India, Kumbh Mela 2019

La sacralità del luogo

Il Kumbh Mela è una di quelle esperienze che non si dimenticano, che quando torni a casa senti che qualcosa è cambiato, che hai partecipato ad un evento emotivamente forte, sconvolgente e affascinante.

Non è solo un evento religioso, o un ritrovo di fedeli che si riuniscono in preghiera condividendo tradizioni o rituali, ma è la più grande manifestazione religiosa del Mondo.

Un enorme pellegrinaggio che coinvolge, a seconda degli anni, fino allo spaventoso numero di 100 milioni di persone.

Siamo in India, nello Stato dell’Uttar Padesh, e precisamente ad Allahabad, città in cui confluiscono i tre fiumi sacri agli induisti: il Gange, lo Yamuna e il mitico Sarasvati, oggi scomparso, o a detta di alcuni quasi totalmente sotterraneo, ma che mantiene ancora vivo per i fedeli il Culto della Dea da cui prende il nome.

La storia del Kumbh Mela e le sue celebrazioni sono legate a leggende dai forti connotati mitologici ed astrali, e come in tutti i poemi epici che si rispettino, anche qui buoni e cattivi combattono, e combattono per 12 giorni e 12 notti finchè Vishnu, che aveva ordinato di agitare gli Oceani per ottenere il nettare dell’Immortalità, chiamato Amrita, ne fece cadere alcune gocce nei quattro luoghi che così divennero sacri : Allahabad, Haridwar, Ujjain, e Nashik.

Proprio in queste quattro città si svolge a rotazione, ogni tre anni, questo importantissimo pellegrinaggio.

IndiaL’esperienza umana

C’erano 50 milioni di persone attorno a me. 50 milioni di persone che camminavano, camminavano ininterrottamente, giorno e notte, senza sosta. 50 milioni di pellegrini, fedeli delle più svariate sètte induiste (akhada), che hanno attraversato il paese con treni speciali, pullman, camion, ed ogni altro mezzo di fortuna per radunarsi in un’area di non più di 20 km di lunghezza per 32 km quadrati di superficie.

Inimmaginabile per noi occidentali, impossibile da capire, troppo lontano dalla nostra cultura e dalla nostra esperienza umana.

E soprattutto difficile da descrivere. Quasi impossibile.

Il mio primo impatto in quest’area che sembrava un enorme campo tendato, è stata una scena che ricordava l’esodo biblico.

Decine… centinaia… migliaia di poverissimi pastori che venivano dallo Stato del Bihàr, nell’India nordorientale, arrivati qui con 5 pullman, ogni pullman con più di 100 persone.

IndiaScendevano ordinatamente da un alto terrapieno, non si vedeva l’inizio della sterminata fila di persone. Arrivavano cantando, vestiti con quanto di più povero potessero trovare, tutto ciò di cui avevano bisogno era racchiuso in fagotti di tela che portavano sulla testa o annodati in lunghi bastoni poggiati sulle loro spalle.

I più religiosi portavano con sé della paglia. Erano a digiuno e avevano promesso a loro stessi di “dormire su un letto di paglia” finché non avessero fatto le abluzioni nei fiumi sacri.

Capitava spesso, infatti, di trovarne distese enormi lungo le rive dei fiumi, e sopra di esse altre distese di gente che si spogliava e rivestiva senza alcun pudore o soggezione, o paura di essere guardati male.

Si immergevano, quasi completamente svestiti, nelle acque gelide a qualsiasi età, e a qualsiasi ora, giorno o notte che fosse.

Spesso incontravo figli che portavano gli anziani genitori perché potessero fare la loro sacra immersione prima del trapasso che sentivano avvicinarsi.

Ed è proprio questo il motivo più profondo dell’essere qui, almeno una volta nella vita, per ogni Induista: un dovere che ognuno sente dentro di sé, come liberazione e purificazione dell’anima e dello spirito.

Questo è infatti quello che mi è stato detto anche dalla mia fidatissima guida:

Ogni induista crede che sia molto importante andare almeno una volta nella vita sui luoghi sacri della religione Hindu per fare le abluzioni nelle acque del fiume Gange o degli altri fiumi sacri nei periodi del Kumbh Mela perché questi luoghi sono stati benedetti dalla divinità Vishnu.

