la ferrovia è il riutilizzo delle vecchie traversine ferroviarie di acciaio che una volta dismesse dalla linea ferrata vengono utilizzate in ogni modo possibile nel deserto per farne recinti, capanne, decorazioni…

il deserto antropizzato
Il deserto antropizzato: finti binari abbandonati. Foto: © Roberto Gabriele

Il treno:

Mentre fotografavamo tutto questo, concentrandoci un pò sulle persone, un pò su quel paesaggio antropizzato con i resti scheletrici di una ferrovia dismessa, siamo riusciti anche a salire su un convoglio ferroviario di quelli che fanno la manutenzione della linea: una motrice con un carrello che riportava gli operai a casa a fine turno. Siamo saliti con loro alla cieca, senza neanche sapere dove saremmo finiti esattamente. Sapevamo solo che alla fine saremmo arrivati in un centro abitato e questo ci bastava per conoscere la nostra sorte fino a quella sera.

Uno scambio lungo la linea del treno in Mauritania
Anche in mezzo al deserto, lungo una infinita linea retta di binari, si trova uno scambio che porta in un ramo di servizio. Foto: ©Roberto Gabriele

L’eccitamento di essere cronisti e fotografi di un’esperienza così unica arrivava alle stelle. Una volta arrivati era il tramonto e noncuranti delle nostre sorti per la notte ci siamo messi a fotografare quella cittadina in mezzo al deserto: fotografavamo il rientro degli operai nelle loro case.

Notturno lungo la ferrovia
Gli operai rientrano a casa lungo i binari. Il loro cammino è rischiarato dai fari della motrice. Foto: © Roberto Gabriele

Lighreidat:

Quello è stato l’unico centro abitato che avesse una parvenza di illuminazione notturna. La Società Ferroviaria ha infatti elargito a tutta la cittadina elettricità gratuita nelle strade e nelle case che fornisce dalla piccola centrale elettrica che serve al cantiere ferroviario. In città si cammina tra i fili che portano la corrente nelle case che vengono accoppiati scoperti e lasciati nella sabbia. Se un filo si dovesse staccare sarebbe facilissimo trovare il guasto e ripararlo: la linea è di pochi volt in bassa tensione, tutto funziona con piccole lampade led che però fanno la differenza.

Lampioni a Lighreidat
Lighreidat è l’unica cittadina in tutto il deserto che abbia una parvenza di illuminazione notturna. Foto: © Roberto Gabriele

Choum:

Choum come Lighreidat sono due cittadine nelle quali siamo stati che sono nate lungo la ferrovia come dormitori per gli operai che lavorano lungo la linea per la manutenzione. In mezzo c’è il deserto piatto e noioso, con poca sabbia che raramente forma dune: un infinito orizzonte di una pianura di sabbia grigia che si estende per centinaia di chilometri. Ci sono solo 2 elementi che in qualche modo differenziano quella enorme distesa di polvere.

Abitante di Choum
La gente di Choum. Foto: © Roberto Gabriele


Il vecchio tunnel francese, scavato proprio come diversivo per passare intorno a quell’angolo di Marocco che passa a pochi metri dalla ferrovia oltre confine. Oggi il treno ha un nuovo tracciato e quel tunnel è rimasto di fatto esattamente ciò che di fatto è: un buco in mezzo al deserto, senza alcuna funzione. Percorrerlo è un salto in una dimensione parallela in un mondo senza tempo. Non c’è più la ferrovia, né ci passa una strada né tantomeno una pista ciclabile. E’ un buco nel deserto.

Sculture astratte di arte moderna realizzate con le traversine dismesse del treno nel deserto in Mauritania
Improbabili e involontarie sculture astratte di arte moderna realizzate con le traversine dismesse della ferrovia nel deserto in Mauritania. In realtà si tratta di un secondo utilizzo, di una nuova vita di qualcosa che ormai ha perso la sua funzione primaria. Foto: © Roberto Gabriele

E l’altro diversivo al deserto che sembra non avere confini è la roccia di Aicha che è una montagna che ha una fessura il cui nome ricorda molto da vicino un dettaglio del corpo femminile visto anche da una posizione molto esplicita… Quelle stranezze della natura che tanto piacciono ai travel blogger e poco ai fotografi: i primi infatti amano fotografare e fotografarsi vicino a cose che tutti capiscono e che sarebbero disposti a partire da casa per andare a fotografare, i secondi, noi fotografi, che quando  ci troviamo di fronte a qualcosa che sappiamo essere stato già fotografato da qualcun altro, riponiamo la fotocamera e andiamo oltre.

Scheletri della vecchia ferrovia
Nel deserto emergono scheletrice parti della vecchia ferrovia riutilizzate come recinti, come tettoie, come oggetti e punti di segalazione. Nulla è perso, tutto trova una nuova vita. Foto: © Roberto Gabriele


Ecco: questo è il mondo che gira INTORNO AL TRENO in Mauritania.

