La sacralità del luogo
Il Kumbh Mela è una di quelle esperienze che non si dimenticano, che quando torni a casa senti che qualcosa è cambiato, che hai partecipato ad un evento emotivamente forte, sconvolgente e affascinante.
Non è solo un evento religioso, o un ritrovo di fedeli che si riuniscono in preghiera condividendo tradizioni o rituali, ma è la più grande manifestazione religiosa del Mondo.
Un enorme pellegrinaggio che coinvolge, a seconda degli anni, fino allo spaventoso numero di 100 milioni di persone.
Siamo in India, nello Stato dell’Uttar Padesh, e precisamente ad Allahabad, città in cui confluiscono i tre fiumi sacri agli induisti: il Gange, lo Yamuna e il mitico Sarasvati, oggi scomparso, o a detta di alcuni quasi totalmente sotterraneo, ma che mantiene ancora vivo per i fedeli il Culto della Dea da cui prende il nome.
La storia del Kumbh Mela e le sue celebrazioni sono legate a leggende dai forti connotati mitologici ed astrali, e come in tutti i poemi epici che si rispettino, anche qui buoni e cattivi combattono, e combattono per 12 giorni e 12 notti finchè Vishnu, che aveva ordinato di agitare gli Oceani per ottenere il nettare dell’Immortalità, chiamato Amrita, ne fece cadere alcune gocce nei quattro luoghi che così divennero sacri : Allahabad, Haridwar, Ujjain, e Nashik.
Proprio in queste quattro città si svolge a rotazione, ogni tre anni, questo importantissimo pellegrinaggio.
L’esperienza umana
C’erano 50 milioni di persone attorno a me. 50 milioni di persone che camminavano, camminavano ininterrottamente, giorno e notte, senza sosta. 50 milioni di pellegrini, fedeli delle più svariate sètte induiste (akhada), che hanno attraversato il paese con treni speciali, pullman, camion, ed ogni altro mezzo di fortuna per radunarsi in un’area di non più di 20 km di lunghezza per 32 km quadrati di superficie.
Inimmaginabile per noi occidentali, impossibile da capire, troppo lontano dalla nostra cultura e dalla nostra esperienza umana.
E soprattutto difficile da descrivere. Quasi impossibile.
Il mio primo impatto in quest’area che sembrava un enorme campo tendato, è stata una scena che ricordava l’esodo biblico.
Decine… centinaia… migliaia di poverissimi pastori che venivano dallo Stato del Bihàr, nell’India nordorientale, arrivati qui con 5 pullman, ogni pullman con più di 100 persone.
Scendevano ordinatamente da un alto terrapieno, non si vedeva l’inizio della sterminata fila di persone. Arrivavano cantando, vestiti con quanto di più povero potessero trovare, tutto ciò di cui avevano bisogno era racchiuso in fagotti di tela che portavano sulla testa o annodati in lunghi bastoni poggiati sulle loro spalle.
I più religiosi portavano con sé della paglia. Erano a digiuno e avevano promesso a loro stessi di “dormire su un letto di paglia” finché non avessero fatto le abluzioni nei fiumi sacri.
Capitava spesso, infatti, di trovarne distese enormi lungo le rive dei fiumi, e sopra di esse altre distese di gente che si spogliava e rivestiva senza alcun pudore o soggezione, o paura di essere guardati male.
Si immergevano, quasi completamente svestiti, nelle acque gelide a qualsiasi età, e a qualsiasi ora, giorno o notte che fosse.
Spesso incontravo figli che portavano gli anziani genitori perché potessero fare la loro sacra immersione prima del trapasso che sentivano avvicinarsi.
Ed è proprio questo il motivo più profondo dell’essere qui, almeno una volta nella vita, per ogni Induista: un dovere che ognuno sente dentro di sé, come liberazione e purificazione dell’anima e dello spirito.
Questo è infatti quello che mi è stato detto anche dalla mia fidatissima guida:
“Ogni induista crede che sia molto importante andare almeno una volta nella vita sui luoghi sacri della religione Hindu per fare le abluzioni nelle acque del fiume Gange o degli altri fiumi sacri nei periodi del Kumbh Mela perché questi luoghi sono stati benedetti dalla divinità Vishnu.
Chi farà i bagni sacri nel corso di questi eventi verrà pulito di tutti i peccati e potrà seguire la strada per il moksha, ovvero la liberazione e la salvezza come condizione spirituale superiore”.
La decisione di rimanere nel campo
La decisione di rimanere a dormire all’interno dell’area del Kumbh, senza tornare al nostro comodo campo tendato si è dimostrata vincente .
Troppa folla, i ponti erano stati chiusi, se avessimo dormito al nostro campo non saremmo probabilmente riusciti arrivare nemmeno partendo a mezzanotte. Impossibile.
Con entusiasmo, molta curiosità e tanti chilometri a piedi, ci incamminammo così, verso il tendone dei Sadhu che ci avrebbero ospitati.
La strada era lunga parecchi chilometri, e quello che c’era intorno a me era incredibile .
Fedeli poverissimi, famiglie con bambini, sadhu, asceti… Guru con vesti arancioni, o solo con perizomi bianchi, o semplicemente vestiti di cenere.
Tendoni delle varie sette, in ognuno dei quali c’erano cerimonie religiose, venivano accolti i fedeli, si mangiava, dormiva, pregava, predicava, accoglieva…
Sulla strada c’era chi benediva, e chi chiedeva donazioni possibilmente in moneta del paese di provenienza, o chi camminava verso chissà quale luogo dove fermarsi a dormire… chi lavava, cucinava, ed anche qualcuno che stirava.