Chi farà i bagni sacri nel corso di questi eventi verrà pulito di tutti i peccati e potrà seguire la strada per il moksha, ovvero la liberazione e la salvezza come condizione spirituale superiore”.

La decisione di rimanere nel campo

India

La decisione di rimanere a dormire all’interno dell’area del Kumbh,  senza tornare al nostro comodo campo tendato si è dimostrata vincente .

Troppa folla, i ponti erano stati chiusi, se avessimo dormito al nostro campo non saremmo probabilmente riusciti arrivare nemmeno partendo a mezzanotte. Impossibile.

Con entusiasmo, molta curiosità e tanti chilometri a piedi, ci incamminammo così, verso il tendone dei Sadhu che ci avrebbero ospitati.

La strada era lunga parecchi chilometri,  e quello che c’era intorno a me era incredibile .

Fedeli poverissimi, famiglie con bambini, sadhu, asceti… Guru con vesti  arancioni, o solo con perizomi bianchi, o semplicemente vestiti di cenere.

Tendoni delle varie sette, in ognuno dei quali c’erano cerimonie religiose, venivano accolti i fedeli, si mangiava, dormiva, pregava, predicava, accoglieva…

Sulla strada c’era chi benediva, e chi chiedeva donazioni possibilmente in moneta del paese di provenienza, o chi camminava verso chissà quale luogo dove fermarsi a dormire… chi lavava, cucinava, ed anche qualcuno che stirava.

IndiaE il tutto con un’organizzazione perfetta, con gli eserciti di 5 Stati Indiani, decine di migliaia di bagni, punti di informazione, ospedali da campo.

E soprattutto c’era silenzio, un caos ordinato e un religioso rispetto per chiunque.

Arriviamo dai nostri ospiti.

Ho conosciuto subito il Maestro, un vecchio con occhi buoni e capelli grigi lunghi e stoppacciosi. L’accoglienza è stata bellissima e calorosa.

Quella,  adesso era casa nostra.

IndiaIntorno a me,  a terra,  c’era un gruppetto di devoti,  fumavano marijuana, alcuni erano completamente storditi, dormivano o a malapena tenevano gli occhi aperti.

IndiaErano questi i miei compagni di camera?

Ho mangiato con loro, seduta a terra e servita in piatti di metallo, rigorosamente senza posate. Il cibo, buono e speziato al punto giusto, si prendeva aiutandosi con il pane senza usare le posate.  Tutto bellissimo. Ed emozionante.

Quelle gentilissime persone che mi hanno ospitata per due giorni, servita e riverita erano Naga (Nudo) Baba.

Fanno parte della “famiglia” dei Sadhu, e come dice il loro nome, usano uscire nudi e coprirsi il corpo con la sola cenere.

Si dice che, a differenza di altri gruppi Sadhu, non siano propriamente pacifici, possano essere vendicativi ed arrivare alla mortificazione del proprio corpo e soprattutto del loro pene, desensibilizzandolo in vari modi: ho visto lucchetti, spade, e altri oggetti utilizzati per questo scopo.

Proprio loro, assieme alla più estrema delle sette Sadhu, gli Aghori, alle 3 di mattina hanno aperto la lunga processione fino ai gath alla confluenza dei fiumi sacri.

Erano il gruppo più atteso e scenograficamente più impressionante.

 

La lunga notte del Shahi Snan

L’esperienza più straordinaria è stata nella notte tra il 3 e il 4 febbraio.

Questa notte si è svolto il Shahi Snan, bagno rituale alla confluenza dei tre fiumi sacri, evento più importante di tutto il mese della Festa.

Un esercito di uomini nudi vestiti solo di cenere bianca e ghirlande arancioni sulla testa, con capelli lunghissimi arruffati e raccolti,  o completamente rasati si preparavano fuori dalle loro tende per iniziare il cammino più importante, seguiti da migliaia di seguaci e qualche curioso.

Una scena che difficilmente si dimentica.

IndiaIndiaHo camminato per tre km circondata da tutto il genere umano.

Tutta l’area, illuminata a giorno, aveva un’atmosfera surreale.