Roberto Gabriele

Uno degli operai della ferrovia vestiti in abiti tradizionali. Foto: ©Roberto Gabriele

Lemki Ritorni senza partenze

Inaugurazione mostra: 28 maggio 2025 a Roma:

Siamo lieti di presentare la mostra fotografica “LEMKI. Ritorni senza partenze” di Simona Ottolenghi e Roberto Gabriele presso la OTTO Gallery di Roma.

Il lavoro fotografico sui Lemki è una anteprima assoluta perchè si tratta dell’unico lavoro fotografico di Autori Italiani riguardante questa minoranza etnica. Un evento di grande spessore culturale che rappresenta tuffo in un mondo senza tempo nella cultura dei Lemki, una comunità con una sua lingua autonoma e una storia ricca e tormentata.

I Lemki sono un popolo di origine slava, strettamente legato alle terre montuose dell’Europa orientale, nei Carpazi al confine tra Polonia, Ucraina e Slovacchia. La loro storia, è da sempre stata segnata da una forte connessione con la natura e da una vita basata sull’agricoltura e la pastorizia. Attraverso un delicato racconto fotografico, Simona Ottolenghi e Roberto Gabriele ci introducono in un mondo fatto di silenzi e di ritmi a misura d’uomo. Questa mostra offre uno sguardo intimo nella vita quotidiana e nelle tradizioni dei Lemki.

Le immagini esposte raccontano la bellezza di paesaggi autunnali, le abitazioni tradizionali e i momenti di vita di questa comunità di religione ortodossa che ha costruito caratteristiche chiese di legno. Le stampe in bianco e nero che vediamo in mostra, sono “i segni di punteggiatura di frasi scritte a colori”.

Uno bosco con la chiesetta in legno nascosta tra gli alberi nella terra dei Lemki
Tipica chiesetta in legno nascosta nel bosco. Foto: © Roberto Gabriele

La Mostra:

I due Autori espongono per la prima volta un loro lavoro nella OTTO Gallery dopo 7 anni e dopo oltre 30 mostre dedicate ad altri Autori in questo spazio unico nella Capitale dedicato alla fotografia all’interno delle sale comuni di un Bed & Breakfast che diventa un vero museo in cui dormire a disposizione dei suoi Ospiti.

La stessa mostra è stata esposta già nel 2023 presso le sale espositive dell’Istituto Polacco di Roma nel Palazzo Blumenstihl e questa è una nuova possibilità per vederla dedicata a chi non è riuscito a partecipare la prima volta.

Attraverso le fotografie perfettamente stampate da Sergio Casella di Fotosciamanna, Ottolenghi e Gabriele ci conducono in un Viaggio Fotografico insolito e curioso attraverso i luoghi di origine dei Lemki, presentandoci l’essenza di chi ritorna senza essere mai partito.

Il libro:

Durante l’inaugurazione della mostra, ci sarà anche la presentazione del libro di poesie Ritorni / Powroty / Bepmaня degli stessi autori. Silvia Bruni e Olena Duć-Fajfer hanno sapientemente tradotto e curato i testi in tre lingue. Questo libro è un’opera letteraria di grande valore, che accompagna idealmente le fotografie esposte e ci offre attraverso la poesia un’ulteriore prospettiva sulla vita dei Lemki e sul loro rapporto con la loro terra d’origine.

“Ritorni / Powroty / Bepmaня” è un libro di poesie in lingua lemka con testo a fronte in polacco e in italiano ed è l’unica pubblicazione esistente che abbia le tre lingue all’interno di uno stesso volume: una sorta di Stele di Rosetta del terzo millennio. Quest’opera ci invita a immergerci “nella storia e nelle storie” di questa comunità, ad approfondire la loro cultura, le loro tradizioni e la loro lotta per preservare la propria identità. Grazie alle testimonianze scritte e alle interpretazioni dei curatori, possiamo apprezzare in modo più completo e appassionato il contesto in cui sono nate queste fotografie straordinarie.

Perchè “Ritorni senza Partenze“? Dove è il senso di questa frase? Vieni a scoprirlo di persona alla mostra. 

IL LIBRO SARA’ IN VENDITA DURANTE LA SERATA E DISPONIBILE PER TUTTA LA DURATA DELLA MOSTRA

Lemki - Ritorni senza partenze. Il libro di Simona Ottolenghi e Roberto Gabriele
La copertina del libro in 3 lingue con le foto della mostra, che presenteremo durante la serata.

Simona Ottolenghi:

Roma, 1972. Architetto, Fotografa, Viaggiatrice, imprenditrice. Simona Ottolenghi ha fatto della creatività il suo stile di vita, dell’innovazione e della qualità la sua bandiera. Ha iniziato a viaggiare in giovane età scoprendo fin da subito la fotografia come mezzo eccellente di comunicazione e di espressione e in oltre 20 anni non ha mai smesso di studiarla e di approfondire le sue conoscenze. Viaggiatrice professionista organizza e accompagna in tutto il mondo gruppi di Fotografi con Viaggio Fotografico di cui è ideatrice insieme a Roberto Gabriele. Ha esposto in tantissimi eventi collettivi presso Chiostro del Bramante, Officine Fotografiche, Lanificio Roma, Enoteca Cavour 313, Istituto Italiano per le Scienze Umane-Napoli. E’ la curatrice dello spazio espositivo di OTTO Gallery, una importante realtà culturale dedicata alla fotografia ricavata all’interno del B&B OTTO Rooms del quale è la proprietaria e dove si tengono  workshop, eventi e mostre tutti dedicati  alla fotografia.

