L’ultimo zampognaro
Benvenuti in Molise
Questa è la storia dell’Ultimo Zampognaro d’Italia. Dicembre è il mese di Natale, e mentre la tradizione anglosassone porta l’immaginario collettivo tra renne e abeti innevati accompagnati dal suono di jingle e campanelle, le atmosfere legate al Natale italiano si caratterizzano con presepi, paesini illuminati e per il caratteristico e inimitabile suono delle zampogne.
In Molise c’è Scapoli, il paese delle zampogne: qui persino la musica di attesa del centralino del Comune è suonata con la zampogna.
Scapoli è il tipico paesino appenninico adagiato sul costone della montagna: ci troviamo in Provincia di Isernia, ai piedi del Monte Marrone, nella catena delle Mainarde, teatro dell’omonima Battaglia del 31 marzo 1944 che servì a far indietreggiare la linea Gustav dell’esercito tedesco arroccatosi sulla cima. Oggi solo 600 anime popolano questa piccola località che in 20 anni si è quasi dimezzata per numero di abitanti.
Scapoli è una località fuori dal tempo che cerca di resistere alla fuga dei giovani verso le città: il centro storico ha solo una strada che è il corso del paese, l’ufficio postale, il Comune e 2 bar che sono il vero centro centro di aggregazione sociale degli Scapolesi, ovviamente c’è la chiesa, un minimarket e un camioncino che porta la frutta fresca in piazza ogni giorno. Alla sommità del paese ci sono i bastioni fortificati della città vecchia e il Cammino di Ronda che ancora oggi costituiscono la passeggiata da fare nelle sere d’estate.
A metà aprile a Scapoli può anche nevicare: siamo alti in quota e siamo lontani dal mare, le stradine sono deserte e silenziose, tra i suoi vicoli si sentono solo i garriti delle rondini che riempiono il cielo, nessuna voce, nessuna auto, nessuna musica: a Scapoli si può perdere l’equilibrio perchè il silenzio è talmente profondo da essere destabilizzante.
Le feste di Scapoli:
Ma il paese si riempie di orgoglio due volte all’anno: a Carnevale quando viene fatta la festa del Raviolo Scapolese, e d’improvviso il paese si riempie di migliaia di persone che vengono a mangiare questa specialità che non ha uguali nella cucina italiana: è un raviolone enorme, la porzione normale ne prevede solo 3 in un piatto. Poi per mesi, si ritorna nel silenzio fino a fine luglio quando c’è il Festival Internazionale della Zampogna (da due anni sospeso a causa del covid) il quale raccoglie ancora più persone che arrivano fino qui per partecipare a questo evento unico al mondo. Poi di nuovo il silenzio e la vita tranquilla con i ritmi di una volta, quelli che mancano a chi vive in città…
Nel 2014 alla zampogna di Scapoli è stato persino dedicato un francobollo di Poste Italiane proprio per celebrare il valore culturale di questo strumento musicale, inoltre qui si trova il Museo Internazionale della Zampogna, purtroppo anche questo al momento è chiuso a causa della pandemia e per successivi lavori di ristrutturazione che promettono saranno finiti nella primavera 2022.