Sfilavano i carri degli asceti, sventolavano le bandiere arancioni, i manifesti giganti con le fotografie dei maestri venivano portati dai fedeli, e poi, c’era chi suonava i tamburi, e chi semplicemente camminava, andava avanti quasi per inerzia fino alla meta tanto desiderata.

Tutto intorno gente… gente… e ancora gente… e le tende dove dormivano, file infinite di bagni allestiti per l’occasione, militari a piedi e a cavallo che si occupavano di mantenere la sicurezza e l’ordine, e che severissimi allontanavano i non autorizzati, senza occuparsi troppo se sotto gli zoccoli dei cavalli finiva qualche essere umano.

Anime erranti mi circondavano da ogni lato con sguardi neri e profondi, avvolti da vesti povere ma pulite, e con la testa spesso coperta da cappelli di lana per affrontare la lunga e fredda notte.

Ognuno viveva quel momento da solo, in un intimo e religioso silenzio.

Le abluzioni

L’arrivo ai fiumi è stato memorabile.

Questo era per i fedeli il momento più importante: il momento del bagno sacro, aspettato probabilmente una vita intera e che per sempre rimarrà nei lori cuori e nelle loro anime.

La notte era fredda e ancora fonda. L’illuminazione era perfetta.

Per terra erano accatastati migliaia di abiti e scarpe.

Corpi per lo più magrissimi, prevalentemente con barbe bianche e lunghe, e donne seminude, procedevano verso l’attesa purificazione immergendosi nell’acqua freddissima del Gange o dello Yamuna che proprio qui si incontrano.

Qualcuno cercava di arrivare ad immergersi nell’acqua insieme ai propri maestri, il che rendeva quel momento ancora più sacro e ricco di significato.

Lo spazio in cui si svolgevano le abluzioni era piuttosto piccolo e delimitato da galleggianti, ed i responsabili della sicurezza sui loro gommoni lavoravano per garantire a tutti di poter vivere al meglio le loro abluzioni.

Qui le correnti sono infatti molto forti e i rischi di incidente, considerando anche la forte densità di persone, sarebbero potuti essere molto alti, ma tutto si è svolto per fortuna senza alcun problema e nel migliore dei modi.

L’esperienza al Kumbh si conclude così, un misto di emozioni fortissime si alternano nella mia testa pensando che nonostante questo strano mondo possa sembrare a noi occidentali così diverso, lontano ed incomprensibile, la grande umanità, simpatia ed ospitalità della gente mi ha fatto sentire in una grande

famiglia e sempre più curiosa di continuare a conoscere, ed immergermi in nuove culture che altro non possono fare che arricchirmi e rendermi migliore.

 

Etiopia: il Natale arriva a gennaio

Se pensi al Natale come Babbo Natale che arriva sulla slitta il 25 dicembre e porta regali ai bambini, leggi questo articolo: ti porterò in un posto in cui tutto questo non è vero. Ad esempio, nel nord dell’Etiopia, a Lalibela, è tutto diverso, anche la data di Natale che viene celebrato il 7 gennaio!

Etiopia
Soli, in un villaggio senza nome. Etiopia 2016. Foto: ©Roberto Gabriele

Lalibela è un posto magico, denso di spiritualità, uno di quei posti in cui sentirai esplodere dentro di te il mal d’Africa. Lalibela è la classica cittadina tranquilla africana: poche case in muratura, qualche albergo e tante capanne, sono i tipici tukul con il tetto in paglia a punta. Lalibela però è un Patrimonio dell’UNESCO perchè qui c’è qualcosa che non esiste in nessun altro posto al mondo: le chiese rupestri ipogee monolitiche. Detto in altri termini queste chiese sono state letteralmente scavate svuotando la montagna e ricavando la chiesa da un unico blocco di roccia. 40 anni di lavoro fatto a mano con martelli e scalpelli.