Casa di campagna con cane che latra
Tipico locale attrezzi nelle campagne dei Lemki- Polonia 2017. Foto: © Simona Ottolenghi

Roberto Gabriele:

Caserta, 1968. Fotografo a 360 gradi. Si vanta di non aver mai lavorato nella sua vita e di aver solo fatto fotografie che qualcuno era disposto a pagare. Ha avuto per 25 anni uno studio fotografico a Latina nel quale faceva still life per Aziende e lavori per privati, poi dal 2013 ha chiuso tutto e si è trasferito a Roma per iniziare la grande sfida di Viaggio Fotografico insieme a Simona Ottolenghi. Viaggiatore anche lui, Tour Leader instancabile, si diverte a girare il mondo con una valigia in mano e lo zaino fotografico sulle spalle. Ha collaborato con la rivista Acqua & Sapone dal primo all’ultimo numero per la quale scriveva articoli di viaggio. Una serie infinita di libri tra cui spiccano Immaginario, Carnevale di sangue, Genna – il Natale Copto e tanti altri. Ha esposto  in tantissime mostre fotografiche personali e collettive come Presenze, Sale di Posa, Agora Fitness...

QUANDO:

Inaugurazione il 28 maggio 2025 dalle 16,00 alle 20,00 saranno presenti gli Autori e disponibili per visite guidate alla mostra.

Alle ore 18,00 ci sarà un intervento di Ania Jagiełło responsabile del settore Arti Visive e Teatro dell’Istituto Polacco di Roma che apporterà un importante contributo culturale alla mostra.

DOVE?

OTTO Gallery
Piazza Giuseppe Mazzini 27 – Piano 4 Scala A.
00195 Roma
Citofona OTTO Rooms
Ecco il link: https://goo.gl/maps/YZFemWnRGQstxum2A

Come arrivare:

OTTO Gallery si trova nel Quartiere Prati di Roma ed è collegata benissimo anche con i mezzi di trasporto:

  • Metro Rossa LINEA A stazione Lepanto
  • Oppure in bus che arrivano fino qui da tutta Roma: 19-30-69-89-280-301-490-495

E se vieni da lontano:

Puoi dormire direttamente nella nostra guesthouse OTTO Rooms! Per prenotare la tua camera da OTTO Rooms CLICCA SU QUESTO LINK.

Travel Diaries – Roma

La collana Travel Diaries a Roma da Officine Fotografiche!

La collana Travel Diaries curata da Simona Ottolenghi e Sonia Pampuri cresce!

Dopo i primi 3 titoli (la Mauritania di Roberto Malagoli, la Namibia di Claudio Varaldi e il Marocco di Luigi Rota) sono ora arrivati altri due titoli, i CARAIBI di Francesca Gherro e il MYANMAR di Claudio Varaldi.

Il prossimo appuntamenti di presenza della collana è da Officine Fotografiche a Roma, venerdi 16 maggio alle ore 18,30, con la curatrice Simona Ottolenghi affiancata da Roberto Gabriele.

Simona mostrerà i volumi finora realizzati, dialogando con Roberto di fotografia di viaggio autoriale, ricordando che è attiva fino a fine giugno la call per partecipare al premio Travel Tales Award.

5 copertine di Travel Diaries

Inoltre in ANTEPRIMA ESCLUSIVA verrà proiettato lo speciale Cities Kumbh Mela, uno speciale della collana Cities dedicato al più grande evento mondiale, con 13 serie di Fabio Bellavia, Andrea Bettancini, Stefano Caffo, Rosario Lo Presti, Roberto Manfredi, David Marciano, Marcello Mariella, Francesco Merella, Simona Ottolenghi, Laura Pierangeli, Roberto Polillo, Luigi Rota, Ignazio Sfragara.

Lo speciale verrà presentato in edizione cartacea insieme con Cities 15, ma per l’occasione i presenti alla serata potranno visionarlo in anteprima e dialogare con Simona e con gli autori dello speciale presenti.

Link Utili:

Scopri la collana TRAVEL DIARIES a https://traveltalesaward.com/travel-diaries/

Scopri di più sullo speciale Cities Kumbh Mela a https://www.italianstreetphotography.com/news/cities-kumbh-mela-special-edition

Scarica il pdf dello speciale Kumbh Mela su:  https://www.swisstransfer.com/d/693b2b43-6b04-4660-9158-54e77d9430d9

Sfoglia online lo speciale Kumbh Mela https://www.sfogliami.it/fl/313372/qhz1rpyk2895e88rr7qsq2gdms6s856

DOVE?