Ma la zampogna non va vista in una bacheca, va ascoltata, va vissuta come i pastori, insieme ai pastori: è uno strumento che non può prescindere dalle sue origini. Strumento antichissimo, usato già dagli antichi romani (che all’epoca lo chiamavano Utriculus ossia “otre”), la zampogna è parte integrante del rapporto tra l’uomo e le sue greggi. L’esperienza più straordinaria alla quale si possa assistere è ascoltare il suono della zampogna in montagna, con i musicisti vestiti da pastori con i loro gilet di pelliccia, i camicioni bianchi o a quadri, i pantaloni di velluto alla zuava infilati nei calzettoni di lana e con le tipiche “ciocie” ai piedi e annodate sui polpacci: La ciocia è la scarpa che qui un tempo era così diffusa tra la gente da dare il nome di Ciociari a tutti quelli che le indossavano e anche la Ciociaria (che si stende in tutto il basso Lazio tra le provincie di Frosinone e Latina) prende il nome da questa gente e dalle loro calzature. Tutti vecchi ricordi, tradizioni ancora vive nel cuore della gente che però li ha persi nel loro valore di quotidianità…
Un pezzo di storia:
L’unico eroe che è rimasto attaccato in tutti i sensi alla cultura della sua terra è il Maestro Franco Izzi. Un uomo, un pastore, l’ultimo zampognaro rimasto che ha deciso di vivere e lavorare costruendo zampogne, altri artigiani realizzano zampogne, ma lui è l’unico che ancora lo fa per professione.
Sono stato un paio di giorni con questo uomo forte e deciso, di solidi principi e dal carattere apparentemente introverso. In realtà Franco Izzi dietro la sua coriacea scorza da pastore, da montanaro, nasconde una grandissima voglia di socializzare e di condividere il suo sapere, la cultura popolare nella quale è cresciuto e della quale è un vero ambasciatore con noi “gente di città”.
Ero andato fino a Scapoli per intervistarlo, per fargli un pò di domande sulla sua musica, sul suo lavoro, sulle zampogne… Al primo incontro mi ha spiazzato: non ci eravamo mai visti ma lui mi ha accolto come un vecchio amico invitandomi a pranzo, un indimenticabile pranzo frugale e straordinario: si mangia quello che c’è, come si farebbe con un ospite di famiglia.
Capii subito che c’era molto da imparare da quest’uomo. Un bel piatto di pasta, una bistecca di bovino allevato in libertà e una bella insalata mista. Semplice e naturale. Osservai le grandi mani di Franco abbracciare il pane e tagliarlo con cura, con il rispetto rituale che si ha per le cose sacre. Quelle mani sagge mi davano sicurezza, mani forti di campagna abituate a lavorare: mani da zampognaro, così diverse da quelle di un pianista.
La casa di Franco la trovai bellissima, senza tempo, il calendario in cucina fermo a dicembre 1956, tutto era semplice e incredibilmente accogliente, senza fronzoli: pietre a vista sui muri, un tavolo, le sedie, una poltroncina e il caminetto che, oltre a riscaldare l’ambiente, ci è servito per cucinare la bistecca. Davanti a noi i suoi quattro cani, ordinatamente seduti sul divano, ci osservavano armeggiare per preparare il pranzo.
Franco è un filosofo, ha il buon senso tipico della brava gente, di quelli che vivono tra regole dalle quali vorrebbero scappare. Il tempo a tavola con lui è volato veloce: i sapori, i profumi, gli argomenti di discussione sono stati vari ma ancora non riuscivamo a parlare di zampogne… Ero venuto apposta per parlare di questo, ma mi accorsi che c’era molto di più in quest’uomo da ascoltare, da imparare… Dopo pranzo, verso le 15, mi fece fare il giro di casa: nell’altra camera c’era il pc, la tastiera con la quale studia musica…
Ad un certo punto si allontanò e quando ritornò era vestito da zampognaro: quello era il momento di parlare di musica e Franco iniziò ad indossare i panni del grande esperto: mi parlava di toni, semitoni, ottave e chiavi, mi spiegò esattamente come funziona la zampogna, la sua storia, le dimensioni, le difficoltà per suonarla e gli accorgimenti costruttivi per costruirla, mi parlava di bordone e di canto, di otre e di campana…
Io lo ascoltavo affascinato senza purtroppo riuscire a capire altro che la sua enorme passione, la competenza che metteva e mette ancora oggi nel suo lavoro. Mi rendevo conto di avere davanti a me una pietra miliare, un testimone e un protagonista della storia della musica tradizionale italiana, questo clima di armonia mi ispirava a fotografare ogni cosa che avevo davanti ai miei occhi in quel momento.