San Giorgio
Le chiese vengono letteralmente scavate nella roccia. Foto: ©Roberto Gabriele

Qui le chiese sono di rito cristiano copto, un rito completamente diverso da quello cattolico, nei costumi, nella durata, nelle modalità di celebrazione e anche nella simbologia. La festa del Natale è la più sentita, la più bella e partecipata dell’anno. Circa 20.000 fedeli arrivano qui per celebrare la nascita di Gesù con una messa che dura 12 ore: dalle 9 di sera fino alle 9 del mattino successivo, il tutto accompagnato da circa 300 sacerdoti che indossano paramenti dai colori sgargianti e da tutti i fedeli che vestono il tipico caftano bianco. L’atmosfera che si respira qui è meravigliosa, che si sia credenti o no è impossibile rimanere impassibili davanti a tutto questo. La simbologia è talmente chiara da sembrare artefatta: sembra che ci sia dietro il lavoro di un abile regista, mentre invece tutto è dettato dalla tradizione più antica e incontaminata. Quando andai io, tra la gente c’era persino il Presidente dell’Etiopia con la sua scorta! Le misure di sicurezza erano fittissime! ;:)

Ragazza legge le Scritture – Foto: © Roberto Gabriele

La notte simboleggia la tenebra e il peccato: il rito non a caso viene celebrato con il buio. La suggestione del momento è enfatizzata dalla presenza di centinaia di candele con le quali i fedeli rischiarano di tanto in tanto la lettura dei testi sacri che portano con se per seguire le letture durante la lunga veglia. E’ incredibile osservare le espressioni e il coinvolgimento emotivo di queste persone rapite dalla preghiera. Ma la notte è fatta anche per riposare e qui nella grande chiesa di Santa Maria (dedicata alla Madonna) si dorme regolarmente durante la lunga veglia notturna del Natale! Quello che da noi in Italia sarebbe impensabile, irriverente, inaccettabile come il dormire in chiesa durante un rito sacro, in Etiopia invece viene accettato senza difficoltà: la notte è fatta per dormire, chi vuole prega, gli altri dormono!

 

I sacerdoti sono centinaia, restano svegli tutta la notte a celebrare il lungo rito. Molti di loro sono sposati e hanno figli, il celibato non è  a loro richiesto. Quasi ogni parte del rito viene cantata e danzata per rendere la partecipazione più corale e intensa. Le letture e le omelie sono ridotte al minimo. Il ritmo lento viene scandito dal Sistro: uno strumento il cui suono assomiglia a quello di un cembalo, costruito con una impugnatura con dei piattelli che vengono suonati alzando o abbassando il braccio in un gesto rituale che simboleggia la morte (braccio abbassato) e la resurrezione di Gesù (braccio alzato). Durante ogni canto, durante tutta la notte, viene ricordato tutto questo.

preghiera
La veglia di Natale dura 12 ore. Foto: ©Roberto Gabriele

E poi c’è la gente che vive in massa tutto questo. A parte chi dorme e chi legge nella chiesa, c’è poi chi rimane all’esterno e partecipa al rito guardandolo sui maxischermi che vengono allestiti per l’occasione perchè all’interno non c’è spazio per tutti. Fuori dalla chiesa, davanti ai monitor si crea un vero e proprio accampamento con tende improvvisate e tavolate di intere famiglie che ricoprono la montagna con le loro vesti bianche che si vedono bene nella notte.

Tra la gente e i sacerdoti c’è la presenza fondamentale di certi mediatori che scendono tra la gente portando a loro i simboli cerimoniali come la croce e un cuscino che viene baciato a turno dai fedeli. Questi mediatori sono quelli che vendono le candele con le quali partecipare alla messa. I loro abiti sono preziosi, dorati, coloratissimi e portano sempre un ombrello damascato coordinato con l’abbigliamento. A ben guardare i loro movimenti, nonostante l’apparenza solenne, appaiono però come abili commercianti che si aggirano durante la lunga messa tra la gente per vendere ancora candele a chi ne fosse rimasto sprovvisto.