Officine Fotografiche
Via Libetta 1.
00198 Roma
Ecco il link: https://maps.app.goo.gl/1vtCf3Xzqcj6unyq7

 

Come arrivare:

Officine Fotografiche si trova nel Quartiere Ostiense a 2 passi dalla metropolitana GARBATELLA ed è collegata benissimo anche con i mezzi di trasporto:

  • Metro Blu LINEA B stazione Garbatella
  • Oppure in bus che arrivano fino qui da tutta Roma: 123-670-715-716-769-792


Sulle orme di Emmett Till

Simbolo della lotta ai diritti civili nel Sud USA

Dopo aver vissuto il 60° anniversario della marcia da Selma a Montgomery, momento chiave per il movimento dei diritti civili in America, sono rientrata nel Mississippi. Qui ho seguito le orme di un’altra storia cruciale, profondamente radicata in quella stessa lotta: la vicenda di Emmett Till. Una storia per lo più sconosciuta qui in Italia, ma che negli Stati Uniti ha rappresentato un punto di svolta per l’inizio del lento cambiamento.
In un clima di razzismo e intolleranza si inserisce la vicenda di Emmett Till, un quattordicenne afroamericano di Chicago che, nell’estate del 1955, si recò in vacanza dai parenti a Money, un piccolo paese rurale del poverissimo Delta del Mississippi.
La sua storia avrebbe cambiato per sempre la coscienza del Paese.

©Simona Ottolenghi

La segregazione razziale nel Delta del Mississippi

La situazione per gli afroamericani nel Delta era radicalmente diversa da quella di Chicago. Qui la segregazione razziale era parte integrante della vita quotidiana. Le leggi e le consuetudini dividevano nettamente bianchi e neri in ogni ambito sociale, giustificando profonde disuguaglianze e una cultura diffusa di violenza e intimidazione verso la popolazione afroamericana.
Le leggi Jim Crow, emanate a partire dalla fine del XIX secolo, separavano i bianchi e i neri in ogni ambito della società: dall’istruzione ai trasporti, dai ristoranti alle scuole. Nonostante l’abolizione della schiavitù nel 1865 e i successivi emendamenti costituzionali, la supremazia bianca era ancora radicata, e la violenza contro gli afroamericani era considerata giustificata in molti casi.
Il soggiorno di Emmett Till si trasformò in tragedia quando, il 24 agosto, un presunto e innocuo complimento rivolto a Carolyn Bryant, la proprietaria bianca dell’omonimo negozio di alimentari, scatenò una reazione brutale e inimmaginabile.

Nel mio viaggio in solitaria ho cercato di seguire il percorso della sua storia.
A Money la Bryant Grocery oggi non esiste più, ma è ben segnalata da un cartello che ne ricorda la storia. Una fitta siepe nasconde quasi completamente ciò che resta di quel negozietto diventato tristemente famoso. Intorno il tipico paesaggio del Delta: distese pianeggianti e strade polverose con vaste piantagioni di cotone, dove per generazioni gli afroamericani avevano lavorato come schiavi e mezzadri.
Nonostante la sua apparente tranquillità, sono ancora vivi i segni del suo passato di sfruttamento e ingiustizia razziale.
Una curiosità: Non lontano da qui si trovano anche la tomba e i luoghi legati alla memoria del leggendario bluesman Robert Johnson, a testimonianza della ricca e complessa storia culturale e sociale di questa regione.

Il rapimento e il viaggio verso l’orrore

©Simona Ottolenghi

Pochi giorni dopo quel presunto episodio, nella notte del 28 agosto, Emmett fu rapito nella casa dello zio da Roy Bryant e J.W. Milam. Le testimonianze dell’epoca riportano la straziante scena del ragazzo, prelevato con la forza dalla casa di suo zio e condotto verso un pick-up Ford blu nel pieno della notte. Questo dettaglio del veicolo è rimasto impresso nella memoria collettiva come un elemento cruciale di quei momenti finali.

©Simona Ottolenghi

La ricerca del ponte

Fu brutalmente picchiato, torturato e infine ucciso. Il suo corpo gettato nel fiume Tallahatchie dal Bayou Bridge.
Trovare quel ponte non è stato facile, ma alla fine ce l’ho fatta. Avevo anche chiesto informazioni sul dove si trovasse agli addetti del Museo dedicato alla storia Emmett Till a Glendora, ma non lo sapevano con certezza nemmeno loro… “Dovrebbe essere da quella parte… ma è chiuso da allora!”.
Oggi, ciò che rimane è una struttura abbandonata, arrugginita e inagibile, in gran parte sommersa dalla vegetazione e riassorbita dalla natura circostante. Con spirito di avventura e un pò di coraggio mi sono addentrata fino alla base del ponte tra tanto fango misto a rami secchi, una selva di cipressi spogli e piante selvagge.

Bayou Bridge. ©Simona Ottolenghi

Il paesaggio sul lento e fangoso fiume sottostante toglie il fiato per la sua bellezza. Le ombre quasi spettrali dei cipressi creano una texture che sembra essere disegnata o proiettata direttamente sull’acqua.