E il tutto con un’organizzazione perfetta, con gli eserciti di 5 Stati Indiani, decine di migliaia di bagni, punti di informazione, ospedali da campo.
E soprattutto c’era silenzio, un caos ordinato e un religioso rispetto per chiunque.
Arriviamo dai nostri ospiti.
Ho conosciuto subito il Maestro, un vecchio con occhi buoni e capelli grigi lunghi e stoppacciosi. L’accoglienza è stata bellissima e calorosa.
Quella, adesso era casa nostra.
Intorno a me, a terra, c’era un gruppetto di devoti, fumavano marijuana, alcuni erano completamente storditi, dormivano o a malapena tenevano gli occhi aperti.
Erano questi i miei compagni di camera?
Ho mangiato con loro, seduta a terra e servita in piatti di metallo, rigorosamente senza posate. Il cibo, buono e speziato al punto giusto, si prendeva aiutandosi con il pane senza usare le posate. Tutto bellissimo. Ed emozionante.
Quelle gentilissime persone che mi hanno ospitata per due giorni, servita e riverita erano Naga (Nudo) Baba.
Fanno parte della “famiglia” dei Sadhu, e come dice il loro nome, usano uscire nudi e coprirsi il corpo con la sola cenere.
Si dice che, a differenza di altri gruppi Sadhu, non siano propriamente pacifici, possano essere vendicativi ed arrivare alla mortificazione del proprio corpo e soprattutto del loro pene, desensibilizzandolo in vari modi: ho visto lucchetti, spade, e altri oggetti utilizzati per questo scopo.
Proprio loro, assieme alla più estrema delle sette Sadhu, gli Aghori, alle 3 di mattina hanno aperto la lunga processione fino ai gath alla confluenza dei fiumi sacri.
Erano il gruppo più atteso e scenograficamente più impressionante.
La lunga notte del Shahi Snan
L’esperienza più straordinaria è stata nella notte tra il 3 e il 4 febbraio.
Questa notte si è svolto il Shahi Snan, bagno rituale alla confluenza dei tre fiumi sacri, evento più importante di tutto il mese della Festa.
Un esercito di uomini nudi vestiti solo di cenere bianca e ghirlande arancioni sulla testa, con capelli lunghissimi arruffati e raccolti, o completamente rasati si preparavano fuori dalle loro tende per iniziare il cammino più importante, seguiti da migliaia di seguaci e qualche curioso.
Una scena che difficilmente si dimentica.
Ho camminato per tre km circondata da tutto il genere umano.
Tutta l’area, illuminata a giorno, aveva un’atmosfera surreale.
Sfilavano i carri degli asceti, sventolavano le bandiere arancioni, i manifesti giganti con le fotografie dei maestri venivano portati dai fedeli, e poi, c’era chi suonava i tamburi, e chi semplicemente camminava, andava avanti quasi per inerzia fino alla meta tanto desiderata.
Tutto intorno gente… gente… e ancora gente… e le tende dove dormivano, file infinite di bagni allestiti per l’occasione, militari a piedi e a cavallo che si occupavano di mantenere la sicurezza e l’ordine, e che severissimi allontanavano i non autorizzati, senza occuparsi troppo se sotto gli zoccoli dei cavalli finiva qualche essere umano.
Anime erranti mi circondavano da ogni lato con sguardi neri e profondi, avvolti da vesti povere ma pulite, e con la testa spesso coperta da cappelli di lana per affrontare la lunga e fredda notte.
Ognuno viveva quel momento da solo, in un intimo e religioso silenzio.
Le abluzioni
L’arrivo ai fiumi è stato memorabile.
Questo era per i fedeli il momento più importante: il momento del bagno sacro, aspettato probabilmente una vita intera e che per sempre rimarrà nei lori cuori e nelle loro anime.
La notte era fredda e ancora fonda. L’illuminazione era perfetta.
Per terra erano accatastati migliaia di abiti e scarpe.
Corpi per lo più magrissimi, prevalentemente con barbe bianche e lunghe, e donne seminude, procedevano verso l’attesa purificazione immergendosi nell’acqua freddissima del Gange o dello Yamuna che proprio qui si incontrano.
Qualcuno cercava di arrivare ad immergersi nell’acqua insieme ai propri maestri, il che rendeva quel momento ancora più sacro e ricco di significato.
Lo spazio in cui si svolgevano le abluzioni era piuttosto piccolo e delimitato da galleggianti, ed i responsabili della sicurezza sui loro gommoni lavoravano per garantire a tutti di poter vivere al meglio le loro abluzioni.
Qui le correnti sono infatti molto forti e i rischi di incidente, considerando anche la forte densità di persone, sarebbero potuti essere molto alti, ma tutto si è svolto per fortuna senza alcun problema e nel migliore dei modi.
L’esperienza al Kumbh si conclude così, un misto di emozioni fortissime si alternano nella mia testa pensando che nonostante questo strano mondo possa sembrare a noi occidentali così diverso, lontano ed incomprensibile, la grande umanità, simpatia ed ospitalità della gente mi ha fatto sentire in una grande
famiglia e sempre più curiosa di continuare a conoscere, ed immergermi in nuove culture che altro non possono fare che arricchirmi e rendermi migliore.