Venditore di candele. Foto©Roberto Gabriele

Il Natale copto è il 7 gennaio, con la grande veglia che inizia il 6 sera, in corrispondenza con la nostra Epifania. Il giorno della Vigilia passa tra i pellegrinaggi che vengono fatti dai fedeli nelle chiese: si va in visita alle icone dei santi e ci si mette in fila per una veloce benedizione, si bacia la croce copta in legno o in argento e con questa si viene benedetti dal sacerdote. Migliaia di persone arrivano 1-2 giorni prima del Natale proprio per avere il tempo di fare i pellegrinaggi in tutte le chiese e in particolare in quella di San Giorgio, la più grande e bella: famiglie intere o comunità locali si spostano in gruppo arrampicandosi sui pericolosi muretti alti 10 metri senza protezioni, camminando negli stretti cunicoli in discesa scavati per accedere alle chiese. E per tutto il giorno si mangia in strada dove ci sono ristorantini ambulanti e migliaia di fedeli già vestiti a festa.

ristorantini
Ristorantini di strada in Etiopia. Foto: ©Roberto Gabriele

Alle 21 del 6 gennaio inizia la lunga messa: 12 ore per sentirsi vicini a dio. Durante la prima parte ci sono canti e danze, quando la notte diventa profonda, il ritmo rallenta e la gente si addormenta a terra. Quello è il momento preferito da noi fotografi perchè possiamo muoverci facilmente per fare le nostre foto e camminare infilando i piedi nei pochissimi spazi liberi tra la gente che dorme, anche se ogni tanto può capitare di pestare una mano o un piede nascosti nel buio… La cosa più bella da fotografare sono i contrasti tra le luci delle candele e le ombre, tra il bianco delle vesti e il nero della pelle della gente, tra i colori dei vestiti e il nero della notte. 

 

La lunga veglia prosegue abbastanza uguale a se stessa fino al momento in cui improvvisamente il rito cambia e il buio lascia lo spazio al rito della luce che simboleggia la nuova nascita e l’arrivo del Natale. La chiesa che era caduta nel torpore generale si sveglia improvvisamente tra le urla generali delle folla impazzita: la nascita di Gesù viene celebrata in quel momento con una gioia incontenibile e urla liberatorie. In pochi istanti tutti i fedeli tirano fuori le candele che avevano conservato e le accendono l’una con l’altra in un gesto di condivisione reciproca durante il quale la luce aumenta velocemente in proporzione. Il momento è emozionante: le urla festose, la luce che aumenta, la chiesa che fino a quel momento era stesa a terra a dormire si rialza in piedi e ricomincia a partecipare al rito. Poco dopo la preghiera è fortissima, le urla caotiche vengono riordinate di nuovo dalla coralità della preghiera e, girandosi intorno, tutto ciò che era buio ora è illuminato dalla luce di migliaia di candele accese, tutto ciò che era libero ora diventa ordinato e corale.

Il Natale è la festa della luce. Improvvisamente migliaia di candele illuminano a giorno tutta la chiesa. Foto: ©Roberto Gabriele

La gente ora è tutta in piedi e rivolta verso l’altare con le candele in mano intenta a pregare, questo momento dura un’oretta  di preghiera, poi di nuovo un crescendo di emozioni avvolge i presenti: di nuovo le urla della folla impazzita: alzando lo sguardo verso i bordi laterali si scorgono i sacerdoti che sono saliti sul bordo dello strapiombo intorno alla chiesa e dall’alto cingono con la loro presenza tutta la chiesa e i fedeli in un abbraccio simbolico, hanno cambiato le loro vesti, tolto i colori e sono tornati a vestire anche loro di bianco con solo una fascia colorata. Applausi, lacrime  e sorrisi: si alzano verso di loro migliaia di telefoni cellulari che fotografano la lunghissima fila di Celebranti, tutti hanno tra loro un parente o un amico che dall’alto li sta benedicendo e li ricambiano con una foto ricordo. Anche i sacerdoti, nonostante la sacralità del momento e del loro ruolo, scattano di tanto in tanto qualche foto con il cellulare alla folla sotto di loro alternano questo gesto pagano alla sacralità del suonare il sistro che da ore segna il tempo della cerimonia. La simbologia anche qui è fortissima: dopo la tenebra del peccato arriva la luce e quindi la salvezza.

La luce porta la verità, la nascita. E’ arrivato il giorno di Natale. Foto: ©Roberto Gabriele

La magia della luce continua perchè adesso il cielo inizia a tingersi di rosa: è l’alba di Natale! La messa vera e propria ha inizio alle 6 del mattino, e finirà alle 9 dopo tre ore di canti e danze accompagnati ora dal ritmo dei tamburi che sovrasta e sostituisce il suono melodioso e malinconico del sistro. E qui l’anima africana  degli etiopi fatta di ritmo e danze prende il sopravvento sul rito lento e profondo che si è vissuto per tutta la notte… L’allegria generale da il benvenuto alla festa, segna la fine dell’attesa per la nascita di Gesù nel giorno di Natale.