Il Tallahatchie River visto dal ponte. ©Simona Ottolenghi

Graball Landing: il ritrovamento

Continuo la mia ricerca in macchina, tra una mappa e un cartello che segnala qualcosa di poco comprensibile con una freccia. Seguo la freccia e la strada sterrata e arrivo al Graball Landing, il punto sulla riva del fiume dove  un pescatore ritrovò il suo corpo, sfregiato ed irriconoscibile. Aveva al dito un anello che è stato fondamentale per il riconoscimento altrimenti quasi impossibile con i mezzi di allora.
La targa commemorativa indica che, sebbene la posizione esatta del ritrovamento non sia certa, diverse testimonianze lo collocano in quest’area, nel bel mezzo della vegetazione palustre.

Il luogo del ritrovamento del corpo. ©Simona Ottolenghi

Il forza della madre

La straordinaria forza, il coraggio e la dignità di sua madre, Mamie Till-Mobley furono fondamentali per portare questa storia all’attenzione dell’intera Nazione Americana. Prese con fermezza la decisione di tenere un funerale a bara aperta, mostrando al mondo le orribili mutilazioni subite dal figlio. Questa scelta che generò un’ondata di indignazione e sdegno, e così doveva essere. Le immagini pubblicate su riviste come Jet Magazine ebbero un impatto profondo, e contribuirono a sensibilizzare l’opinione pubblica e a mobilitare il movimento per i diritti civili.
Nel 2022 è uscito il film diretto da Chinonye Chukwu Till – Il Coraggio Di Una Madre che descrive tutta la sua storia dal punto di vista di mamma forte, e decisa a far uscire la verità sul figlio.

Emmett Till e la madre. ©Simona Ottolenghi

Sumner e la memoria di una svolta

Per caso sulla strada vedo un altro cartello che segnala qualcosa legato alla vicenda di Till. Lo seguo fino alla piccola cittadina di Sumner, dove, con mia grande sorpresa, si trova la Court Room, l’aula di tribunale in cui si svolse il processo.
In quella sala, nel settembre del 1955, si tenne il processo contro Roy Bryant e J.W. Milam, i due uomini bianchi accusati dell’omicidio. Nonostante le prove presentate, inclusa l’identificazione del corpo da parte dello zio di Emmett, e le testimonianze, una giuria composta interamente da uomini bianchi deliberò per poco più di un’ora, prima di emettere un verdetto di non colpevolezza. L’assoluzione, anche se prevedibile considerato il contesto, sconvolse profondamente la comunità afroamericana e scosse tutto il paese. Era chiara l’ingiustizia di un sistema legale che non considerava la vita di un ragazzo nero alla pari di quella di un bianco.

L’aula dove avvenne il processo. ©Simona Ottolenghi

Negli anni successivi, protetti dalla legge sul doppio rischio, Bryant e Milam ammisero pubblicamente in un’intervista del 1956 alla rivista Look di aver rapito e ucciso Emmett, descrivendo nei dettagli il loro brutale crimine. Questa confessione, avvenuta l’assoluzione, non portò a un nuovo processo penale ma servì a rafforzare nella coscienza collettiva l’orrore di quanto accaduto e l’impunità di cui godevano i bianchi nel Sud segregazionista. Il caso di Emmett Till divenne un potente catalizzatore per il movimento per i diritti civili, ispirando nuove generazioni di attivisti a lottare per l’uguaglianza e la giustizia.”

©Simona Ottolenghi

Questo viaggio mi ha segnata molto. In questo periodo storico così difficile in cui sembra che ci si sia dimenticati della Storia, anche recente, credo sia davvero molto importante informarsi, andare oltre, conoscere fatti come questo che risalgono pochi decenni fa ma che in fondo riguardano tutti noi. L’attualità purtroppo ce lo conferma.

Il lutto cubano

Siamo arrivati a L’Avana la sera del 30 novembre. Tre giorni prima era morto Fidel Castro, controverso ed indiscusso protagonista della storia contemporanea del Paese.

Quando ho appreso della sua morte ho subito pensato che avremmo avuto una grande opportunità: essere a Cuba in un momento storico, di passaggio verso un futuro di forti cambiamenti ancora incerti ma spero non devastanti.

Non ero ancora mai stata a Cuba. Ero curiosa di parlare con la gente e respirare l’atmosfera di quei giorni di lutto in cui tutto il paese si sarebbe fermato.

Il pomeriggio del 30 novembre è partito da L’Avana il corteo con le ceneri di Fidel verso Santiago, quando siamo arrivati noi era già tutto lontano.

Il giorno dopo, L’Avana era una città fantasma, un caldo umido pesantissimo, e la pioggia che ha reso l’atmosfera ancora più grigia e triste. Così ci accolti il paese della musica e del sole.

Ovunque c’erano bandiere a mezz’asta, immagini commemorative di Fidel e del suo 90° anniversario di vita, scritte rievocative del 26 luglio 1953, in ricordo dell’attacco alla caserma Moncada a Santiago di Cuba, uno degli episodi più importanti della Rivoluzione cubana, a cui è stato ispirato il Movimiento 26 de Julio.