Franco mi parlava con comprensibile orgoglio del suo “Bordone Modulabile” da lui inventato e poi brevettato a Campobasso: una innovazione che ha portato la zampogna a diventare uno strumento completo, ovvero con la possibilità di avere tutto il giro armonico della propria tonalità. Una lezione di musica, di scale, di tonalità e armonie… Pur non capendo restavo incantato ad ascoltare il suo modo di esporre i concetti.
Ma in casa si parla tra persone, ma per parlare di musica siamo scesi dove la musica si costruisce, ossia nella bottega. “Casa e bottega” si dice, e qui è davvero così: alla bottega si accede direttamente dalla scala interna di casa.
E mentre io impazzivo in quella bottega profumata di essenze di legno stagionato e per quella luce con intensità variabile “a zone” diversa in ogni angolo della stanza, Franco mi mostrava con le sue mani forti tutti i procedimenti costruttivi delle sue zampogne. Eccolo quindi a raccontarmi della realizzazione dell’ancia e la tornitura delle canne. Poi mi mostrava i suoi legnami invecchiati per 8 lunghi anni prima di poterli lavorare per farli diventare canne o bordoni di una zampogna…
Franco il suo museo della zampogna privato se lo è fatto nel laboratorio e tra una spiegazione e l’altra mi portò fuori, nel vicoletto, poi si mise nascosto dietro una delle finestre del Cammino di Ronda che faceva da cassa armonica e abbracciando la sua zampogna da 32 iniziò a suonare riempiendo delle sue note tutta la valle.
Una sorta di flash mob con il quale marca di tanto in tanto il territorio: il suo concerto improvvisato serviva a ricordare a tutti che lui è veramente l’ultimo zampognaro.
L’Uomo e la Montagna:
Ma l’indomani Franco mi invitò di nuovo a pranzo: per me aveva ancora qualcosa di veramente speciale, prima di salutarci decise di esibirsi in un concerto privato solo per me al Monumento ai Caduti di Monte Marrone. Un momento veramente toccante, vibrante, un grande omaggio a tutte le Vittime della guerra cadute da ambo le parti.
Franco non esitò neanche un attimo: si arrampicò a diversi metri di altezza su una serie di blocchi di cemento sovrapposti (uno per ciascuna Regione Italiana) e da lì sopra iniziò a suonare le sue note: la “Ninna nanna del bambino” un pezzo appositamente composto da lui per questo luogo. Salì in alto perchè il vento potesse portare la sua arte lontano e donarla a chi non ha potuto ascoltarla in vita…
E sulle note potenti e acute delle ance della zampogna arrivò per me il momento di tornare a casa. Grazie, Maestro: mi hai donato la tua amicizia, la compagnia dei tuoi cani, la luce del tuo laboratorio che odora di legno resinoso… E infine mi hai regalato l’arietta fresca delle tue verdi montagne molisane.
Foto e parole di Roberto Gabriele
Una tradizione che va scomparendo e che lascia spazio ad un Natale sempre più commerciale e non più religioso e poetico. Come quella del presepe che “resiste” anche grazie ad associazioni come l’AIAP (www.presepio.it)
Grazie mille Francesco, condividete pure questo Articolo sul Vostro sito, mi farà piacere se mi darete un link da pubblicare qui.
Un racconto commovente , le foto aggiungono pathos alla narrazione. Si avverte che il il narratore e fotografo rivela rare doti di sensibilità ed empatia..
Grazie mille carissima Serena! Sono felice che tu legga sempre con tanta attenzione e sensibilità le mie parole. Il Maestro mi ha accolto e sconvolto raccontandomi la storia della sua vita. Il merito va a lui per aver condiviso con me quelle storie e di avermi autorizzato a mia volta a raccontarle.
Un abbraccio a voi. Roberto e Simona