Mercato
Tra un mercato e l’altro inizia il nostro lungo viaggio di ritorno verso l’Italia che durerà 3 giorni. Foto: ©Roberto Gabriele

Qui siamo lontani anni luce dall’icona tipica di Babbo Natale, siamo lontani dai panettoni e dalla neve. Benvenuti in Africa.

 

La chiesa cristiana copta celebra il rito del Natale con un calendario diverso rispetto al nostro, spostato di 13 giorni in avanti. La festa del Natale è quindi il 7 gennaio con la vigilia il 6, ossia il giorno della nostra Epifania. Quindi, la loro Epifania è il 20 gennaio.

Spiritualità fotografica in Bulgaria

Perchè la Bulgaria? Perchè la Bulgaria è un paese del quale si parla poco, è praticamente sconosciuta al turismo di massa, se ne sa poco a livello sociale e politico e le poche cose che pensiamo di sapere sono dei luoghi comuni privi di fondamento proprio perchè vengono da passaparola privi di conoscenza diretta e di fonti sicure. Anche il nostro immaginario fotografico è praticamente nullo: se cerchiamo di immaginare la Bulgaria il nostro “album dei ricordi” risulta praticamente vuoto.

Per saperne di più e toccare con mano la situazione, siamo andati a visitare questo Paese per fare un sopralluogo per il prossimo Viaggio Fotografico che partirà con un gruppo a luglio.

Partiamo dagli aspetti sociali perchè sono stimolanti anche a livello fotografico. Innanzitutto la Bulgaria non fa parte della zona Euro, e la moneta locale è molto debole per noi, questo significa che la vita costa pochissimo, circa un quarto di quanto costerebbe in Italia lo stesso servizio. Una cena completa al ristorante, birra compresa, costa circa 10,00 Euro, anche meno…

C’è poi il cirillico che aiuta a non comprendere nulla, neanche le scritte sui negozi… E questo, unito al fatto che in pochissimi parlano l’inglese, ci porta a vivere un aspetto del viaggio fatto di incertezze che rendono il viaggio straordinario. Andare in un Paese in cui ti ritrovi a parlare a gesti è sicuramente un privilegio riservato ai pochi fortunati che hanno il piacere di divertirsi in un contesto simile.

Qui si sente ancora fortissimo l’impatto della dominazione del blocco sovietico che ha fortemente influenzato la cultura locale sia negli usi che nei costumi che alla cultura in generale. In strada, guardando come veste la gente, ti rendi conto di quanto tutto questo sia ancora fortemente radicato: le donne con il fazzoletto in testa stile “matrioska”, gli uomini con il giubbotto di pelle e il mocassino in cuoio. Ma non tutto e non tutti sono così, i giovani, infatti, vestono all’occidentale, parlano inglese e hanno un fortissimo desiderio  di crescita e apertura verso nuove idee.

Ma la parte che di più ci è piaciuta fotograficamente parlando è la grande spiritualità locale. La religione più praticata qui è la Cristiana Ortodossa e  capire questo è un aspetto basilare del nostro Viaggio Fotografico e per capire il senso del vivere di queste persone.

Le chiese sono meravigliose: grandi e monumentali, oppure piccole e raccolte, sono sempre stracariche di affreschi dorati di pregio. La gente va in chiesa per pregare: ci siamo soffermati a vedere i loro movimenti, pochi minuti sono sufficienti per accendere una candela, dire una preghiera, riempirsi gli occhi di icone sacre e ricominciare la giornata. A differenza di altre religioni, qui si va in chiesa a qualsiasi ora e in tutti i giorni della settimana. Lo vedi da quelli che entrano in chiesa con le buste di verdura fresca appena comprata al mercato e passano a pregare prima di andare a casa a cucinare il pranzo. Lo vedi dalla chi entra frettolosamente, “compra” una preghiera, una sorta di “indulgenza” di intenzione per i propri cari o per se stessi, e vedi che entrano con il loro foglietto, lo depositano sull’altare dedicato al santo preferito e vanno via pochi istanti dopo. Le preghiere si comprano lasciando un’offerta in una edicola posta vicino all’ingresso, anche questo è un aspetto interessantissimo da fotografare.