Foto: © Simona Ottolenghi – Interno di una casa, L’Avana

In quei giorni precedenti il funerale del 4 dicembre, e quindi la fine del lutto, c’era uno strano silenzio interrotto solo dal rumore delle poche bellissime e decadenti macchine d’epoca, che sono ancora le protagoniste indiscusse delle strade cubane.

Foto: © Simona Ottolenghi – L’Avana

Il sole era tornato, ma rimanevano le bandiere abbassate a mezz’asta, e soprattutto il divieto assoluto di bere e servire alcolici e di ascoltare qualsiasi tipo di musica.

Era stata vietata l’anima di Cuba a Cuba.

Solo in alcuni ristoranti turistici, con le cameriere vestite da Babbo Natale, servivano qualche cocktail a base di rhum, ma mai birra, perché, dicevano, la birra si vede da lontano.

Abbiamo approfittato per parlare con la gente, capire cosa pensano di quel che è stato Fidel per il loro popolo, quanto quel silenzio obbligato fosse vissuto come una costrizione o come un lutto vero e sentito.

A L’Avana alcuni proprietari delle case che ci ospitavano erano poco interessati alla storia e al passato di Cuba… pensavano di più al loro futuro in un turismo che ormai sta diventando di massa.

Foto: © Simona Ottolenghi - L'Avana
Foto: © Simona Ottolenghi – L’Avana

Ma usciti dalla città, tra i coltivatori di tabacco e canna da zucchero, spesso plurilaureati, il sentimento condiviso è di grande rispetto e devozione nel Lidèr Maximo che ha dato ai cubani istruzione e sanità gratuita per tutti e li ha liberati dalla dittatura fascista e corrotta di Batista.

Foto: © Simona Ottolenghi

Sono queste quindi le due anime di Cuba in questo momento di passaggio e cambiamento: quella ancora nostalgica, e certa che Raùl Castro continui sulla linea politica del fratello, e quella che si sta già affacciando al nuovo mondo del turismo, in modo spesso troppo disorganizzato ed approssimativo.

Le casas particulares sono ora autorizzate dal governo, e chi ha modo, non perde l’occasione di trasformare la sua casa in un alloggio per turisti, il porto di L’Avana si è trasformato in un parcheggio per navi da crociera e i pullman turistici da 50 posti sono ormai ovunque…

Rimane però la doppia moneta, il pesos cubano che vale pochissimo (il CUP, 1/24 di €) con cui possono comprare prodotti di prima necessità in botteghe apposite con scaffali prevalentemente vuoti, tutto razionato e controllato, ed il Pesos Convertibile (il CUC, con cambio 1/1 con l’euro), utilizzato dai turisti, che al nero entra nelle mani degli operatori turistici a qualsiasi livello e che crea grosse disparità nella popolazione.

Foto: © Simona Ottolenghi – L’Avana

Questa è la Cuba che io ho vissuto io oggi, in un momento importante per il suo futuro, sperando non venga trasformata in una macchina per investimenti ma che riesca a mantenere la sua forza ed unicità.

Cosa succederà non lo sappiamo, ma già si vedono tante bandiere americane nelle strade e dentro le case, e tanti sono i cubani che con i colori della bandiera USA hanno trasformato il loro abbigliamento…

Che sia un bene o un male sarà solo la storia a dirlo…

Foto: © Simona Ottolenghi – Nave da crociera, L’Avana

In diretta dalla Bulgaria

La Bulgaria vista dal finestrino

Scrivo questo pezzo mentre mi trovo ancora in diretta dalla Bulgaria. Stavolta sono solo, in vacanza, con me c’è solo Simona, niente Gruppi da accompagnare, un viaggio di coppia con lo zaino in spalla! Un Capogruppo che si rispetti, per riposarsi tra un viaggio e l’altro… Per vacanza fa un altro viaggio!

Ed eccomi che siamo qui a viaggiare in un Paese vicino alla nostra Italia, a 2 ore di volo da Roma, eppure così diverso. La prima impressione è quella di trovarsi in un posto che ha subito moltissimo l’influenza sovietica per diversi decenni che ne ha modificato l’architettura, il look della gente e lo stile di vita.

Il cirillico innanzitutto è la prima cosa che noti quando sei qui: ti da subito quell’immagine austera che ti aspettavi di trovare. Il cirillico ti porta in un attimo ben oltre la cortina di ferro. Assomiglia un pò al nostro alfabeto, un pò a quello greco, un pò ha strani segni a noi ignoti, e spesso alcune lettere che sono identiche alle nostre, hanno suoni completamente diversi. Il problema è quando il menù è scritto SOLO in cirillico e il personale non parla una parola di inglese… Ma anche questo fa parte delle regole del gioco del saper viaggiare in modo “romantico” senza grandi programmi, senza enormi aspettative…

Il bello del viaggiare in questo modo è la sensazione di smarrimento, di vuoto, di scoperta che sei “costretto” a fare ogni minuto mentre sei fuori casa, ogni cosa che ti serve sei costretto a chiederla.

Qui in Bulgaria Internet è diffuso quasi ovunque con WIFI gratis, ma non è un servizio costante e soprattutto non è affidabile in alcuni momenti in cui sembrerebbe indispensabile! Sai benissimo di aver sottoscritto per il tuo telefono anche la tariffa (quasi) free per internet ma, al dilà dei costi del tutto sostenibili, approfitti di questa occasione per rinunciare del tutto a questa ciambella di salvataggio informatico: questo è il tuo viaggio nel tempo, in quella vecchia Europa che ancora esiste e quando internet non è disponibile…. Non andrai a cercarlo, imparerai a farne di nuovo a meno, a parlare con la gente.

Fotografare viaggiando

Fotografi in vacanza, e allora riscopri un modo diverso di viaggiare, fatto di chiacchiere a gesti con la persone, e scoprirti incapace di interagire se non con mezzi primitivi di comunicazione: indicare, sorridere, disegnare in aria, fare versi degli animali per spiegare che non mangi maiale o che vuoi il pollo o uno spiedino di agnello!!!!

 

La musica: ne abbiamo sentita tanta nei taxi, nei negozi, negli hotel…. La musica che ascolta la gente da queste parti è completamente ferma agli anni ’80 e non abbiamo sentito un solo brano che fosse più recente di quel periodo. Un fenomeno ci ha invece particolarmente colpiti: a Sofia c’è un locale che si chiama Delta Blues Bar, un angolo perfetto di Mississippi in piena Bulgaria! Una sorpresa per me e Simona che amiamo questo genere, e che lo abbiamo approfondito nel corso di tanti viaggi nel sud degli USA.

Un ristorantino a due passi dal Monastero di Bachkovo, l’arredamento del locale è di sicuro originale e irriverente!!

Così, parlando con il gestore, scopriamo che a Sofia, non si sa per quale ispirazione, ci sono l’almeno 500 musicisti che fanno blues e questo ha creato un indotto di pubblico che viene in questo locale ad ascoltare Blues suonato live tutte le sere. Anche a Plovdiv c’è un bel festival di musica Jazz molto seguito dal pubblico e visto che siamo capitati in città proprio in quei giorni, ne abbiamo immediatamente approfittato per un paio di concerti in un teatro e in un club…

Per un fotografo la Bulgaria è il luogo ideale per fare Street Photography: le donne, nei quartieri periferici che frequentiamo noi, vanno in giro con acconciature esagerate con capelli cotonati stile anni’60, la vecchina che cammina con le buste in mano e il capo coperto dal tipico fazzoletto copricapo annodato sotto al collo, l’omino secco secco con il giubbottone di similpelle che fuma una sigaretta che puzza di cadavere, i ragazzi vestono spesso con tute simil-Adidas e qualcuno azzarda looks di ispirazione più occidentale….

I mercati come sempre sono una vera miniera di stimoli fotografici, di personaggi da fotografare, di persone da incontrare e merci da scoprire. Un Luv, la moneta locale, corrisponde a circa 2 Euro, solo che i prezzi sono bassissimi, al ristorante mangi una cena di gran lusso comprese bevande a non più di 12-15 Euro a persona.

Viaggiando da queste parti, quello che ti puoi aspettare è il poter fotografare le vecchie automobili della Lada che ancora girano scassate nelle strade, le auto qui servono per muoversi, non sono uno status symbol, per cui le tengono finchè sono in grado di camminare.

La Bulgaria non ha cose “famose” da fotografare, ma è proprio questa la sua bellezza: potrai esprimerti tu al meglio tirando fuori i racconti e le sensazioni dei momenti che vivi. Non ci sono palazzi importanti e a livello di architetture tutto si riduce ad alcune chiese e monasteri che sono meravigliosi ma assolutamente sconosciuti al turismo di massa.

In questi monasteri, al dilà della bellezza del luogo stesso, ti colpiranno di nuovo le persone, la loro spiritualità, il loro rapporto con la preghiera: in queste chiese scoprirai  la bellezza della luce che filtra dalle finestre, le atmosfere mistiche dei sacerdoti che celebrano e la gestualità delle mani che accendono le candele…

E l’altra cosa che abbiamo riscoperto è il piacere di viaggiare con i mezzi pubblici, a parte la metropolitana di Sofia, l’esperienza più bella che abbiamo vissuto è il viaggio su un trenino a scartamento ridotto, ma di questo ne parleremo a parte nel prossimo articolo…

BUONA LUCE

Roberto Gabriele

Costruzione del Portfolio fotografico

Quante volte capita di trovarci tra le mani (o nell’hd del computer) miliardi di foto e non sappiamo come fare per dar loro un ordine? Oppure torniamo da un viaggio e la prima cosa che facciamo è quella di scaricarle ed inserirle tutte direttamente su Facebook… NIENTE DI PIU’ SBAGLIATO!! Il PORTFOLIO è un nostro progetto, è un insieme di foto che hanno un senso, selezionate per RACCONTARE e trasmettere qualcosa… quel qualcosa siamo noi, è il nostro viaggio, è un progetto fotografico che dobbiamo presentare ad un giornale o con il quale vogliamo fare una mostra…

Come fare per scegliere le foto ADATTE alla finalità del portfolio stesso?