Parliamo di fotografia applicata ai dipinti nelle chiese? Si, leggi qui di seguito… Le icone dei santi sono coloratissime e ricoperte di oro che viene usato come campitura cromatica per le aureole, per rifinire i dettagli dei vestiti dei santi, o per disegnare preziosi sfondi. Il gesto ieratico benedicente o il dito che ammonisce completano ed enfatizzano la forza del santo che viene sempre presentato al centro dell’immagine, e non potrebbe che essere così. Non dimentichiamoci, infatti, che il soggetto posto sui “terzi” seguendo le proporzioni della Sezione Aurea acquisisce dinamismo, ma il soggetto al centro enfatizza il concetto di equità, giustizia, divino, ed eterno. La centralità quindi appare come una scelta obbligata in un tale contesto artistico. L’arte sacra italiana, infatti, ha scene di grande dinamismo in cui i santi sono attivi nel proteggere il popolo, nell’uccidere un drago, nel subire un martirio, nell’essere elevati in cielo e nel realizzare miracoli, nell’arte bizantina i personaggi vengono rappresentati solo nella loro magnificienza. Da noi viene usata la sezione aurea, in Bulgaria e nel mondo ortodosso la prospettiva centrale.

Entrare in un monastero da queste parti vuol dire essere fisicamente presenti su un set fotografico di street photography ambientato in un luogo sacro. La gente che prega, i gesti delle mani che accendono le candele e quelle del  sacerdote anziano che fa il gire per andare a spegnerle, il tutto condito da meravigliosi tagli di luce che si insinuano all’interno di chiese buie creando dei contrasti che opportunamente sfruttati sono uno stimolo fortissimo per chi ami questo genere di fotografia. Se cercassimo di ricostruire queste luci,  e queste situazioni di ripresa, sarebbe una impresa praticamente impossibile per noi amanti del reportage, sempre abituati a viaggiare leggeri, dobbiamo coglierle sul momento!

Un ristorantino a due passi dal Monastero di Bachkovo, l’arredamento del locale è di sicuro originale e irriverente!!

La spiritualità però ha sempre degli aspetti umani e anche commerciali che si mescolano ad essa: nei monasteri non mancano i negozietti in cui comprare non solo immagini sacre, ma anche prodotti tipici dell’artigianato locale, giocattoli per intrattenere i bambini che accompagnano i nonni in chiesa, ci sono i ristorantini che con i loro fumi e profumi saturano l’aria delle stradine di accesso e in uno di questi ho trovato, a 10 metri dalla chiesa, accanto ai calendari sacri il manifesto di una birra che veniva pubblicizzata da 6 ragazze a seno nudo!

Che si sia credenti o no, in questi luoghi si sente comunque una grande spiritualità fatta di silenzi profondi, di voci sussurrate, di passi che echeggiano tra i corridoi, di sacerdoti dalle lunghe barbe bianche che benedicono i fedeli. Anche se tutto questo è intangibile e invisibile, raccontarlo in fotografia è possibile, basta prendersi, come facciamo noi quando siamo in viaggio, tutto il tempo necessario per vivere il luogo, comprenderne il senso e lasciarsi prendere dalla bellezza di ciò che sapremo tramutare in immagini fotografiche. Al dilà della bellezza dei luoghi, occorre darsi il tempo per viverli e quindi fotografarli: ed è proprio quello che facciamo noi. Il normale tour turistico tende a segnare con uno scatto i luoghi visitati e a vederne il più possibile, noi, invece, in un Viaggio Fotografico, facciamo della lentezza la nostra forza, preferiamo di gran lunga soffermarci in un posto per ascoltarne le storie e raccontarle con le nostre immagini, ci diamo il tempo di vedere, scoprire e approfondire cose, eventi e persone per rendere completo il senso della storia che abbiamo davanti.

Se ti piace tutto questo, inizia ad organizzarti per venire con noi dal 1 all’8 luglio 2017 in un Viaggio Fotografico indimenticabile. ISCRIVITI QUI.

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