1. SCELTA DEL PROGETTO

Prima cosa da fare è aver ben chiaro in mente COSA SI VUOLE RACCONTARE.

Qualunque sia la finalità del Portfolio, esso deve avere un TITOLO ed un OBIETTIVO di cui dobbiamo necessariamente tenere conto nella successiva selezione.

Possiamo decidere di voler raccontare una giornata particolare di nostro figlio, oppure un viaggio che abbiamo fatto, o più semplicemente raccontare una città attraverso i colori oppure le geometrie dei campi coltivati di fronte a casa.

L’importante è avere ben chiaro il tema e tenerne conto anche quando dovremo decidere se escludere la “foto più bella”!

2. FINALITA’ DEL PROGETTO

Fondamentale è anche il fine ultimo del portfolio: la nostra selezione cambierà notevolmente se dobbiamo semplicemente mettere le foto del nostro viaggio su un social network, o se dobbiamo far vedere il nostro progetto ad un Photoeditor per la pubblicazione su un giornale, oppure se ci serve per una mostra o per il nostro sito.

A seconda della finalità cambieranno il numero delle foto, il tipo di immagine che sceglieremo (un giornale di attualità/cronaca per esempio non accetta foto troppo grandangolate o che in qualche modo alterino la percezione della realtà, mentre uno di moda/glamour vorrà immagini perfette dal punto di vista tecnico e di luce) e quindi verrà condizionato il tipo di selezione che andremo a fare.

3. SELEZIONE ED EDITING

Questa è la fase più importante, delicata ed anche dolorosa di tutto il processo!

Imparare a selezionare vuol dire anche imparare a scegliere ed avere anche il CORAGGIO DI ESCLUDERE “la foto più bella” se non è coerente con l’insieme.

Riassumo i PUNTI PRINCIPALI della fase selezione:

  • Fare una prima ampia selezione di circa 30/40 foto che ci sembrano adatte al progetto.
  • Scegliere le foto di APERTURA e di CHIUSURA: considerando che il verso di lettura (anche fotografica) di noi occidentali è da sinistra verso destra e dall’altro verso il basso, la FOTO DI APERTURA dovrà portare il nostro occhio all’interno del progetto, e dovrà anche essere esteticamente una delle più forti.
  • La FOTO DI CHIUSURA sarà invece quella che metterà un punto al lavoro, che ne definirà la sua conclusione.
  • COERENZA (stilistica, tematica…): A seconda del lavoro, della sua finalità e quindi dell’effetto finale che vogliamo ottenere, sceglieremo se presentarlo per esempio a colori o in bianco & nero, o se creare una postproduzione particolare, oppure se presentare un lavoro con foto mosse o tutte sovra/sottoesposte. Qualunque sia la nostra scelta stilistica, questa dovrà essere coerente per tutto il lavoro, a meno che non si voglia dare una valenza particolare ad una singola foto che potrà essere rappresentata in modo diverso. Stesso discorso possiamo farlo sulla scelta della focale utilizzata… saltare da una foto grandandolata ad una molto zoommata rischia di rendere il progetto difficile da leggere… ma questa non è una regola così stretta, dipende sempre da ogni singolo caso.
  • NON ripetere IMMAGINI SIMILI: Il coraggio di escludere foto belle o che riteniamo importanti vale anche per questo punto… se abbiamo due foto simili o con lo stesso soggetto e non sappiamo quale scegliere… dobbiamo farci forza, ragionare su quale delle due (o più) meglio si adatta al progetto, e necessariamente dobbiamo scartare l’altra (o le altre).
  • L’OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE: Dovremo creare un “percorso visivo” tra le singole foto tenendo presente i colori, le linee di forza e le geometrie e prospettive delle foto che andremo ad accostare. Tutto questo ci aiuterà a creare un LAVORO PIACEVOLE NEL SUO COMPLESSO, e non bello solo perché le singole foto sono belle.
  • Meglio un Portfolio con POCHE FOTO, MA BUONE: una sola foto “incoerente” col complesso, rischia di stonare ed abbassare il livello di tutto il lavoro.

4. SUPPORTO E STAMPA

Superato il difficile ostacolo della selezione, non ci rimane che scegliere il supporto e le dimensioni di stampa. Ovviamente se il lavoro dovrà essere pubblicato sul web non avrà bisogno di essere stampato.

Generalmente un lavoro da far visionare ad un professionista (per la lettura portfoli) o ad un photoeditor deve essere il più chiaro possibile, con stampe no più grandi di 20×30 cm, con al massimo una cornicetta bianca, senza incollaggi su cartoncini o simili. Le foto andranno sistemate secondo l’ordine scelto in precedenza.

Per quanto riguarda una mostra, invece, dipende molto dal luogo in cui si espone, e dalle condizioni di luce, meglio comunque stampe grandi senza cornice in vetro (che rischia di creare spiacevoli riflessi) in modo da valorizzare al meglio le stampe.

Portfolio Street

 

 

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